Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiare.
-Denis Waitley>>>>>
«Si prega di allacciare le cinture - la voce metallica proveniente dagli altoparlanti invase l'abitacolo - siamo in arrivo a New York».
E alla fine avevo veramente preso quell'aereo, alla fine ero partita verso una nuova vita, una vita con Harry.
Era stata un'ardua impresa fare entrare tutto nel mio piccolo trolley. Avevo portato lo stretto indispensabile, anche se il mio viaggio non sarebbe durato pochi giorni o qualche settimana; il mio viaggio sarebbe durato per tutta la vita.
Dopo aver lasciato lo studio del signor Peterson, eravamo andati in giro per Milano. Mi sarebbe mancata quella città, per molti caotica e inquinata, che per me invece era una continua scoperta. Avevo abitato quella città per ventisei anni, e non c'era un giorno in cui non scoprissi qualcosa di nuovo. Non c'era giorno in cui quella città non mi stupiva. A volte mi regalava panorami inaspettati, di tramonti azzurri e senza nuvole, riempito solo da piccole sfumature rosa che il sole decideva di fare ammirare al mondo.
Dopo aver fatto i turisti per tutto il resto del pomeriggio, c'eravamo messi a cercare scatoloni, che poi mia mamma avrebbe spedito dall'altra parte del mondo. L'avevo chiamata non appena avevo accettato la richiesta di Harry, non appena avevo seguito il consiglio del mio cuore. Era felice della mia scelta, come sempre accettava le mie decisioni, se queste mi rendevano felice.
Lei aveva sempre saputo che io e Harry eravamo uno la felicità dell'altro, e non aveva mai negato il suo pensiero, nemmeno nei periodi neri, nemmeno quando non volevo che il nome di Harry venisse pronunciato.
Harry, diceva mia mamma, era la luce che mi poteva salvare dal buio; l'unico che era stato in grado di distruggere il mio cuore, e il solo a poterlo guarire.
«Sei pronta a vivere la tua nuova vita?» Harry poggiò la sua mano sulla mia, facendomi voltare verso di lui.
«Sono pronta a vivere l'unica vita che vale la pena di essere vissuta» gli sorrisi dolcemente, fissando quelle due labbra rosa distendersi in un sorriso.
«Ti amo, lo sai?».
«Lo so» risposi sorridendo, lasciando che la mia testa ricadesse di nuovo sulla poltrona.>>>>>
Quell'ascensore, che avevo presto così tante volte da non poterle più contare, stava salendo al quarto piano del palazzo che aveva fatto parte della mia vita.
Erano passati quasi tre anni dall'ultima volta che mi era trovata lì, a casa di Harry.
Non potevo non notare l'evidente tensione di Harry, che stava in piedi accanto a me. Muoveva compulsivamente le mani, facendo tintinnare le chiavi di casa che teneva nella mano destra.
Nessuno dei due aveva detto una parola da quando avevamo ritirato i bagagli dal rullo dell'aeroporto, Non sentivo la sua voce da quando aveva comunicato al tassista l'indirizzo di casa sua. Eravamo entrambi ansiosi, forse perché in quel momento ci stavamo veramente rendendo conto che era tutto reale, che era davvero arrivato il nostro momento.
Potevamo finalmente vivere il nostro amore, senza ostacoli, senza nessuna intromissione o paura. Era il momento di vivere il nostro per sempre.
Dopo un tempo che mi sembrò infinito, l'ascensore si fermò, facendo sospirare entrambi di sollievo. Ci guardammo negli occhi e, per la prima volta da quando eravamo partiti, scoppiamo a ridere, una risata quasi isterica. Tornammo subito seri, come se esprimere contentezza fosse inappropriato in quel momento, come se quel momento fosse troppo importante per ridere, come se essere felici avrebbe rovinato tutto.
Il silenzio tra di noi mi permise di sentire chiaramente il rumore delle ruote dei trolley sulla moquette, i miei passi, e quelli più pesanti di Harry sbattere sul pavimento, e infine il rumore della chiave entrare e girare all'interno della serratura.
Il click che fece scattare la serratura fece accelerare il mio battito cardiaco, e la frequenza dei miei respiri.
«Prego - Harry aveva aperto al porta e si era spostato per permettermi di entrare - benvenuta a casa».
Feci un passo, ma il mio corpo si bloccò non appena si rese conto di essere veramente tornata in quella casa, che aveva visto il meglio e il peggio di noi.
L'ultima volta che avevo messo piede in quell'appartamento, portavo nel mio grembo una creatura vivente, con un piccolo e veloce battito cardiaco, con mani e piedi non ancora completamente formati, una creatura incompleta che per me era già la cosa più importante. La cosa più completa che avessi mai posseduto.
L'ultima volta che ero stata lì stavo abbandonando Harry, era stato l'inizio della fine. Quel momento lo potevo definire, invece, come la fine del buoi, l'inizio della luce.
Non potei fare a meno però di far viaggiare la mia mente, di riportarmi al passato, a quel giorno, di ricordare la moltitudine di sensazioni che avevano accompagnato quella giornata e l'avevano resa una delle giornate più brutte della mia vita. Non era, però, stata la peggiore; quella era stata il giorno dopo, quando mi ero risvegliata in una pozza di sangue, quando avevo perso il mio bambino, il nostro bambino.
Dopo quel giorno mi era capitato spesso di sognarlo e, nonostante avessi pensato sempre ad una piccola bambina dagli occhi verdi, nei miei sogni non era così. Era un maschietto dagli occhi verdi come il padre, dai capelli color ramato scuro e il casino piccolo, proprio come il mio. Aveva una stupenda bocca a cuore, di un rosa da fa invidia a qualsiasi donna.
Io piangevo sempre in quei sogni.
Piangevo per non ave mai potuto abbracciare quel piccolo fagotto, che non avrebbe mai imparato a camminare, non gli avrei mai potuto insegnare a parlare, e Harry non avrebbe mai potuto insegnargli a giocare a basket.
Tornai al presenta quando Harry si posizionò davanti a me, prese una mia mano nella sua e la strinse. Mi voltai per guardarlo.
Aveva la mia stessa espressione, ed ero certa stesse pensando al nostro ultimo giorno qui, a come si era conclusa.
«Non è cambiato molto dall'ultima volta - disse, confermando i mie sospetti - a parte noi».
«Vero. Manca solo la poltrona».
Era davvero tutto uguale in quell'appartamento, come se tutto fosse rimasto immutato negli anni, come se non fosse passato nemmeno un giorno d'allora, invece erano passati anni.
Mi sentivo a casa e, anche se queste mura conservavano dei momenti brutti, custodivano anche tutto il nostro amore, passato e presente.
Tutto era come l'avevo lasciato, a parte quella poltrona che non era più al suo posto, era sparita. era la poltrona più comoda che avessi mai avuto, l'avevo messa vicino alla finestra per trovare ispirazione per il mio libro, adoravo scrivere mentre guardavo il panorama newyorkese. Ricordo che la comprammo insieme, in uno di quei negozi dell'usato, simili a mercatini; c'eravamo trovati lì per caso, o forse quella poltrona doveva essere mia.
«Vuoi sapere che fine ha fatto? - annuii, mentre sul suo viso si stava formando un'espressione colpevole - quando ho scoperto che eri veramente partita, ero arrabbiata, anzi furioso. Quando sono tornato a casa, e i miei occhi si sono posarti su quella poltrona, non ce l'ho fatta. Faceva troppo male vederla lì tutti i giorni, senza te seduta su di essa, senza vederti scrivere ogni giorno. L'ho fatta in mille pezzi, senza riuscire a capire come».
Non so per quale assurdo motivo scoppiai a ridere, senza riuscire a trattenermi. Non so se la mia risata era una risata di disperazione, o se stessi cercando di stemperare la tensione che si era creata attorno a noi. Sapevo solo che stavo ridendo di gusto.
«Lo trovi divertente?» Harry mi guardava sbigottito, come se stentasse a credere a ciò che stava vedendo.
«Scusami - dissi fra le risate - non so perché sto ridendo, ma sto immaginando la scena di te che distruggi la poltrona. E non posso non ridere!».
Restò a guardarmi ancora per qualche secondo, mentre io non riuscivo a smettere di ridere. Poi vidi il suo sguardo trasformarsi, aveva in volto un sorriso tra il dolce e il furbo, uno dei sorrisi di Harry che adoravo.
Ogni sua espressione aveva il suo perché, la sua sfumatura. Ogni cosa di Harry era speciale, anche tutti i suoi mille sorrisi.
«Ti faccio ridere io, piccola» si scrocchiò le dita, con fare minaccioso, e si avvicinò cautamente a me, che mi era allontanata da lui per le troppe risate.
«Che cosa vuoi... - stavo per dire, ma poi capii le sue intenzioni - no, ti prego» e iniziai a correre.
Cercai di scappare, facendo il giro della penisola. Avevo capito cosa stava tramando: il solletico, la cosa che più detestavo al mondo.
«Tanto lo sai che ti prendo. Meglio arrenderti! Più tempo passa, peggiore sarà la punizione».
«Non mi arrenderò mai!» dissi convinta.
«Come vuoi!» e la lotta cominciò.
Non passò nemmeno un minuto prima che mi prendesse.
Odiavo il solletico, ma qualsiasi cosa Harry mi facesse, la rendeva bella, speciale. Lo supplicai di lasciarmi andare infinite volte, ma solo quando iniziai a baciarlo, si fermò.ANGOLO DELL'AUTRICE:
Buon inizio settimana a tutti!
Bea si è convinta a partire con Harry per una nuova avventura, una nuova vita. Ho letto molti commenti sul fatto che Bea sarebbe stata pazza a non accettare, beh, io non sono d'accordo. Per esperienza personale vi posso dire che nella vita bisogna mettere al primo posta se stessi e non pensare alle conseguenze sugli altri. Io probabilmente non avrei lasciato il mio posto sicuro per un amore, quindi capisco i suoi dubbi.Spero vi sia piaciuto il capitolo!
Vi ricordo di passare a leggere la mia nuova OS se non l'avete già fatto.
All the love,
BARB
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Non Passerai//H.S.
FanfictionA volte ritornano.. Ma sarà davvero sempre così? Gli amori, quelli veri, sono destinati a ritornare o è solo un'illusione? Beatrice ritorna a New York dopo tre anni, in vista del matrimonio di sua cugina. Sapeva in cuor suo che avrebbe dovuto rivive...