55- ti odio

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La mediocrità mi ha sempre spaventata a morte: non riuscire a creare qualcosa che sia indelebile, gettare al vento anni su anni di fatica a gestire e a gestirmi per ritrovarmi poi con della sabbia in mano - talmente piccola e leggera che viene spazzata via e tutto resta inutile. Vivevo la vita tranquilla e piatta che avrei da sempre voluto ammutinare - gli scossoni mi trascinano sempre in basso, sono sempre più rari ma ci sono, e nessuna corrente mi riporta a galla. Camminavo affondando i miei piedi a ogni passo di più ma impercettibilmente, diventando parte integrante della melma insipida che mi avvolgeva ormai le gambe. Mi stavo perdendo in tutto ciò che avevo sempre rifuggito: non c’era tempesta e non c’era fragore, non c’era battito e non c’era bagliore - c’era solo la calma di un’acqua che desidera ardentemente ribollire ma che era costretta a sopravvivere in una bacinella. Non era il suo spazio e  non era il mio spazio, eppure doveva vorticare sempre su se stessa senza poterne uscire. Volevo rompere questi confini che mi avevano costruito intorno, ma ormai avevo solo le mie mani nude, armi che erano arrugginite da tutte le volte che sono state costrette a lottare, graffiare e stringersi fino a segnarsi violentemente. Livida, ammaccata e disordinata: come potevo salire la scala se non trovavo più nemmeno il primo scalino? Come potevo risplendere se tutto ciò che producevo era dello stesso spessore di una stoffa delicata che si strappa e vi si guarda attraverso? Nessuno vedeva i contorni frastagliati ma solo il buco, e si passa oltre. La mia mente si nutriva di ambizioni a uscirne viva e possente, perché magari un giorno tutto questo sarebbe diventato arte. Invece, tutto questo è rimasto difficile, denso e distante, steso e insignificante come sono insignificante io.

<per che ora hai prenotato il tavolo?> chiesi a Brandon mentre iniziai a spogliarmi per andare a farmi la doccia.
<per le 20.30, ma penso possiamo andare un po prima. Di solito non c'è tanta gente in quei ristoranti> io ridacchiai
<si può sapere dove andiamo?> mi sfilai i pantaloni
<no, non te lo dico. È una sorpresa>
<oh ma dai, che cazzate> risi mentre cercavo di slacciare il reggiseno <piuttosto aiutami che si è incastrato il gancetto> mi voltai di schiena. Mi raggiunse e rabbrividii quando le sue dita congelate toccarono la mia schiena.
<l'unica cosa che ti dico è che ti devi vestire bene>
<mio dio, sei una palla> mi imbronciai. Feci cadere il reggiseno e mi avviai al bagno dandogli le spalle.

<dato che non posso venire, datti una mossa con il bagno, che anche io mi devo fare la doccia>
Mi voltai verso di lui <chi ha detto che non puoi venire con me a fare la doccia?> ridacchiai <tieni le mani a posto e puoi entrare> sorrisi e mi morsai il labbro inferiore.
Lui mugugnò un "mh" sofferente ma mi seguì mentre iniziava a spogliarsi.

Mantenne la parola e sotto la doccia non allungò le mani.
<Brandon, dannazione, levati, serve anche a me> avevo bisogno del doccino.
<se sapevo così non sarei venuto a fare la doccia con te. Invece che velocizzare tu rallenti> si lamentò a sua volta.
<non è colpa mia se tu stai tutto il tempo li sotto e-> ritrovai le sue labbra sulle mie. <Brandon-> mormorai, appoggiai le mie braccia sulle sue spalle e le mie mani sul suo collo <avevamo detto-> ansimai.
<di non allungare le mani> continuò sussurrando <e io non ti sto toccando. Tu tocchi me> io mi staccai e lui si raddrizzò. Fece un passo indietro e io lo guardai intontita. Stavo cedendo di nuovo.

Lenta mi avvicinai e lo abbracciai, posai la testa sul suo petto e e rilasciai il respiro, consapevole che lui non mi avrebbe messa a disagio e non avrebbe giudicato ciò che io avrei mai fatto. Posò le sue mani sulla mia schiena e mi coccolò mentre l'acqua scendeva su di noi. Mossi le mie mani sui suoi fianchi e mi rilassai.
<Eryn?> mi chiamò <non vorrei... non vorrei essere scortese, ma... sarebbe meglio che tu ti spostassi. Perfavore> sospirò. Io annuii e indietreggiai. Cercai di non guardare giù, ma non ci riuscii per molto. <cazzo no, non guardare. Mi dispiace> si voltò e tirò indietro i suoi capelli. <ti puoi... ti puoi girare?>
<si, scusa> mi voltai e continuai a insaponarmi. Lo sentii sospirare e imprecare. Allora, lentamente mi voltai verso di lui, mi avvicinai e gli accarezzai la schiena. Lui rabbrividì e tremò sotto le mie mani. Portai la mia bocca sulla sua schiena e la baciai e morsai. Quando sbuffò e appoggiò una mano al muro capii di dovermi fermare.
<è okay> gli dissi accarezzando il suo fianco. <ora però continuiamo, se no questa doccia non finirà mai> ridacchiai alla fine
<hai ragione> sorrise girandosi verso di me <grazie>
<per cosa?>
<per non avermi messo in imbrazzo> rispose ovvio dandomi un bacio sulla fronte.
<non lo farei mai, Brandon>
...
Mi accomodai lasciando che Brandon mi sistemasse la sedia dietro di me.
<grazie> sorrisi seguendolo con lo sguardo mentre si metteva seduto. Sentivo lo sguardo di Jesse sulla mie schiena, mentre era appostato a qualche tavolo di distanza da noi. Appena si sedette un cameriere ci raggiunse consegnandoci i menù.
<vi posso portare qualcosa da bere intanto?> alternò lo sguardo da me e e Brandon.
<si grazie. Una bottiglia di champagne. Il Krug Clos d’Ambonnay se possibile> io lo guardai con gli occhi sbarrati
<certamente signore> si allontanò lasciandoci il tempo di decidere.

Dal tramonto all'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora