Capitolo 57.

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Sollevai immediatamente il volto, curiosa di vedere finalmente la famosa Teresa. Non mi servì seguire lo sguardo di Thomas per capire dove fosse la ragazza, dato che gli occhi ansiosi e allo stesso tempo pieni di sollievo di quest'ultima parlavano da soli.
La osservai attentamente: la sua pelle – sebbene fosse macchiata qua e là da chiazze di sporco – era molto chiara, quasi diafana, e priva di difetti, ma nonostante il pallore era veramente bella; i suoi capelli erano setosi, un po' mossi sulle punte e scuri come la pece; i suoi occhi erano di un azzurro limpido, e il suo sguardo magnetico era capace di attirare in una sola occhiata milioni di sguardi; le sue labbra rosee e delicate, con un piccolo taglietto coperto di sangue secco al lato della bocca, erano arricciate in una piccola smorfia, probabilmente il frutto dell'ansia; era vestita in modo semplice, con dei pantaloni scuri e una maglia che forse una volta era stata di un bianco puro, ma che ora aveva perso ogni traccia di quel colore, ricoperta di sporco e polvere.

"T-Thomas?" domandò lei, i suoi occhi pieni di nostalgia e lacrime appena nate.
"Come fai a sapere come mi chiamo?" domandò il ragazzo aggrottando le sopracciglia.
"Oh..." mormorò lei triste, come se con quelle parole il ragazzo le avesse frantumato davanti agli occhi tutte le sue speranze. "Quindi non ti ricordi di me..."
"I-Io..." borbottò Thomas incerto. "Mi dispiace, ma non mi ricordo."
"Come hai fatto a sapere che mi chiamavo Teresa? Forse hai... Ti sembro familiare?" chiese la ragazza, nuovamente  piena di speranza.

"No, mi dispiace." si scusò Thomas, per poi indicare Aris e continuare. "È stato lui a dirmi chi eri."
"Ah..." sospirò la ragazza, stringendosi forte le mani, segno che stava andando in tensione. "A volte mi dimentico che vi hanno tolto la memoria."
Pensai che Teresa avrebbe continuato a parlare con Thomas, invece con mio stupore la ragazza si voltò verso di me e mi sorrise amichevole, facendo un passo verso di me. "Finalmente posso conoscerti, Rebeca." mormorò la ragazza, stupendomi sinceramente.
"C-Come..."

"Oh, io so praticamente tutto su di te. Dopotutto, mi hai sostituito." spiegò con un sorriso sincero, in totale disaccordo con le sue parole. 
"Io... M-Mi dispiace, io non sapevo che tu... Cioè, sì lo sapevo. Forse... I-Io non mi ricordo se..." balbettai, sentendo l'ansia montare in me. Teresa sembrava una ragazza gentile e di certo il fatto di averle rubato un ruolo così importante nelle prove ideate dalla W.I.C.K.E.D. non mi faceva partire con il passo giusto.
"Oh, no, no..." mi interruppe immediatamente, avanzando verso di me con le mani sollevate in segno di riconciliazione. "Non intendevo essere sgarbata, non era un'accusa." sottolineò immediatamente. "Intendevo solamente dire che quando mi hanno avvisato di come fossero andate le cose, ho iniziato a fare ricerche su di te e ho sempre sperato di conoscerti un giorno. Sai, ti ho osservato in tutti i tuoi giorni nella Radura."

"V-Veramente?" mormorai imbarazzata, pensando subito alla prima volta che io e Newt avevamo fatto l'amore, arrossendo di conseguenza.
"Be', ovvio, non sempre. Non sono così scrupolosa come lo erano quei topi da laboratorio nella W.I.C.K.E.D." ridacchiò nervosa. "Però ti volevo ringraziare. Ho visto quello che hai fatto, per tutti loro." spiegò indicando con il mento i miei amici. "Sia nel Labirinto, che nella Zona Bruciata."
"Oh, be', g-grazie?" dissi incerta, grattandomi nervosa la nuca e abbassando di poco il volto ormai rosso come un peperone. 

"Sono felice di vedervi tutti salvi." concluse Teresa, passando lo sguardo su ognuno di noi, con un sorriso cordiale e sincero sul volto. Non c'erano più dubbi: quella ragazza mi piaceva. "Forse potremmo sederci e..."
Teresa si interruppe non appena Minho, dando quasi una spallata a un uomo vicino a lui, oltrepassò tutti noi, continuando a camminare senza dire nulla e senza mai voltarsi.
Sgranai gli occhi e seguii con lo sguardo la sagoma del ragazzo pensando a quanto dovesse soffrire per Violet e Newt. Affrontare tutte quelle cose insieme non era semplice e per quanto il ragazzo fosse dotato di coraggio e forza d'animo, sapevo di dovergli lasciare lo spazio necessario per pensare e stare solo. Se fossi intervenuta, correndogli dietro e obbligandolo a parlarmi, avrei solo peggiorato le cose e di certo non era quello che intendevo fare. Di certo gli avrei parlato, ma solo una volta che si fosse calmato.

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