Capitolo 61.

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Trascorsero diversi giorni, tutti passati nella monotonia di quelle quattro pareti grigie e rovinate. Nulla di importante era successo – anzi, proprio nulla – ed il fatto di non entrare in contatto con delle novità mi avrebbe annoiata, se la preoccupazione per Thomas e persino per Brenda non mi avesse tenuta sveglia con il suo batticuore. Non ero nemmeno abituata ad avere così tanto tempo libero a disposizione e quella tranquillità e calma che ci avevano tenuto compagnia in quei giorni stavano iniziando a darmi sui nervi.

Da quanto mi ricordavo la mia vita era sempre stata un subbuglio di avvenimenti, di cose che capitano all'improvviso e ti scombussolano la vita, di fatti a cui ti devi abituare anche se hanno ridotto in cenere ogni certezza che avevi. Vivere in quella tranquillità assoluta era quasi come soffocare. Sentivo il bisogno di distrarmi con qualcosa, qualsiasi cosa, ma quando non mi torturavo chiedendomi che fine avessero fatto i nostri due esploratori, il pensiero di Newt era costante e non cessava di annebbiarmi la mente. 

La monotonia aveva anche iniziato a cercare col mio cervello. Spesso mi ritrovavo a muovermi in maniera automatica, senza volerlo davvero. Mi ero accorta che i vuoti di memoria improvvisa si stessero facendo via via più frequenti: aprivo gli occhi, mi guardavo attorno e spaesata mi chiedevo come fossi arrivata a quel punto, come se stessi vivendo solo per metà. Era come se il mio cervello andasse in standby, come se iniziassi a dormire all'improvviso, perdendomi ciò che stava succedendo.

Eppure ero sveglia. Respiravo, parlavo, camminavo. Facevo tutto, ma allo stesso tempo per il mio cervello era come se non stessi facendo nulla.
Magari prima ero seduta a terra e l'attimo dopo mi ritrovavo a parlare con Minho dall'altra parte della stanza, senza ricordarmi come fossi arrivata lì o perché lo avessi fatto.
Ero assente, perennemente. Mi sentivo un corpo senza anima, un contenitore vuoto.
Forse era il mio cervello l'artefice di tutto ciò. Forse aveva sviluppato un metodo per non pensare troppo a tutte le cose brutte che erano solite saltarmi addosso come belve affamate. Forse ero sull'orlo del precipizio e per evitare di lasciarmi cadere in una crisi di panico e depressione, il mio cervello aveva deciso di cancellare tutto.

Ma dall'altro lato, se quella monotonia mi stava uccidendo, mi sentivo di aver sbagliato a pregare che qualcosa succedesse veramente, perché quando questo avvenne, all'adrenalina si aggiunse anche la paura e quel senso di smarrimento che si prova quando non si sa cosa succederà.
Dopo ben tre giorni di paziente attesa, la porta si spalancò, ma non per la solita distribuzione di cibo o bevande. La maggior parte delle persone iniziarono a muoversi per mettersi a sedere, come eravamo soliti fare per ricevere i pasti, ma solo dopo qualche secondo tutti ci accorgemmo che le figure appena entrate non appartenessero alle guardie con i sacchi.

Tre uomini armati fino ai denti stavano avanzando nella stanza con grandi passi rumorosi. A stento mi accorsi della figura – decisamente più piccola rispetto alle altre tre – che camminava con sicurezza dietro i bestioni.
Non appena riconobbi il suo volto scattai in piedi.
"Rimettiti seduta!" mi gridò in faccia uno degli uomini armati, spaventandomi più del dovuto.
"Lasciala stare, Nate." mormorò una voce familiare, che non fece altro che confermare ciò che avevo visto prima. "La ragazza è con noi."
Sorrisi sollevata e mi voltai verso il ragazzo che mi lanciò un cenno con il mento, in segno di saluto.

Rimasi alquanto sorpresa dalla sua rigidità e serietà, ma decisi di abbatterle entrambe avanzando verso di lui e incastrandolo in un delicato abbraccio.
"Che bello rivederti, Gally." mormorai affondando il volto sulla sua maglietta. "Non sai che gran casino che è successo. Stavamo venendo da te quando..."
"Lo so." ribadì il ragazzo, fermandomi a metà frase in modo brusco e guardando le tre guardie alle nostre spalle. "Sono venuto per questo."
Per la seconda volta, la severità della sua voce mi colpì, non solo sorprendendomi, ma anche ferendomi in parte. Perché usava quel tono distaccato con me?

The Maze Runner - RunDove le storie prendono vita. Scoprilo ora