11- casa

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<Eryn?> mi svegliai sentendo il mio nome.
<Travor? Siamo arrivati?> chiesi impaziente
<no. Siamo fermi in una stazione di servizio. Devi scendere? Vuoi andare in bagno?> chiese con un tono che sapeva di premura.
<no. Ti ringrazio>
<bene. Scendi, però, che io ci devo andare e non ti posso lasciare da sola>
Viaggiare insieme a qualcuno è un'esperienza unica. Ti aiuta a conoscere davvero le persone. Una settimana prima pensi a quanto siamo spocchiose quelle ragazze e le guardi male, e poi ti ritrovi con loro ad urlare in cima ad una ruota panoramica. Scopri che non consoci mai tutto di una persona, nemmeno della tua migliore amica: in realtà non dorme mai coi calzini e la sua vita perfetta non è poi così perfetta. Viaggiare con qualcuno ti aiuta a conoscerlo davvero, a vederlo in un contesto diverso dal normale e ad apprezzarle di più per quello che sono. È anche questa la magia del viaggiare.
Scese dall'auto e venne dalla mia parte, aiutandomi a fare altrettanto e a coprirmi veloce con la giacca. Afferrai ancora addormentata il suo braccio e insieme camminammo nella direzione della stazione. Era freddo e lui mi copriva con il suo braccio. Probabilmente mi facevo solo delle gran illusioni a pensare che quel gesto lo fece con dolcezza.

Entrammo dalla porticina e la temperatura non era cambiata di molto, però si stava meglio. 
Al bancone del piccolo bar c'era un ragazzo, che portava un'aria del tutto svogliata e annoiata.
<io vado a dare pipì, Eryn. Cercherò di fare più veloce che posso. Tu siediti lì e non ti muovere. Se c'è qualcosa, urla> parlò preoccupato. Mi lasciò al bancone e se ne andò.

<fidanzato?> chiese il cameriere
<no. È difficile da spiegare. Mi puoi dare un croissant alla nocciola?> lui annuì e mi servì svelto. Era buono.
<non è che me ne potresti dare due da portare via insieme a un caffè?> chiesi masticando. Gentile annuì, pagai e quando Travor tornò ce ne andammo.

Il mondo. Nei suoi occhi c’è il mondo.
Pezzi di America sparsi e migliaia di naufraghi in balia dell’oceano. Il sole cocente della California che arde sulla sua pelle lattea. L’odore di agrumi siciliani che evapora da essa e s’espande prepotente. Il freddo pungente della Russia ed una frivola roulette. Le piogge ordinarie di Londra ed i suoi capelli corvini fradici come fosse ancora sotto la doccia, il letto intatto alle tre del mattino perché da qualche altra parte - in fondo - è ancora giorno; e non sa più che ore siano, e non sa più dove sia casa, se non tra le braccia del mondo. 

<ti ho preso due croissant, Travor. Anche un caffè> gli dissi. Mi fece aprire il sacchetto e gli diedi un croissant.
<grazie, Eryn. Quanto hai speso?> chiese stupido, pensando che davvero mi sarei fatta ridare i soldi spesi
<niente. Li ho rubati> ironizzai
<no, sul serio. Non mi voglio sentire in debito> insistette. Io risi. Risi forte e lui mi guardò stranito
<tu in debito? E io che rimango a casa tua per cinque giorni? Cosa dovrei dire? Non essere sciocco> gli dissi. Si tranquillizzò e mi disse di nuovo grazie.
<quanto abbiamo ancora di viaggio?>
<venti minuti. Hai dormito un sacco, Eryn. Pensavo fossi in coma. Intanto le mie cose le ho fatte e così ci rimane solo andare a casa e riposarci> mi spiegò. Per il resto del viaggio non dormii perché volevo aspettare di arrivare alla casa dell'uomo di fianco a me. Mi disse che quel pomeriggio sarebbe venuta a trovarlo sua madre e forse anche il fratello, mentre la sorella il giorno dopo. Aggiunse che sarebbero rimasti poco, poiché li trova stressanti e si sarebbe trovato una scusa da usare per mandarli via.

<siamo arrivati> annunciò con un tono monotono. Cercai di trattenere più che potevo l'entusiasmo: non vedevo l'ora di visitare quel piccolo pezzo di mondo che era la sua casa, regalandomi un nuovo pezzo di lui. Scendemmo dall'auto e ci avviammo verso un palazzo che veniva suddiviso in appartamenti. Non era una struttura antica, un po' decadente e con la vernice esterna a pezzi o i muri grezzi. Tutto il contrario. Sembrava nuovo ed era veramente molto carina. Era semplice ma esprimeva anche del lusso. Pensavo avessimo usato l'ingresso comune, invece mi spiegò che ne aveva uno a parte siccome abitava ai primi piani. Era una grande porta, la sua. Era dipinta di un colore verde petrolio, leggermente arcata sopra da formare una grande volta e ai lati aveva dei pezzi di vetro che partivano da metà della porta. Prese le chiavi dalla sua tasca dei jeans e aprì la porta con tre giri di chiave, poi spinse leggermente e questa ci svelò un ampio ingresso luminoso, le pareti bianche e il pavimento in marmo lucido con vene grigie quando accese la luce.

Dal tramonto all'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora