Capitolo 6 - Confessioni

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Fine turno.

Solita routine. Solite cartacce da buttare. Solite macchie di ketchup da rimuovere. La solita noiosa, quanto dovuta routine.

Ma quella routine significava tutto per Faith. Significava la possibilità di guadagnarsi il suo posto all'interno dell'università ed il diritto di studio. Avrebbe fatto volentieri a meno del sudicio tocco dello straccio bagnato sulle dita o dell'appiccicume onnipresente del grasso caduto a terra.

Ma quello era il suo lavoro, il suo compito che era fortunata ad avere e che le aveva regalato e sottratto tanto.

Un'occhiata in cucina. Nicholas, anzi Nick era andato via da poco più d cinque minuti.

Ragazzo simpatico, nulla da obiettare.

Eppure qualcosa in Faith le impediva di essere felice di quella nuova collaborazione. Forse la gelosia di Cameron, forse il dovere di imparare nuovamente a socializzare o, più probabilmente, per il fatto che lavorare con quel nuovo collega era in fondo tradire i ricordi e le sensazioni legate ad Harry e saldate in quel luogo.

Era suo fratello.

Anzi fratellastro... una frase che non avrei mai pensato di dire.

Era difficile concepire una cosa del genere. Quella certezza era stata, fino ad allora, confinata in una sorta di limbo, imprigionata tra la relazione con Cameron e le nuove dinamiche che si erano venute a creare.

Aveva bisogno di tempo. Era stata colpita come un pugile già nel suo angolo e per tre settimane aveva barcollato cercando di realizzare lo spazio- tempo in cui si trovava.

E quella routine era un arma a doppio taglio. Ricordi ed obiettività, nitro e glicerina.

Ma quel giorno lo sguardo attento di Tuck dalla cucina non esitava un secondo dalla sua persona.

« Sto sbagliando qualcosa Tuck? » chiese Faith insospettita da tanta curiosità.

Se dire una parola Tuck si liberò del grembiule che gli proteggeva i vestiti gettandolo nel bidone delle tovaglie ed uscì dalla cucina.

Arrivato alla porta d'ingresso guardò Faith e le fece cenno di uscire con lui.

Era sempre stato un tipo abbastanza taciturno, uno di quelle persone solitarie, che risponde a monosillabi e quando invece ciò non accadeva e proferiva più di una frase era il momento di preoccuparsi.

Si sedette all'esterno spostando da sotto un tavolo una sedia in ferro anche per Faith.

Voleva parlare.

Non è un buon segno...

« Tutto bene Tuck? »

« Siediti per favore. »

Faith obedì al suo capo.

Su quel viso che Faith aveva imparato a conoscere una nuova espressione prese il posto della solita, concentrata ed a tratti pensierosa.

Tirò fuori dalla tasca un corto sigaro ed accendino di acciaio squadrato.

« Ti dispiace se... »

« Assolutamente no! Fai pure! »

Lo accese aspirando ritmicamente il fumo.

« Tu fumi Faith? »

« Ho smesso! »

« Hai fatto bene! Un tempo fumavo le sigarette, tante sigarette. Ho smesso prima che fosse troppo tardi. Ora fumo questi, giusto uno a settimana quando la situazione lo richiede. »

« E in questo caso lo richiede? »

Guardava a terra. Un punto indefinito avanti a sé attirava la sua attenzione occupata in altri ricordi.

« Assomigli tanto a mia figlia. »

« Non sapevo avessi famiglia! »

« Colpa mia! La mia ex moglie me lo diceva sempre: "Il tuo mutismo sfiora la patologia" diceva. Aveva ragione. »

« E com'è tua figlia? »

« Emma! Si chiama Emma! Lei è... direi spontanea. Ha quella luce negli occhi, quella voglia di vivere... è una forza della natura. Mi sembra ieri che la prendevo in braccio e la mettevo sul dondolo del parco giochi sotto casa mia. »

« Deve essere una brava ragazza. »

« La migliore... »

« E ora dov'è? »

« Vedi Faith. » iniziò Tuck respirando profondamente e cercando di ponderare le migliori parole. « Cercherò di non tediarti troppo. Spesse volte, molte persone, molti uomini soprattutto, credono di poter gestire le persone a proprio piacimento. Queste persone, questi ominidi perché non sono altro che questo, uomini mai evoluti, sono malati, una malatia che loro chiamano amore ma il mondo chiama possesso. È un'arma pericolosa il desiderio, un'arma che nelle loro mani si carica di morbosità. Spesso quella pistola spara anche.

Mia figlia è stata uccisa da chi diceva, da chi urlava il suo amore per lei. Si accorse troppo tardi dell'anima nera di quell'uomo o forse lo giustificò troppo a lungo. Forse sperava di salvarlo. Ma quelle persone non si possono salvare, soprattutto l'oggetto della loro ossessione non può salvarle perché per loro rimarrà comunque sempre e solo quello, un oggetto appunto. Lei era la mia vita, mi è stata strappata via.

Con lei il mio matrimonio, la mia carriera a Los Angeles, la mia fiducia nel genere umano.

Poi sei arrivata tu.

Assomigli a lei più di quanto non facciano i miei ricordi.

Hai tante di quelle potenziali Faith che neppure tu sai di avere. »

« Tuck, non sono così. Tu mi credi migliore di quanto io non sia. »

« Parli di quella storia con Harry? »

« Sì Tuck! Sono stata io! Io ho rubato quel cibo ed Harry si preso la colpa! »

« Lo so benissimo Faith! L'ho sempre saputo! »

« Come? »

« Sì Faith! Abbiamo le telecamere nel locale. Ma non è questo il punto. Allora ho dovuto fare una scelta. Ho scelto la persona che aveva più potenzialità, più futuro ed Harry ha fatto lo stesso. Sapeva cosa significasse questo lavoro per te... »

« Perchè glielo hai permesso? »

« Perchè l'ho visto Faith! »

« Cosa hai visto? »

« Ho visto in Harry l'amore che mia figlia non ha mai ricevuto! »

© G.

Angolo dell'autore:
Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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