66. Sobria? Sempre?

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Il corridoio non mi sembrava così lungo fino al momento in cui non dovetti attraversarlo cosciente di cosa stessi andando incontro.

Una leggera nebbia si stava espandendo nella capitale londinese, quando mi ritrovai davanti la soglia della mia stessa vecchia casa.

Avevo evitato di rendere partecipe i miei coinquilini allo straziante addio, perciò decisi di farli salutare separatamente quando non ci sarei stata.
Tornando all'origine di tutto, capii di star bene.

Ero più libera, ma con un cuore appesantito.
Stringevo i pugni dentro le tasche, mentre il mio fratellino ormai grande aumentava di passo verso la donna che non riusciva ad allontanare.
Non ci avevo mai messo una pietra sopra alla faccenda, ma di una cosa ero certa in quel momento;
Io, in quella situazione, c'ero già stata.

Ritrovarmici di nuovo non faceva male.
Bensì, la dose di dolore, era la stessa.
Era un intercalare in una discesa di alti e bassi.
Dolore neutro, dolore uguale al passato, dolore che svaniva e poi tornava.

Mi ero ripromessa di non guardare, per bene mio.
Ma, giunta davanti alla scena straziante per la mia persona, non potevo non guardare il residuo della mia famiglia sgretolarsi.

Minimizzai, dicendo che da adulta non era una grande perdita se indipendente.
Sì, ma ciò ripercuoteva quel che era il mio presente.
Chissà; con qualche buon esempio in più, qualche illusione di quell'età, sarei cresciuta meglio e con una vista meno negativa.

Tendevo a minimizzare e ad ingrandire gli argomenti dei passanti che mi confidavano la loro vita come segreto confessionale stile prete e chiesa.

Nell'ultimo periodo mia madre mi aveva mandato in tilt in cellulare con messaggi carini e dolci, quasi a voler rimediare.
Ero forse io la cattiva?
Quando sarei stata più grande, diceva, avrei capito e imparato.
Tuttora non so se sarò mai in grado di perdonarla.

Cercai un contatto con Fred, mi sarei accontentata di un suo "ciao".
Però, si sa, non tutti gli esseri umani sanno essere riconoscenti al momento giusto.
Non capii cosa avessi sbagliato, ma mi ripetei lo stesso di continuare a guardare.
Per farmi del male, forse, per acquisire la realtà di quel che mi era appena accaduto.

Le persone entrano ed escono, e noi non possiamo farci niente nella maggior parte dei casi.

«Mi sembra di rivederti quando eri una ragazzina», ebbe la faccia tosta di commentare lei.

Non provai rabbia o pietà, solo... niente.
In quell'evento, di meglio, non c'era nient'altro.

«Tu che cosa ne sai di quando ero ragazzina, Katherine?», enfatizzai il suo nome, estinguendo totalmente il vocabolo "mamma" dal mio dizionario.

«Capirai, un giorno, quando sarai madre».

«Capirai, un giorno, quando sarai figlia. Ah no, lo sei già. Allora il problema non è l'essere, ma cosa sei tu, e non io. Vorrei sputarti tante di quelle cose contro che potrei scriverci un libro. Ma sai cosa? Non ne posso più. Hai fatto la tua vita, no? Sei felice così e io non posso costringerti ad avere sensi di colpa per un qualcosa di cui vai fiera e metti i tuoi ragionamenti in bocca di chi non sa. Non sarò stata la figlia perfetta, ma tu non me ne hai dato neanche la possibilità. Quindi sai cosa, di nuovo? Sono anni che dico di essere stanca, e ora lo sono davvero. Buona fortuna, con il tuo UNICO figlio».

Raggiunsi il ragazzino, passandogli il suo carillon a cui era affezionato tanto e che non riusciva a fare a meno la notte.
Era viziarlo, sì, ma nessuno commette errori qui?
Soprattutto, se questo è un errore, il resto cos'è?
Noi cosa siamo?

Lui annuì, quasi a volermi abbracciare.
La ultra cinquantenne però lo strattonò, facendolo salire sull'auto del suo nuovo amore.

Aveva i capelli di una tinta scaduta, dei vestiti ridotti in brandelli, una cera diversa da quella a cui ero solita vedere, per come potessi.
Il tempo faceva il suo ricorso, ma non immaginavo fosse invecchiata tanto così.

Fu l'ultima volta che la vidi.

Perciò, alzai la mano destra in segno di saluto rivolto solo a Fredrick e, in un sorriso acerbo, attesi che la macchina svanisse dalla strada.

Presi un respiro profondo, toccai una goccia di pioggia con il palmo della mano e tornai nell'appartamento che dividevo con quei due ragazzi.

Ebbi una reazione diversa dal solito.
Dopotutto, nonostante il dispiacere, ero forte.
Avevo una forza diversa, il mio sistema nervoso aveva già donato la disperazione che aveva in serbo per un solo corpo e anima.
Quindi, abbreviando, mi diressi dove non avrei mai pensato di tornare.

Da quando mio padre era in cura per problemi al fegato, gli inviavo qualche soldo per compassione e perché sapevo che eravamo un po' tutti colpevoli.
Con le sterline che mi restavano, comprai qualche bottiglia di alcolici.

A: Jane ❤️
Ore: 16:00
Indovinaaaa? Stasera è quella buona!

Da: Jane ❤️
Ore: 16:01
Vai, ragazza! Rendimi fiera di te!

Non ero il tipo da ubriacarmi in un locale circondata da sconosciuti, ero troppo ansiosa per potermi concedere tale lusso.
Ciò non toglieva, però, che io potessi portarle a casa, chiudermi in camera mia al sicuro, e dimenticare per un lasso di tempo indefinito.

Non era saggio, affatto.
Avevo bisogno di novità, di staccare la spina al cervello, di essere una giovane come le altre, almeno una volta.
Non era bisogno di recuperare quanto perso, era... solo bisogno.

Bisogno di mettere un punto e una virgola accanto.
Finita una cosa, ne inizia un altra.

La mia vita, di certo, non era in pausa.
Io non avevo finito lì.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora