Capitolo 55 - Sorpresa

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Un odore, una luce. Guardare e ricordare nell'ora tarda di un giorno stancante.

Ma il desiderio, quello nulla poteva soffocarlo. Un fuoco che la spingeva. La voglia di un abbraccio ritrovato, di una madre troppo a lungo assente ed una vita che chiedeva di avere il supporto che necessitava.

Lontani i luoghi dell'infanzia. La casa dell'adolescenza venduta al costo dei ricordi.

Non un prezzo poi così alto.

Un nonno mai conosciuto, una casa poco fuori città. Egli aveva bisogno di compagnia, figlia e nipote di una casa dalle pareti bianche dove scrivere nuovi ricordi.

Imbarazzo? Eccome. Eppure chi più di tutti benedì la presenza di Faith fu proprio sua madre che lasciò alla figlia il compito di ricucire un rapporto leso da anni di droga ed impacciato da innumerevoli silenzi. Si ritrovò ad essere una sorta di cuscinetto tra i due, un airbag che distraeva dal passato e cercava di costruire un nuovo presente che potesse rimarginare ferite mai del tutto cicatrizzate.

In fondo, quell'ottantenne dagli occhiali perennemente poggiati in punta di naso, dalla camminata ancora scelta e dalle rughe che il fumo aveva aiutato a scavare, non era poi così male. Riversò su Faith anni di affetto arretrato, di regali mai fatti ed attenzioni a lungo sperare, recuperando anche quei gesti infantili di amore materiale come una bicicletta nuova in regalo o un gelato passeggiando.

Faith lo lasciò fare. La colpa non era certo dell'anziano che invano aveva ammonito Cece su quell'uomo che sarebbe poi diventato il padre di sua nipote, invano aveva cercato un confronto scontrandosi caparbiamente contro i silenzi telefonici della figlia alla richiesta di un incontro, invano pregò per l'affetto di una nipote sotto il suo stesso tetto.

Quando quel mondo crollò sotto il peso delle menzogne, Cece comprese quanta miopia la droga avesse causato, impedendole di vedere la realtà degli affetti e la verità della famiglia.

Ma con nonno Arthur non servirono scuse.

"Meglio tardi che mai!"

Così aveva detto abbracciando sua figlia sulla soglia della porta quando i bagagli valevano più di mille parole.

Un uomo affettuoso e gentile, costretto dalla vita a lavorare come un cane, una fatica che non lo cambiò. Non perse mai la speranza in quella figlia. Neppure quando lei lo accusò di non esserci mai stato per lei ma solo per il lavoro o quando, in preda alla droga, confessò di non volerlo come padre ed augurarsi un'eredità il prima possibile.

Ma quella era solo l'ombra distorta di una persona lontana.

Il presente parlava di una famiglia legata da un dolore dimenticato ed un amore ritrovato.

« Fermati Maya! Siamo arrivati! » esclamò Faith guardando alla sua destra.

Una bassa casa, una struttura simile alle altre in quel comprensorio alle porte di Nashville. Un solo piano, legno bianco che rivestiva l'esterno e prato curato che accompagnava alla porta d'ingresso. Una zona tranquilla dal verde rigoglioso del bosco e dalla posizione unica che affacciava sulle luci della città.

« Che ore sono? »

« Mezzanotte e un quarto! Sicura che non disturbiamo? » chiese Maya scaricando i bagagli sul vialetto di fronte la proprietà.

« Sicura! » rispose decisa ed impaziente.

Il passo deciso di chi vede il traguardo ingrandirsi nel proprio sguardo.

Due suoni. Il campanello destò le luci all'interno.

Passi rapidi prima che la porta si aprì.

« Faith! »

« J... Justin? »

© G.

Angolo dell'autore:
Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

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