23. Principessa

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I nervi si estendevano dalle tempie alla punta dei piedi, non ne potevo veramente più di quella tensione che si espandeva ovunque.
Optai quindi, per togliermi ogni stress, di andare dritta alla causa.
Raggiunsi il punto detto da Chase, mi trovavo esattamente davanti alla porta del bagno.

Imprecai contro la mia stupidità.

La porta si spalancò senza darmi modo di sfuggire al suo fisico.
L'asciugamano gli copriva le parti intime, mentre il restante era scoperto.
Gocce d'acqua ricadevano sulla sua pelle abbronzata, il ciuffo era portatore di una quantità d'acqua che era stata sprecata.

Si morse il labbro inferiore, sorridendomi.

«Ti sei incantata, principessa?».

«Ti piacerebbe».

Sì, dovevo essere andata a fuoco.
Non mi imbarazzava il fatto che fossi davanti ad un ragazzo quasi nudo, ma era l'effetto che i miei ormoni avevano a destabilizzarmi.

Da quando Kevin mi aveva lasciata, avevo fatto una specie di voto di castità.
Avevo smesso con qualunque atto sessuale, con qualunque cosa potesse ricordarmi lui.

Le mie gote si erano colorate di rosso.
La sudorazione era accessiva.
La disidratazione aveva avuto la meglio, poiché le mie labbra erano sgretolate e nemmeno bagnare di saliva era servito.

«Che c'è? Non hai mai visto un bell'imbusto?».

I suoi pettorali si muovevano ad ogni sua parola, desiderai malamente che parló ancora solo per seguire il suo linguaggio corporeo.

Portò la mano sui capelli, scompigliandoli con l'asciugamano che teneva sulle spalle muscolose.
Una vampata di valore uscì dal bagno, i vetri se non altro erano appannati.
Non aveva usato un profumo specifico, ma lo shampoo al cocco mi mandava fuori di testa.

L'aria mi mancava.
A momenti mi sentivo indebolita, una specie di vittima dei cali di zuccheri.
Ero accaldata, colorata di rosso.
Gocce di sudore ricadevano sul mio povero corpo, mentre lui si strofinava i capelli su un asciugamano per rimuovere il bagnato che aveva allagato il suolo.

«Cosa vuoi una volta per tutte?», mi feci avanti coraggiosa.

«Niente, ho ottenuto quel che volevo. Stammi bene», mi scoccò un bacio sulla guancia, mi fece l'occhiolino e mi abbandonò sul posto, interdetta.
Non era egocentrico quando lo avevo conosciuto, evidentemente l'influenza di Ash aveva segnato.

Occhi indiscreti, nel bel mezzo della scena, mi fissavano aguzzi.
Quelle dannate iridi avevano la capacità di farmi percepire l'acqua poco più sopra del mento, come se avessi sbagliato qualcosa che nemmeno sapevo.

Era più facile, rinnegarli; una mossa da codardi, ma era talmente semplice che mi appariva l'unica opzione valida per sfuggirgli.
Un arma a doppio taglio: ingenua, che non avrebbe fatto male a nessuno.

Percorreva ancora per intero le mie forme, mentre trasalivo.
Avrei dato tutta me stessa per reagire aspra, per rispondere come si vedeva nei film, ma le mie corde vocali erano in pausa.

Continuava a guardarmi, da lontano, mentre stava passando da lì.
Non squadrai il suo, di corpo, bensì mi soffermai solo sul contatto visivo.

Fui io a interromperlo, per poi chiudere di colpo la porta.
Mi osservai allo specchio.
Non era il mio bagno, ma era una questione di vita o di morte.

Raccolsi i capelli castani in una lunga treccia, chiudendo gli occhi e stringendoli forte.

Respirai, dentro e fuori.

Ogni cosa mi sembrava in movimento, girava senza sosta, ma io avevo i piedi piantati a terra.
L'afa non si lasciava abbindolare dal ventilatore, ciò non fece altro che aumentare il caldo insopportabile che mi faceva schizzare dalla voglia di togliere ogni vestito.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora