-"Non con te, Aryan."
"No, non con te, Jay."-
Aryan Chase, pogue dalla nascita, una ragazza forte ma ferita, che ha sempre cercato di affrontare i suoi demoni a testa alta, senza permettersi mai di crollare.
JJ Maybank, suo grande amico dalla terza...
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TRIGGER WARNING!
Le scene di questo capitolo sono colme di violenza di OGNI genere, leggete solo se siete consapevoli e non vi impressionate facilmente.
˚ʚ♡ɞ˚
Ero davanti casa mia. Ero scappata da ciò che mi faceva stare bene, perché era quello che sapevo fare meglio. Tutta la spensieratezza precedente era scomparsa con un solo passo e solo Dio sapeva la paura che stavo provando in quel momento.
Per tutti era così facile dirmi di fuggire via. Nessuno comprendeva quanto fosse difficile ogni volta tornare a casa, e quanto fosse ancora più arduo non tornarci affatto. Nessuno lo capiva e nemmeno voleva capirlo, perché avrebbe significato mettersi nei panni delle persone come me.
Stare lontano da casa faceva bene, ma allo stesso tempo sapere cosa accadeva, distruggeva all'interno. Per questo si tornava sempre. Chi cresceva nella violenza, cercava la violenza stessa.
Bussai alla porta con la mano tremante, sperando di essere ricevuta da un sorriso di mia nonna o da un abbraccio di mio padre. Ma la sfiga era sempre stata dalla mia parte, no?
«Ti stavo aspettando.» disse la sua inconfondibile voce, un misto di odio e disgusto. «Sei qui, eh?» domandai con la voce carica di apatia, il cuore che aveva smesso di battere «Non ti è bastata la scorsa volta?»
Osai alzare lo sguardo su di lei, i suoi occhi freddi mi incontrarono immediatamente, chiari e colmi di odio nei miei confronti, come al solito. I capelli biondi si erano allungati, il viso stava iniziando a dare i primi segni dell'età, il fisico era quello di una modella nonostante avesse portato avanti una gravidanza. Aveva aperto la porta con la mano con cui teneva la sigaretta, che ora perdeva cenere sul pavimento. Era più alta di me e mi guardava con quel disprezzo che speravo di non dover più affrontare.
«Papà?» chiesi, evitando le solite moine. «La mamma non la saluti?» fece lei, accennando quel tono falso che le si addiceva.
Strinsi i pugni, abbassando lo sguardo. Quella donna mi dava la nausea «Ciao, Kate» sibilai, accennando un sorriso falso «Mio padre?» Lei si scansò dall'uscio senza proferire parola, permettendomi direttamente di vedere cosa c'era dietro al suo corpo, cosa si stava concentrando a nascondere con così tanta cura.
I miei occhi saettarono immediatamente su una figura dietro di lei. Quella di mio padre.
Era steso a terra, il viso martoriato da ferite. Intorno a lui, tre bottiglie di alcool completamente vuote, riflettevano la fioca luce. Si era scolato ogni tipo di distillato che io avevo nascosto in camera, ogni singolo alcolico: whiskey, vodka, rum.
Il cuore si tuffò nel vuoto, le mani iniziarono a tremare, i respiri a farsi corti, la gola a stringersi, lo stomaco a rigirarsi. Non volevo più sentire quell'odore sui suoi vestiti, sulla sua pelle, nella sua camera.