64. È sempre stato lui

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Rimasi sdraiata sulla panchina.
Inerme, mi raggomitolavo su me stessa, cercando di riscaldarmi dal manto di neve che mi cadeva puntualmente addosso trasformandomi a tratti in un pupazzo. Scrollandomela un po' addosso, mentre qualche fiocco si impigliava nella mia capigliatura castana, mi addormentai lentamente sotto il rigido clima di quell'inverno.

Non mi rigiravo nemmeno nel sonno perché sapevo di non avere abbastanza spazio per poterlo fare, nonostante non fossi mentalmente lucida.
Non ero solita dormire in altri posti che non fossero casa mia, ma in quelle circostanze l'unica cosa rimasta era quel pezzo di ferramenta dimenticato dal mondo.
Ad occhi chiusi, sognavo un qualcosa di diverso, di bello.

La speranza era l'ultimo sentimento che mi rimaneva a starsi spegnendo poco a poco.
Le labbra erano socchiuse, i muscoli sempre in tensione. Avevo il sonno leggero, solitamente captavo il rumore dei taxi, dei pullman, dei passanti, dei clacson.
Percepii la neve svanire, per dare posto all'acquazzone tipico di Londra.
Il cielo si era scurito, l'acqua piovana cadeva come fossi sotto una cascata.

Non mi ricomposi.
Sapevo di essere fradicia, ma non mi importava.
Non volevo alzarmi, non avevo voglia di fare niente.

La consapevolezza di starmi muovendo verso un qualcosa che mi avrebbe lasciato in shock era insostenibile al punto da avermi chiuso lo stomaco.
Con le mani nei capelli fradici, mi lasciai investire ancora dall'acqua.

Non potevo provare ancora dei...sentimenti.
Ero certa di aver chiuso quella porta a chiave, ma forse... forse avrei dovuto direttamente buttare via la chiave.

Dinnanzi al Tamigi, fremevo di ogni conseguenza che il destino aveva in serbo per me.
In un respiro mi aspettavo libertà, invece avevo ottenuto solo la voglia di altra nicotina.
Talmente sbagliato, eppure più mi stuzzicavo.

Quell'essere così spregevole era arrivato a farmi dubitare dell'unica persona che credevo di aver mai amato.
Mi aveva stravolta, sferrando il suo pugno assestato in un mucchio di mie convinzioni cosparse.

Per quasi tutta la mia vita sono stata una ragazzina che si teneva lontana dagli uomini perché li riteneva immaturi, con l'unico desiderio di una notte di follia sfrenata.
Con ll tempo, mi ero accorta di essere un essere umano con bisogni sessuali allo stesso pari di chi ritenevo fuori dalla mia portata.
La stessa ragazzina che nel momento in cui aveva deciso di farsi valere, di far ascoltare la sua voce a modo proprio, aveva messo da parte la sua timidezza.

Sfogandosi tramite testi dettati dalla sottoscritta, trattava tematiche da cui prendeva spunto sulla sua vita personale e su quella della gente a cui teneva.

Con lo zaino piccolo nero con cui giravo spesso, tirai fuori un taccuino su cui era inciso a mano aperta sopra pagine ingiallite racconti di storie diverse ma accumulate.
Una di questa era d'amore, un amore stranito, diverso da un'universo di coppie uguali.

Estratto:

Occupò qualche secondo per osservare il cielo stellato. Piccole luci come lucciole si spargevano nel vasto blu notte di una serata invernale.

Si chiese se, come si dice, in due di loro riservasse posto ai suoi genitori.
Se brillavano di luce propria per lui, per ammirarlo, per guidarlo.
Si chiese se il vento fosse dalla sua parte quando dimenticava la finestra aperta e si svegliava infastidito dal fruscío sul volto.
Si chiese se fossero loro;

Si domandò se la pioggia insistente e i temporali fossero un mezzo per fargli suscitare vicinanza.
Si domandò se la nebbia da sempre gli abbia accecato la vista per non vedere oltre, per non illudersi di incontrarli e poterli stringere tra le sue braccia.
Si chiese ancora e ancora se a fine arcobaleno loro si trovavano lì, se le nuvole li coprivano, se il buio nascondeva il male.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora