Capitolo 21.

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La mattina seguente arrivò troppo presto per i miei gusti e mi sembrò di aver dormito per poche ore, invece dando una sbirciatina sull'orologio di Newt mi accorsi che mancava solo una mezz'oretta alle dieci. Solitamente la sveglia delle ragazze era impostata per suonare alle nove in punto, ma a quanto pare i ragazzi non avevano la benché minima intenzione di alzarsi. D'altronde non potevo non capirli: non ci era permesso fare nulla fino all'ora di pranzo – che veniva sempre servita alle dodici in punto – ad eccezione che qualcuno avesse il permesso di accedere ad altre stanze. 

Tuttavia alle ragazze del mio dormitorio non piaceva dormire fino a tardi e poi girarsi i pollici fino all'ora di pranzo, perciò si erano organizzate e ogni mattina alcune di loro andavano a chiedere un tot di permessi per accedere a varie stanze – principalmente sala relax e palestra – in modo da ammazzare la noia in qualche modo. Ammiravo la loro energia, ma quello stile di vita non faceva per me. Nella Radura mi ero abituata a dormire poco e a svegliarmi presto per poter lavorare, ma ora che questa non esisteva più, non mi rimaneva altro che godermi quella specie di vacanza. Le ragazze avevano provato più volte a convincermi ad andare con loro, però senza mai riuscirci perché l'idea di socializzare quando in realtà avevo ben altro a cui pensare non mi era mai piaciuta più di tanto. 

Sorrisi nel pensare che sicuramente Violet stava impazzendo da sola nella stanza, immaginandosi dove potessi essere e soprattutto cosa stessi facendo. La ragazza mi aveva espressamente chiesto di tornare presto, quindi prima della sveglia, ma non era colpa mia se avevo dormito più del dovuto! Forse dato che in quel momento ero più che sveglia, sarei dovuta andarmene, ma in fin dei conti oramai ero comunque in ritardo e altri dieci minuti non avrebbero di certo nociuto a nessuno: sapevo che la ragazza avrebbe trovato il modo di coprire la mia assenza fino al mio ritorno.

E così richiusi gli occhi e mi accoccolai di nuovo al petto di Newt, godendomi fino alla fine quel piccolo momento di intimità che non avevamo da molto: l'ultima volta che avevamo dormito abbracciati era stato forse nella Zona Bruciata se non addirittura nella Radura. E solo nell'istante in cui mi strinsi di più a lui capii cosa mi ero persa per tutto quel tempo: il suo tepore lieve e gradevole, che per tutta la notte non aveva fatto altro che infilarsi nelle mie ossa tenendomi al caldo, mi causava dei tenui brividi lungo la schiena; il suo respiro lento e profondo, tipico di una persona dormiente, scorreva dal suo naso alla sua cassa toracica, sollevando a ritmi regolari la mia testa; ed infine le sue braccia, calde e pesanti sul mio corpo – una delle cose che mi erano mancate maggiormente in lui – che continuavano a fare pressione sulla mia pelle, nonostante stesse dormendo, come per rassicurarsi che io fossi ancora lì accanto a lui.

Aprii gli occhi e delicatamente alzai la testa per osservare meglio il suo viso. Non seppi perché in quel momento la mia nostalgia nei suoi confronti aumentò così tanto, ma la paura di perderlo di nuovo, anche solo per un'ora, era riuscita a scavare così tanto a fondo da farmi sentire in ansia, quasi come se Newt sotto di me stesse per sparire nel nulla. Ma nel momento stesso in cui il mio sguardo si posò sui suoi occhi ancora chiusi, capii che nulla di brutto sarebbe accaduto fino a quando eravamo insieme e di conseguenza tutte quelle sensazioni negative erano inutili.
Decisi di svuotare la mia mente, di non pensare a niente e di imprimermi nella memoria i lineamenti del suo volto. 

Feci scorrere i miei occhi su di lui, come una macchina a raggi X, e mi soffermai su ogni minimo dettaglio: prima di tutto i suoi capelli arruffati, ma soffici, di quel color biondo cenere che lo facevano assomigliare a un angelo caduto per sbaglio tra gli umani; poi le sue sopracciglia – sempre folte e più scure, quasi tendenti a un castano sbiadito – che quasi sempre erano aggrottate per via del suo eccessivo pensare, invece ora erano ben distese e rilassate, il che gli conferiva un'aria ancora più angelica e delicata; poi le sue ciglia, lunghe e chiare, che gli contornavano gli occhi chiusi come una cornice – quasi automaticamente, nei miei pensieri si formò il disegno delle sue pupille e non ci fu bisogno di fargli aprire le palpebre per ricreare alla perfezione ogni colore e forma dei suoi occhi; poi le sue labbra screpolate, ma sempre morbide e delicate, che giacevano immobili e unite come due petali di rosa appassiti, ma ancora vividi di colore.

The Maze Runner - RunDove le storie prendono vita. Scoprilo ora