Capitolo 7 - Incontri

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Strano a dirsi.

A volte le verità, soprattutto quelle più celate, non sono poi così negative.

Ma nascondere una verità equivale a mentire?

Qualunque fosse la risposta a Faith, in quel momento, non interessava. Tuck si era rivelato il braccio che aveva allontanato Harry, non con poca amarezza, e sollevato lei da un bruciante ed infamante dubbio: essere stata la causa del suo licenziamento.

O meglio, se non altro, alleggerisce la mia posizione.

Eppure il posto della colpa era stato presto occupato dal tormento di aver combattuto poco, o affatto, per quel sentimento che in fondo entrambi provavano ma del quale, con il senno di poi, ne era impossibile l'esistenza.

Il cielo sembrava contribuire a quelle numerose virate emozionali con nuvole e schiarite. Ma il tempo stava volgendo verso il minaccioso proprio come la vita di Faith.

I passi verso casa si facevano più svelti mentre le prime gocce di pioggia disegnavano cerchi sull'asfalto.

Erano pesanti e cariche di risentimento. Le poteva sentire battere sulle pensiline che oltre l'ingresso dei negozi si protraevano sul marciapiede e proteggevano Faith, rea di aver scordato a casa l'ombrello. Le percepiva schiantarsi grevi sulle carrozzerie delle auto in sosta e picchiettare la sua coscienza a ritmo di quel tarlo che le diceva che non tutto era come sembrava, che qualcosa era ancora celata.

Solo speranze...

Un percorso ad ostacoli la precedeva. Avrebbe dovuto superarlo per non bagnarsi. Una madre con una carrozzina, un'anziana signora con un carrello della spesa che non si decideva a camminare, due uomini immobili che parlavano tra loro, fumando le loro pipe ed occupando l'intero marciapiede. Poi uno spazio privo di copertura. Un palazzo senza l'ombra di un balcone da poter usare per proteggersi e cinquanta metri di acqua scrosciante e sempre più violenta.

Si costrinse.

Con lo zaino sopra la testa iniziò la sua corsa disperata fino a Park Avenue.

Le scarpe affondavano nel sottile strato d'acqua a terra, esplodendo schizzi che la colpirono in viso. Lo zaino poco poteva contro quella cascata che le bagnò i capelli percependo l'acqua infiltrarsi tra i capelli, raccolti in una coda, e toccarle la cute raffreddandola.

Poi la vide. Dieci metri da lei. Immobile.

La pioggia passò in secondo piano. Un severo attimo in cui i loro occhi si trovarono. La mascella di lei stretta in un innaturale e nervoso morso. Lo zaino cadde mentre le gocce di pioggia lasciavano spazio a quel confronto. Inevitabile e doveroso.

« Non è successo nulla! »

Il silenzio rotto solo dall'incostante sciabordio delle macchine in movimento mentre le parole cadevano vuote portate a terra dalla pioggia ora torrenziale.

Solo quello sguardo a ricordarle il tradimento, la sua colpa.

« Maya! Ti giuro! Non c'è nulla tra me e Justin! »

Senza badare a quei suoni si diresse al vicino contenitore dell'immondizia per svuotare il cestino del pub.

Rientrò sparendo dentro il locale.

Si odiava per non poterla biasimare.

In fondo Faith lo aveva bloccato prima che la situazione degenerasse. Sempre lei lo aveva confessato all'amica sperando che la buona azione coprisse la puzza del tradimento.

Maya non le voleva parlare e neppure ascoltare le sue ragioni. D'altronde quello che c'era da dire era già stato detto. Il dispiacere per quella amicizia perduta per sempre era l'eco dei suoi sbagli.

Miei e di nessun altro!

Aveva imparato la sua dura lezione e pagato un alto prezzo.

Si incamminò oramai fradicia fino al reggiseno verso casa. Lì il conforto di Cameron l'avrebbe accolta. L'avrebbe spogliata ed accompagnata in una doccia calda da fare insieme mentre fuori, e dentro Faith, la tempesta imperversava. Ma quel palliativo avrebbe funzionato almeno finché non si sarebbe messa a letto ed i sogni ricordato la sua meschinità. Andava sempre così.

Ma non quel giorno.

Infilò la chiave nella toppa ma non la ruotò. Qualcosa in strada attirò la sua attenzione. Una berlina nera dai vetri oscurati e le rifiniture cromate, si arrestò dietro la sua Chevy parcheggiata nel vialetto.

Un autista in alta divisa scese sistemandosi il cappello ed aprendo un ombrello scuro. Si diresse verso la portiera posteriore aprendola.

Non riusciva a vederla in viso coperta dall'ombrello che a lei era riservato lasciando il povero autista a bagnarsi fino ai piedi.

Tacchi bassi calpestarono l'erba del giardino quando la donna in tailleur tinta unita blu si avvicinò alla veranda salendo i gradini.

L'autista chiuse l'ombrello rivelando una elegante signora di mezz'età da lunghi capelli biondi e la pelle ancora immacolata.

« D... desidera? » chiese timorosa Faith paralizzata di fronte all'ingresso.

« Tu devi essere l'ultima ragazza di mio figlio! »

Oh merda!

© G.

Angolo dell'autore:
Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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