17- entrambi

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Il mio grande problema era che non conoscevo le mezze misure. Per me non esisteva la metà, io ero tutto o niente, bianco o nero, la perfezione o il disastro. E questa cosa può sembrare bella, ma non lo era. Proprio non lo era. Correvo forte, poi mi fermavo e non mi muovevo più. Non ero capace a camminare. Avevo un mondo nella testa, enorme e bellissimo, avevo dentro di me una forza assurda. E se mi aprivo con qualcuno, glielo davo, quel mondo. Sapevo diventare casinista, appassionata, esuberante, ridevo e sorridevo. Ero una di quelle ragazze che faceva impazzire le persone che amano. Mi affezionavo a pochi, però lo facevo per davvero. E questa cosa può sembrare bella, ma non lo era. Proprio non lo era. Perché la maggior parte delle persone non riesce a gestire queste emozioni tutte insieme, è troppo difficile. Io ero troppo difficile, quindi la gente se ne andava via perché preferiva le cose semplici. Ero fragile, sentivo le cose in modo diverso dagli altri, era tutto strano e amplificato, era tutto un tormento.

C'erano momenti in cui potevo fare qualsiasi cosa. Poi, di colpo, crollavo e volevo morire, mi annullavo. Certe volte provavo così tante emozioni, tutte insieme, che andavo in tilt. Avevo un caos assurdo nella mente. Altre volte non provavo nulla, come se fossi completamente vuota. Non parlavo, ero fredda con le altre persone, mi limitavo ad osservare nell'angolo. Avevo sempre i capelli spettinati e gli occhi rossi dal pianto, sì, perché mi veniva da piangere in continuazione, mi si vedeva in faccia che ero disperata. Abbassavo sempre lo sguardo perché non mi interesavano gli argomenti di discussione. Non mi fidavo di nessuno.
Passai i giorni senza mangiare e bere per la troppa ansia, mi chiusi in camera e nessuno riusciva a tirarmi fuori di lì. Mia madre parlò con Brandon del nostro piano sullo chalet in montagna e il ragazzo disse che era più che felice di aiutarci e portarmi in un posto sicuramente più sicuro. Ma avevo delle condizioni: lui doveva andare, prima di trasferirci lì, a vedere il posto, sistemare delle cose in modo che saremmo stati preparati per ogni cosa che sarebbe successa. Poi, dovevo rispettare le regole che mi sarebbero state date, sia da lui che da Travor. Terzo, non dovevo dire a nessuno, ma proprio nessuno, quello che volevamo fare.

Brandon andò a vedere con mia mamma lo chalet il giorno stesso in sui lei propose la cosa, rimasero via quasi tutto il giorno. Io non ci feci molto caso siccome in quel moento non mi interessava molto. La mia priorità, in quei giorni, rimaneva sempre Travor. Come già ho detto, non facevo nemmeno caso a quando era ora di mangiare, perché proprio non me ne curavo. Non era una mia esigenza, quella.

Il giorno della sentenza finale, il giudice fece proprio un bello scherzo: all'inizio sembrava volesse condannare Travor per atti di terrorismo, ma poi si mise quasi a ridere e si ribaltò la situazione.

<... e non solo scagiono l'agente Hill da ogni tipo di accusa, ma invito anche a riflettere sul suo comportamento, che non ha reso altro che onore. Desidero che gli vengano riconosciuti i meriti delle sue operazione e a risarcirlo per le accuse e le ferite procurategli di una somma pari a 1 milione di dollari> mise via la sua cartellina e guardò chi accusò Travor. <voi avete solo da imparare da quest'uomo> furono le sue ultime parole. Io mi alzai e la prima cosa che feci fu correre da Travor, abbracciarlo e piangere sulla sua spalla.

<ciao, scricciolo> mi salutò affettuoso. Mi strinse forte a se e mi accarezzò i capelli. <mi hanno riferito tante cose, tra cui che non ti sei comportata molto bene in questi giorni in cui io non ci sono stato> continuò a parlare con un tono calmo. Mi staccai da quell'abbraccio e gli raccontai delle mie paure e di ciò che provavo mentre lui mi stava lontano. Volevo solo nascondermi in un abbraccio.

Quella volta ebbi una sensazione che al primo impatto giudicai come 'stranissima': ebbi l'impressione che quando tornava lui, tornava anche tutto il resto.

...

Spesso le tragedie della vita accadono in modo così poco artistico che a ferirci è sopratutto la loro violenza Rozza, l'assoluta incoerenza, la mancanza di significato e di stile. Ci urtano come ci urta la volgarità. Ci mostrano la forza bruta allo stato puro, e questo ci ripugna. Ma a volte la nostra vita è attraversata da una tragedia che possiede una bellezza quasi artistica. Se è una bellezza vera, il tutto finisce per toccare solo il nostro senso del drammatico. Di colpo ci ritroviamo a essere non più attori, ma spettatori del dramma. O meglio, Siamo entrambi. Osserviamo noi stessi, e la meraviglia di questa visione ci rapisce.

Dal tramonto all'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora