Capitolo 27

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Paint it Black - Rolling Stones

"Cazzo Joey rispondimi!" le sue dita tremavano nervosamente mentre provava disperatamente a chiamare il fratello maggiore, troppo distante ma soprattutto troppo asssente.

"Mi manchi Joey! Porca puttana!" decise di scagliare il telefono contro il materasso dopo la quarta chiamata. Che si aspettava in fondo? Era un ragazzo del college e di sabato sera non poteva fare altro che divertirsi.

Dopo che finì anche lei vicino al cellulare, stesa a pancia in sù, portò un braccio sul viso per cercare di non piangere, si imponeva di non farlo, voleva solo calmarsi. Poi bussarono alla porta.

"Kim posso?" Michael era, forse, l'unica persona che non avrebbe trattato male in quel momento. Era un ragazzo troppo dolce per mandarlo via.

"Entra" rispose atona lei.

Il ragazzo dai capelli ormai blu entrò nella stanza poco illuminata e piena di rabbia, nei suoi giorni di permanenza in quella casa non ci era mai entrato.

"Tua madre mi ha mandato a chiamarti, è pronto, credo avesse paura di mandare chiunque altro" sorrise timidamente, Michael sapeva essere tanto estroverso quanto tenero.

"Non ho fame Michael, scusami"

"Immaginavo..." si sedette affianco a lei sul letto "vuoi un po' di compagnia?"

Lei lo guardò negli occhi, così trasparenti e sinceri, ci si poteva benissimo intravedere la sua anima pura. Non sapeva cosa rispondere, di certo non voleva rimanere sola ma non credeva neanche che lui fosse la persona giusta, poi le ricordava troppo Luke.

"No, tranquillo, va' pure a cenare, sto bene" ed eccolo lì, un'altro di quei sorrisi finti che si infranse col rumore della porta che si chiudeva.

"Di nuovo sola Kim" sussurrò a sè stessa prima di abbandonarsi contro il materasso.

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"Cazzo quanto è tardi!" Jimmy si malediceva o forse no. Aveva passato più di un'ora e mezza con la sorella a telefono per parlare. Era felice di sentirla anche solo parlare di moda con quei termini francesi che per lui non significavano niente ma, se detti dalla voce felice di Estelle, erano pura gioia.

Così percorreva di fretta la strada verso casa Armstrong che era più lunga di quanto lo fosse stata all'andata, quando era preso dalla rabbia. Una volta arrivato si trovò davanti alla porta il piccolo Brixton che lo abbracciò. I gemelli, anche se piccoli, capivano i dasigi interni alla loro fragile famiglia e per il bambino era bello vedere il fratello maggiore.

Entrato in sala da pranzo erano tutti seduti e la tavola era apparecchiata anche per lui, vicino ai piccoli di casa che spesso si contendevano il fratellone.

"Non dovevate uscire voi?" chiese poi ai ragazzi.

"Si ma alla fine abbiamo deciso di stare tutti insieme qui" rispose cortese Calum.

"Magari dopo possiamo uscire e andare a bere una cosa" propose Ashton con un grande sorriso.

"Magari no" rispose acido Jimmy procurandosi un calcio da sotto il tavolo da parte di qualcuno. Prima pensò fosse il padre, ma in realtà era stato Billie Joe.

"Volevo dire, non mi va molto, grazie" cominciò a mangiare quando notò due posti liberi.

"Mancano Michael e Kim" puntualizzò.

"Sono di sopra" rispose Luke pensieroso che nel frattempo, non aveva toccato cibo.

Poi Michel scese le scale ma senza Kim, così, rassegnato, si sedette a tavola.

Tutti cenavano in silenzio ma a Jimmy non andava bene, di nuovo, come un paio d'ore fa, non sopportava quella falsità, mancava Kim.

"Adesso basta!" sbottò ad un certo punto alzandosi da tavola. Si diresse verso le scale ed iniziò a salire i primi gradini quando Luke lo trattenne per un braccio.

"Lasciala stare, è colpa mia, così peeggiori la tua situazione, credimi" gli spiegò.

"Che cazzo dici Luke?" Jimmy non capiva.

"Ce l'ha con me, non con te" precisò.

"Non credo proprio." rispose.

In un istante si liberò della presa del biondo e continuò a salire fino alla camera di Kim davanti alla quale si bloccò. Cosa le poteva dire? Non lo sapeva neanche lui cosa gli passasse per la maggior parte del tempo nella testa. Poteva mettere a posto Kim quando neanche lui era così a posto?

Così andò in camera di Jakob, sapeva bene dove teneva le cose, e prese un fogliettino e una penna dalla scrivania. Ci scarabocchiò sopra qualche parola e lo infilò sotto la porta di Kim prima di scendere e continuare a fingere un'allegra cena di famiglia con quattro ragazzi a lui estranei.

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Il bigliettino era verde acceso, piegato in due e quasi si poteva leggere la fretta nel modo in cui era stato piegato e scritto.

Mi dispiace solo che le cose non siano più come una volta,

-Paint it Black, Rolling Stones

Non c'era bisogno della firma, un po' perchè quella calligrafia storta era inconfondibile, un po' perchè la canzone era la loro. L'avevano ascoltata tante di quelle volte e forse a Kim sembrò stupido come non avesse pensato ad un paio di cuffiette per calmarsi, a quella canzone in particolare. Lei e Jimmy volevano che ogni cosa si colorasse di nero quando erano arrabbiati o tristi, come se tutto quello che li circondasse non dovesse avere emozioni, quasi per non disturbarli, quasi per rispecchiarli. E Mick Jagger sapeva bene come entrare sia nel cervello che nel cuore della ragazza che, anche se così giovane, aveva sempre avuto un debole per quella band ma per quel cantante in mmodo particolare.

"No colors anymore, I want them to turn black..." la sua voce era flebile e, a quanto pare, come sempre era solo Jimmy a capirla. Solo lui sapeva come si sarebbe calmata almeno un po'.

7k!!!!!!!

Davvero assurdo.

Vi sto amando sempre più e spero che a voi continui a piacere la storia♡♥

Grazie mille e se avete da dirmi qualcosa fate pure :) ♥

Mar

Rage and LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora