56. Problemi di cuore

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Abituata com'ero a contare quelle lentiggini sul volto del rosso, mi trovavo di fronte alla mia testa malata che riproduceva scene che cercava di ripudiare dai miei ricordi.

Tra una sigaretta e l'altra pensavo a cosa ero rimasto di me.
Costantemente di corsa tra gli impegni di Fred, il lavoro, la "schiavetta di casa", il passo veloce per la paura di camminare da sola per strada.
Ero talmente preoccupata per gli altri, anche per chi non lo meritava, che avevo totalmente trascurato me stessa.

Avevo trascorso l'intera nottata a pensare ai strani comportamenti avuti con Ash, da oltrepassare il vero punto interrogativo della vicenda: io.

Mi ero dimenticata di me stessa.

Avevano ragione.
Vivevo di rancore, di rabbia, di freddezza e diffidenza.
Prima non ero capace di odiare nessuno, ero finita per poi odiare ogni essere umano sulla faccia della Terra, me inclusa.

Non mi curavo di più.

Quattro volte mi avevano ingannata con il loro amore.
Tre volte avevo scoperto il loro tradimento.
Due volte mi hanno chiesto perdono.
Rispondevo sempre: no!

sempre la stessa storia, la gente non cambia.
Non credevo ad una "h" quando mi guardavano prima con superiorità e poi con pentimento.

Quattro giorni preoccupata per loro.
Tre ore aspettandoli al sole.
Due minuti a visitarli.

E rispondevo sempre: "me ne vado!" ma mi sentivo come mia madre e qualunque cosa la riguardassero non mi andavano mai giù.

"Sei uguale a lei", "Sei identica", "Cos'altro hai ereditato da lei?" bastavano per mandarmi in tilt.

Non ero un giocattolo.
Non ero nella loro lista.

Quattro volte mi avevano ingannata col loro amore.
Due volte mi avevano mandato un fiore.
E questo plurale si traduceva generico secondo i miei ideali.

Ero quella dalla parte razionale sveglia e dominante, quella che trovava la forza di leggere storie d'amore ma che nella vita reale non le cercava nè voleva incontrare.
Ero convinta che il mondo continuasse ad essere una merda ed innamorarmi sarebbe stato un alterazione al rosa vomitato sul nero.
Ero convinta che tutti seguivano un copione di marionette perfette pronte ad assomigliarsi banalmente tra pregi e difetti, farsi amare e ad amare.
Eravamo programmati per questo, per mandare avanti il mondo nel bene o nel male.

Eppure, quella mattina, qualcosa in me si era acceso.
Mi ardeva nel petto un altro sentimento, dopo tanto tempo che mi sentivo appassita.
Un girasole era sbocciato dentro me e non sapevo se spaventarmene.

Ogni volta che immaginavo il mio concetto di amore era quello fraterno, quello amichevole, che non distrugge.

Con lo sguardo rivolto verso il finestrino del treno e con degli auricolari neri riproducenti I will survive di Gloria Gaynor, mi concentrai sulla nebbia che incombeva sull'intera Inghilterra di quell'ottobre monotono.
Avevo bisogno della nebbia per coprire i miei pensieri, ne avevo bisogno per non pensare più.

Uno dei miei maggior problemi era sfasciarmi la testa di stagioni mentali fino a non poterne più.

Guardai al mio fianco mio fratello che dormiva scomodo appoggiato al sedile con le scarpe da ginnastica sul sedile.
Sbuffai contrariata, controllando poi Chase che sembrava pensieroso quasi quanto me.

Chissà quali insidie nasconde la mente umana.
Siamo convinti di averne controllo, di noi, delle nostre azioni, delle nostre parole, quando in realtà non siamo niente.
Dipende dalle emozioni che purtroppo esistono, dal nostro passato e presente che poi calcolerà le somme per il futuro.

Imputai per ultimo avidamente lo sguardo su Ash.
Dormiva illuminato dalle luci del mezzo di trasporto attivo per tutta la notte.
Una mano sullo stomaco aperta, le palpebre del tutto chiuse e la sua bocca.
Le labbra carnose di un colore acceso, com'era accesa la nostra sete di odio.

In quel momento eravamo solo io e lui in un contratto di guerra per la vittoria.
Non avevo senso, tranne che per noi.
I suoi respiri seguivano lenti e profondi, la maglietta nera traspariva parte del suo corpo.
In quanto ai pantaloni gli arrivavano fino alle caviglie, scoprendo una vecchia cavigliera con un cinque.

Lo ricordo bene.
Cinque era il giorno in cui le sirene si erano sfogate nel risuonare l'emergenza in corsa rivolta a lui.
Insufficienza respiratoria, ci avevano detto le maestre.
Abitava a pochi passi dalle elementari, ogni alunno si era preoccupato di salutarlo dal finestrino.

A mia eccezione, chiaramente.

Perché, a me, non era mai importato.
Rammento la sua mascherina d'ossigeno, il suo corpo immobile buttato sulla barella, i suoi occhi marroni impauriti ma semichiusi, mentre cercava qualcuno tra la folla.

Per ultima, la mia testa spuntò curiosa.
Quando l'insegnante richiamò l'ordine, fui io quella che si alzò.
In quell'esatto momento giurai vendetta all'universo.
Desiderai cecità per non aver incontrato quei suoi cazzo di occhi che per una volta erano all'estremo delle loro forze da non potermi agnentare.
Sarei stata io quella in cima alla classifica, quella che lo avrebbe spinto nell'abisso.
Eppure, non provai niente.
Rimasi inchiodata da quel terreno che sentivo sgretolarsi sotto ai miei piedi, ma l'indifferenza di non provare alcun segno di importanza fu la vincita estrema.

Era iniziato così, occhi negli occhi.
Un gioco di sguardi pericolosi che non promettevano buono.
Le nostre lingue mentivano agli interessati, ma i nostri occhi gridavano verità.

Tra di noi, il nulla cosmico.

«Tra quanto arriviamo?», mi riscosse Fred.
Diventai rossa di vergogna, bruciando dentro, per aver svegliato il diretto interessata.
Fortunatamente, mi girai di fretta, senza permettergli di capire.

Non l'avrebbe mai saputo, perché io, non potevo permettermi di legarmi a lui.
Non a lui.

«Ci siamo quasi», risposi riputando verso il finestrino che rifletteva il volto assonnato del mio fardello.
Costruii una smorfia volontaria, accendendo il telefono.

Non mi poteva avere, non mi avrebbe avuta.
Ci era stato solo del sesso e il sesso non lega.
Fa bene, a chi non piace.
Ma c'erano dei paletti ben sistemati tra l'amore e la riproduzione sessuale.
Non era facile da buttare giù, il mio cuore era protetto da soldati con le armi da fuoco puntate contro.

Ero intoccabile, persino da lui.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora