Vagabonda

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A volte è giusto essere egoisti. Pensare sempre e solo agli altri può essere nocivo per la vostra mente e il vostro corpo.

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Un rumore di stoviglie e la luce proveniente dalle finestre, dimenticate aperte la notte precedente, interruppero il mio sonno.

Aprii lentamente gli occhi, ispezionando l'ambiente che mi circondava, pareti conosciute, ma che sapevo non appartenermi, e anche se avevo sperato che la sera precedente fosse stato solo un brutto sogno, ero consapevole che non lo era stato affatto.

Mi trovavo su un divano di pelle nera abbastanza grande, ma troppo piccolo al tempo stesso da passarci la notte in due. Mi alzai cautamente, massaggiandomi il collo indolenzito dalla notte appena trascorsa, tentando di non svegliare la persona accanto a me che dormiva come un angelo, ed infondo lo era, quel ragazzo era il mio angelo, sapevo di poter sempre contare su di lui, di avere sempre una spalla su cui piangere e delle braccia in cui rifugiarmi. Lui c'era sempre, anche quando pensavo di non averne bisogno, quando ero convinta di potercela fare da sola. Lui era una presenza costante e mai invadente, sempre pronto a sopportarmi ed accompagnarmi.

Andai verso la cucina, dando un'ultima occhiata al mio amico e, per la prima volta da quando avevo lasciato casa di Harry, sul mio volto comparve un sorriso spontaneo.

«Devo essere gelosa anche di te?» disse una voce femminile una volta entrata in cucina.

«Credo proprio di si» dissi seria.

«Lo sapevo che mi avresti fregato l'uomo prima o poi» e a quelle parole non potemmo far altro che scoppiare a ridere all'unisono.

Sarah era in cucina, intenta a preparare la colazione, sempre dentro quel suo grembiule blu con i panda, sempre sorridente e allegra. L'avevo sempre vista in quel modo, nonostante le difficoltà e i problemi, sempre pronta ad affrontarli di petto e a testa alta. Nascondeva insicurezza dentro di sé, ma non permetteva a nessuno di vederla realmente, se non a chi sapeva di poterla mostrare senza essere giudicata, ed io per fortuna ero una di quelle persone elette dal destino.

Il profumo dei pancake che riempiva la stanza, misto a quello del caffè, che amavo tanto quanto Sarah lo odiava, mi fece sentire a casa, perché lei e Liam erano quel tipo di persone che trovavano sempre il modo di guarire le tue ferite con i piccoli gesti.

«La colazione è quasi pronta. Puoi andare a svegliare le due piccole pesti?».

«Certo!» esclamai allegra, mentre mi toccai istintivamente il ventre, constatando che da quel giorno, qualunque cosa fosse accaduta, non sarei più stata sola.

Dovevo essere felice, perché lo meritavo, e perché da quel giorno in poi sarei stata occupata a prendermi cura del mio bambino.

Salii le scale che portavano al piano superiore ed entrai nella stanza delle bambine. Mi soffermai ad osservarle dormire, nella stessa esatta posizione del padre, e mi scappò un sorriso immaginando quanto mio figlio sarebbe stato somigliante a suo padre. Non poteva fare a meno di immaginare il broncio sul suo volto quando avrebbe desiderato qualcosa che sapeva di non poter avere, o quel dolce sorriso che indossava solitamente suo padre quando voleva convincermi a fare qualcosa che sapeva non andarmi a genio.

«Zia?» la piccola Elis mi chiamò dal suo piccolo letto.

«Ciao tesoro - le risposi dolcemente, andandomi a sedere sul suo letto - la colazione è pronta».

Nonostante fossero gemelle le avrei riconosciute anche ad occhi chiusi, erano perfettamente uguali, ma i loro caratteri erano a dir poco opposti. La piccola Elis era calma e dolce, molto riflessiva e timida, mentre la piccola Bea era un piccolo vulcano in esplosione, l'esatto opposto di sua sorella. Liam rinfacciava sempre a me ed Elis i loro caratteri, nonostante avesse erroneamente invertito i nomi.

Non Passerai//H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora