Capitolo 1.

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Mi svegliai, sbattei le palpebre, mi sfregai gli occhi e non vidi nient'altro che bianco puro. Nessuna forma, nessun'ombra, nessuna variazione, niente. Solo bianco. Provai un attimo di panico finché capii che forse stavo ancora sognando. Strano, ma di certo un sogno. 

Percepivo il mio corpo, percepivo le dita contro la pelle. Percepivo il mio respiro. Sentivo il mio respiro e anche il battito del mio cuore. Eppure sapevo che c'era qualcosa che non andava. La paura mi attanagliò le budella. Una paura tremenda, rivoltante, tossica. Scattai a sedere, madida di sudore e con un senso di nausea attaccato allo stomaco. Prima ancora di riuscire a capire esattamente dove mi trovavo, prima che le informazioni viaggiassero attraverso i nervi e le funzioni cognitive della mente, seppi che qualcosa non andava. 

Ero sdraiata su un letto abbastanza comodo, da sola, in una stanza. Mi guardai attorno, sperando di placare il mio senso di smarrimento, ma al contrario, mi accorsi di non sapere dove diamine fossi finita. Portai le gambe fuori dal letto e le appoggiai al terreno che, con mia sorpresa, risultava spugnoso e liscio, ma abbastanza elastico da risultare comodo. I miei piedi scalzi fecero leva sul terreno e, con l'aiuto di braccia e gambe, mi tirai in piedi velocemente. 

Un giramento improvviso di testa mi colse alla sprovvista e cercai un appoggio contro la parete. Dovetti lottare contro me stessa per non vomitare e mi portai una mano sugli occhi, cercando di stabilizzare il mio corpo. Non seppi se quell'improvviso mal di testa fosse dovuto alla luce luminosa e accecante che splendeva da un rettangolo sul soffitto, o al fatto che fosse tutto bianco. Le pareti, il soffitto, il pavimento: era tutto dannatamente bianco.

La mia mano si strinse a pugno sulla parete e lentamente alzai la testa per osservare meglio quello su cui stavo appoggiata: le pareti erano imbottite, con delle grosse fessure chiuse, a circa un metro l'una dall'altra. Tutt'intorno c'era odore di pulito, di ammoniaca e sapone.
Guardai in basso e vidi con sorpresa che anche i miei vestiti non avessero colore: una maglietta e pantaloni di cotone.
Avanzai di qualche passo e alzai lo sguardo cercando di immagazzinare tutti i dati necessari a etichettare quella stanza e capire se fosse sicura o meno. 

A circa tre metri da me c'era una scrivania marrone. La sola cosa nella stanza che non fosse bianca. Era vecchia, logora e graffiata, con una semplice sedia di legno spinta nell'incavo dalla parte opposta. Dietro c'era la porta, imbottita come le pareti.
La speranza mi disse che forse la porta avrebbe potuto aprirsi se ci avrei provato, ma la cosa era alquanto improbabile. L'istinto mi diceva che avrei dovuto prendere fiato e gridare aiuto. Che avrei dovuto picchiare contro la porta, ma sapevo che non si sarebbe mai aperta. Che nessuno mi avrebbe ascoltata. 

Ora tutto mi era chiaro, cristallino: ero caduta nuovamente nelle mani della W.I.C.K.E.D. e questa volta non ci sarebbero stati i miei amici a salvarmi. Ero sola.
Una brutta sensazione mi pervase il corpo e tremai involontariamente. Era come se una mano gelida mi avesse accarezzato la schiena, con un vano tentativo di conforto.
Poi, qualcosa nella mia mente si aprì e come se nulla fosse, tutto quello che era avvenuto prima di risvegliarmi in quel luogo strano mi piombò addosso come un missile: gli scienziati e David erano riusciti a separarci di nuovo. Newt, Minho, Thomas, Frypan, Stephen. Non sapevo dove fossero. Magari anche loro si trovavano in una stanza come la mia. Magari...

Come se mi fossi ricordata solo in quel momento della cosa, abbassai lo sguardo sulla spalla. Tirai delicatamente giù la maglietta e notai con stupore che la mia ferita da sparo fosse stata medicata con cura e rattoppata con una larga fascia quasi completamente bianca, se non fosse stato per la macchiolina rossa che giaceva nel suo centro. Stranamente, il dolore che avevo provato dopo lo sparo si era dissipato, sostituito da un lieve bruciore. Almeno per questo potevo essere grata alla W.I.C.K.E.D.: non avrei sopportato di riprovare ancora quel dolore.

The Maze Runner - RunDove le storie prendono vita. Scoprilo ora