Capitolo 13.

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Il percorso fino all'infermeria fu un inferno totale: Newt aveva continuato a trascinarmi dietro di lui per tutto il tragitto, tenendomi ben stretta per il polso come per paura che scappassi. Non che mi stesse facendo male la sua stretta, ma era come se la mia pelle al contatto con le sue dita affusolate prendesse fuoco, facendomi sentire piccola e in colpa. E poi c'era il silenzio. Quel silenzio che aleggiava pesante sopra di noi. 

Quel silenzio bastardo e insopportabile che nonostante fosse vuoto di ogni suono e privo di parole, in realtà ti perforava le orecchie come un grido acuto. Sapevo di aver fatto arrabbiare Newt, ma sapevo anche che quello scoppio improvviso non era dovuto solo al mio comportamento imprudente. C'era sotto qualcosa, qualcosa che lo turbava e che aveva represso talmente tante volte che alla fine era scoppiato incontrollato, come un fuoco d'artificio esploso troppo tardi rispetto agli altri, ma che in confronto a essi era mille volte più potente e distruttivo.

Avrei voluto chiedere, parlargli, ma sapevo che in quei determinati casi gli serviva tempo per calmarsi prima di instaurare una conversazione.
Quando arrivammo finalmente davanti a una stanza la cui porta era stata contrassegnata con una croce rossa sopra, capii che finalmente potevo distaccarmi un po' da lui senza subire di nuovo la sua ira.
Fu una cosa alquanto difficile, dato che in quel momento, per quanta paura avessi della sua reazione, l'unica cosa che desideravo era andargli di fronte e abbracciarlo. Era straziante sapere di non poterlo toccare, ma dovevo resistere affinché si calmasse del tutto.

Newt mi lasciò il polso, rifilandomi però un'occhiata che mi ordinava di restare immobile dove ero e poi bussò pesantemente sulla porta. Attendemmo in silenzio e in quei secondi non potei fare a meno di mordermi il labbro per non scoppiare a piangere.
Il dolore alla spalla per via della ferita era niente in confronto a quello che mi aveva causato il suo sguardo pochi minuti prima. Non mi aveva mai guardata in quel modo prima di allora e sapevo che non sarei sopravvissuta a un altro sguardo così ricco di delusione nei miei confronti.

Newt bussò di nuovo, impaziente, e finalmente si sentirono dei suoni provenire dall'altra parte della porta. Un suono costante di tacchi sul pavimento anticipò l'apertura della porta. Quando vidi con esattezza la figura alta che si ergeva di fronte a noi, rimasi senza fiato e per poco non piansi veramente, ma questa volta per la felicità.
La signorina che ci stava fissando con altrettanto stupore appoggiata allo stipite della porta era proprio Frances.

"Ciao ragazzi!" esclamò entusiasta. "Cosa vi porta..." la donna si interruppe non appena il suo sguardo si posò sulla mia spalla insanguinata. "Oh, come non detto. Entrate, su."
Newt si girò verso di me e mi fece segno di entrare per prima nella stanza. Senza aspettare oltre feci qualche passo all'avanti e quando oltrepassai la soglia sentii la mano di Newt posarsi delicatamente sulla mia schiena e spingermi altrettanto dolcemente all'avanti. Ignorai i brividi che mi percorsero la schiena, ripetendomi che forse il mio piano stava funzionando e che lui si stava calmando sempre di più.

"Prego, siediti qui e fammi dare un'occhiata." spiegò caldamente Frances, battendo la mano su un lettino posto al centro della stanza. Altri brividi, questa volta di terrore, mi percorsero la spina dorsale quando riconobbi con riluttanza che quel lettino era lo stesso che gli scienziati una volta avevano usato per farmi gli esperimenti. Probabilmente ce n'erano a decine di lettini simili a quello nell'edificio, ma non potei fare a meno di ripensare a tutto il dolore e la paura che quegli attimi di tortura mi avevano procurato. Più pensavo a quel dolore, più la ferita alla spalla iniziava a farmi meno male.

"Tutto bene, tesoro?" mi chiese l'infermiera avvicinandosi ed esaminandomi cautamente oltre gli occhiali rossi.
"Ehm, sì..." borbottai ricacciando indietro i pensieri negativi e andando a sedermi con riluttanza sul lettino. Mentre lo feci lanciai uno sguardo di sottecchi a Newt, per vedere il modo in cui si stava comportando: il ragazzo si era seduto comodamente su una sedia in plastica grigia attaccata al muro, proprio di fronte a me. 

The Maze Runner - RunDove le storie prendono vita. Scoprilo ora