Mi sveglio in ritardo come al solito perciò sono costretta a prepararmi di corsa e a scendere velocemente le scale rischiando di uccidermi più volte. Lucah mi aspetta già sotto e mi rimprovera per il ritardo.
Appena sono a scuola trovo Chris e Paul che prendono un caffè nel corridoio principale. Cerco di essere indiscreta e non faccio domande specifiche a Chris. Non vorrei farlo stare peggio di come sta. Pare iperattivo stamattina. Lo saluto con un abbraccio mentre Paul sta facendo il buffone. Gli dice che ora finalmente possono andarsi a divertire come si deve, ma Chris lo manda a quel paese. Quando la campanella dell'inizio suona siamo costretti ad andare in classe. Ci aspettano due ore di matematica di cui una sarà dedicata al test. Ieri non mi sono preparata molto e oggi sono di cattivo umore. Ripenso ad Andrew e ai messaggi che mi ha scritto ieri sera. Sembravamo due estranei. Mi manca da morire. Farei qualunque cosa per tornare indietro e fare in modo che tutto quel che è successo non sia mai accaduto.
Guardo il test che mi è stato appena consegnato e non ci capisco nulla. Sono scritti in arabo questi esercizi. Provo a risolvere qualcosa, ma non scrivo granché.
Dopo una lunghissima ora consegno, nonostante il foglio sia quasi tutto bianco. Che giornata orribile, di nuovo. Chris è abbastanza giù di morale. Gli chiedono tutti la risoluzione degli esercizi del test ma sembra essere titubante. Probabilmente non ha eseguito un ottima verifica neanche lui, anche se mi sembra davvero una cosa improbabile. Paul sembra soddisfatto invece di quel che ha fatto.***
Durante la lezione di scienze della terra, mentre la professoressa interroga chi nel test della scorsa settimana ha preso un'insufficienza, Chris si sfoga. Mi racconta qualche episodio della sua storia con Maggie e mi confessa la nostalgia che prova di quando erano felici. In realtà non lo sto ascoltando con attenzione perché penso continuamente ad Andrew. Oggi è un pensiero fisso. Vorrei parlargli. Forse dovrei chiamarlo questa sera, per sapere solo come sta. I miei amici dicono che non dovrei più averci a che fare. Probabilmente hanno ragione, dovrei farmi desiderare. Voglio fargli capire veramente che cosa ha perso. Non posso sempre stare ai suoi comodi. Devo mostrargli che posso farcela anche senza di lui, perché in fondo è così. Non me ne accorgo e le lacrime scendono sulle mie guance.
<<Candice, stai bene? Perché piangi, ora?>> mi chiede Chris. Mi riprendo dai miei pensieri e non so cosa rispondere. Cerco di asciugarmi le lacrime e mi scuso per non aver ascoltato ciò che mi stava raccontando. Oggi ho l'umore a terra. Paul si alza e ci invita a pranzo. <<Voi due oggi venite a pranzo con me, avete bisogno di svagarvi un po'. Siete ridotti peggio di due stracci>> ci minaccia.
Perché no? Mi aiuterà a non pensare troppo ad Andrew. Chris non verrà perché ha un impegno in conservatorio, ma io ho un bisogno disperato di parlare con qualcuno. Se torno a casa potrei deprimermi e ho paura che commetterei qualche sciocchezza.***
Sono felice di uscire con Paul. Il mio umore ha già preso un'altra piega anche se ogni volta che penso ad Andrew mi vengono in mente le sue braccia che avvolgono la ragazza rossa e magari la bacia anche. Cerco di scacciare via queste scene dalla testa, sennò potrei scoppiare ancora a piangere. Paul mi porta nello stesso ristorante dove eravamo stati la scorsa volta, insieme a Chris. Mi tratta da principessa. Ordina tutto lui mentre io lo attendo al tavolo. Decidiamo anche questa volta di mangiare la pizza. Ovviamente ci facciamo tantissime risate mentre aspettiamo che il pranzo sia pronto. Fa il buffone come al solito. Poi comincio di nuovo a parlare di Andrew. Gli dico che lo amo ancora e che sto male da morire. Paul pensa che io non debba prendere decisioni drastiche e mi invita a riflettere bene sulle mie scelte. Secondo lui non devo lasciarlo, perché soffrirei ancora di più di quanto soffro ora. Probabilmente ha ragione. Ora mi sta fissando con un sorrisetto strano.
<<Candice perché ti nascondi sempre dietro i capelli? Soprattutto quando ti prendiamo in giro o qualcuno ti attacca cerchi sempre di nasconderti. Devi essere più combattiva!>> mi fa notare. Ma perché continua con questa storia?
<<Ma non è vero... e poi è il mio modo di fare!>> replico infastidita mentre do un morso ad una fetta della mia pizza.
<<Secondo me invece ti è successo qualcosa che ti fa essere così>> afferma e io non posso fare a meno di abbassare lo sguardo. Questa volta noto il mio gesto e perciò capisco che Paul ha ragione.
<<Ognuno ha qualcosa da raccontare. Anche tu di sicuro>> affermo soddisfatta.
<<Si, è vero. Se vuoi posso raccontarti di me!>> sorride. So già che non ha più la mamma, però non so nulla di come è venuta a mancare. Sono interessata e curiosa. Sono certa che se conoscessi i segreti di Paul potrei capire meglio certi suoi atteggiamenti. È così spavaldo e vanitoso, in modo divertente sia chiaro. Ha una personalità particolare. Sembra molto forte caratterialmente, ma in più occasioni ho visto degli atteggiamenti aggressivi verso alcune compagne. Mi racconta che di sua mamma ricorda per la maggior parte i momenti in cui l'ha vista piangere. Era solo un bambino di otto anni, ma doveva assistere ai momenti di depressione di una donna probabilmente sola. Mi racconta di suo padre che aveva una storia con un'altra e anche dell'ostilità di sua nonna nei confronti della mamma, della difficoltà del suo fratellino minore che non ne ricorda neanche il viso e che era l'unico bambino a scuola a non avere una mamma che lo andasse a prendere. Noto che mentre mi racconta, nelle frasi in cui pronuncia il nome della nonna, c'è una nota di rabbia non indifferente. Non deve essere stato per niente facile affrontare tutto questo. Da quello che mi sta confidando credo di intuire la causa della morte della mamma. Non mi azzardo però a chiedere nulla. È un argomento talmente delicato. Non so neanche cosa rispondergli. Lui ne parla con disinvoltura e ho l'impressione che tutto questo non lo faccia soffrire neanche un po'. In realtà penso che sia una maschera, una corazza che si è creato per sembrare forte. Lo ammiro davvero tantissimo.
<<Paul, vorrei avere anche io la tua disinvoltura e la tua forza quando parli della tua vita. Ti ammiro davvero. Anche se quello che ho vissuto io probabilmente non è grave quanto i fatti che mi hai raccontato.>>
Ho quasi la voce tremante. Mi sento un po' a disagio, in verità. Ho paura di avere reazioni sbagliate che potrebbero ferirlo o farlo arrabbiare.
<<Ognuno vive a modo suo gli eventi. Non c'è una cosa grave o meno grave, è tutto soggettivo>> è sicuro di sé.
Mi sento improvvisamente a mio agio e forse è arrivato il momento di provare a raccontare quello che mi è successo. Probabilmente aiuterà Paul a capirmi e a starmi più vicino. Sono decisa a provarci.
Prima che potessi cominciare a raccontare mi prende la mano. Tira su la manica della felpa e guarda il polso. Forse sta guardando il mio tatuaggio. Il 17 aprile, prima del mio diciottesimo compleanno, mio padre mi ha regalato il mio primo tatuaggio. Sognavo di farlo da quando sono piccola. È una scritta: "Stay Strong". Serve in parte a coprire delle cicatrici e in parte a ricordarmi di essere forte in ogni situazione.
<<Credi che non abbia notato le cicatrici?>> mi chiede schietto. Paul è sempre molto diretto quando deve far notare qualcosa a qualcuno, chiunque esso sia. Comincia a battermi forte il cuore e mi tremano anche le mani. Mi rendo conto di non essere poi così pronta a raccontare faccia a faccia a qualcuno il mio passato. Mi sento soffocare. Cerco di fare un respiro e di trovare la forza e il coraggio di parlare, senza piangere.
<<Si, insomma, il tatuaggio dovrebbe corpirle...>> non trovo le parole. Sono decisamente in difficoltà.
<<Candice ognuno ha le proprie cicatrici di guerra. Non ti devi mica vergognare>> mi rivolge un sorriso dolce. Cerco di stare calma e comincio dal principio.
<<Quando ero piccola i miei genitori vivevano a chilometri di distanza. Io ero qui con mia madre, mentre papà lavorava e viveva lontano da noi. Sono sempre stata una bambina sola. Coloro con cui giocavo mi prendevano in giro e mi trattavano male, dicevano che ero grassa. Spesso e volentieri mi picchiavano. Non avevo amici. Non sono mai stata una ragazzina magra. Le bambine che frequentavo erano sempre in forma mentre io già quando avevo otto anni mi guardavo allo specchio e pensavo di essere grassa. Mi guardavo la pancia e mi odiavo>> sto tremando. Mi impegno al massimo per non piangere. Questi eventi hanno dato inizio al calvario che sono stata costretta ad affrontare e non è facile per me riviverli anche solo attraverso le parole.
<<Ti capisco, anche io ci sono passato>> mi rasserena. Cerco di continuare perché voglio finire al più presto di raccontare.
<<Quando avevo undici anni non uscivo ancora molto di casa. La sera mi trovavo con i miei vicini di casa, che ora sono i miei migliori amici, nel cortile del palazzo. Chiacchieravamo e stavamo in compagnia. Diciamo che non eravamo proprio amici però non mi dispiaceva la loro presenza. Eravamo cresciuti perciò non mi prendevano più in giro, come facevano prima. Da un po' di tempo un ragazzo che abitava nel nostro stesso quartiere mi perseguitava. Mi seguiva dappertutto e mi riempiva di messaggi. Una volta ha tentato di baciarmi con la forza, ma io sono riuscita a fuggire. Non ho mai pensato che la cosa potesse degenerare perciò non ci ho dato molta importanza. Una sera di luglio, mentre ero fuori con i miei "amici", alle undici decido di tornare a casa. Percorro tutto il vialetto fino al portone che conduce all'androne e alle scale. Entro all'interno del corridoio per avviarmi all'ascensore. Sulle scale che conducono alle cantine trovo lui, seduto che mi aspettava. Ero spaventata da morire. Penso che il cuore mi si sia fermato per un momento e mi si sia gelato il sangue. Non sapevo cosa fare né come reagire. Ho pensato di correre in ascensore per salire a casa. Appena entro all'interno, entra anche lui. Era così vicino a me che mi sono messa a piangere. Ero spaventata. Lo pregavo di non farmi nulla di male e di lasciarmi andare. Ha cominciato a toccarmi dappertutto Paul, ovunque, contro la mia volontà. Ho tentato di scappare fuori, ma lui non mi lasciava andare. Mi ha immobilizzata e per poco non era dentro di me, con la mano. Mi dimenavo e gridavo. Sono rientrata nell'androne e sono corsa su per le scale. Lui ha continuato a seguirmi e a toccarmi ovunque. Mi ha fatta cadere sulle scale e mi sono ferita un ginocchio. Mi ha anche aiutata a rialzarmi come se mi stesse facendo una cosa piacevole. Poi finalmente sono arrivata al secondo piano dove abito e lui è sceso per andarsene. Ero solo una bambina. Non riesco a capire come abbia potuto farmi una cosa di questo genere. Ho tentato poi di confidarlo alle persone che frequentavo ma nessuno mi ha mai creduta. Ero sola. Non potevo sfogarmi con nessuno e nessuno poteva aiutarmi e starmi vicino... sentivo continuamente le sue mani sul mio corpo. È stato orribile>> mi fermo. Sto tremando, ma riesco a non piangere. Voglio essere forte. Paul insulta Daniel, il ragazzo che mi ha fatto tutto questo. Dice che se mai gli capitasse tra le mani non immagino neanche cosa gli potrebbe fare.
<<Tutto questo mi ha portata ad avere problemi con il cibo. Sono riuscita a perdere 10 chili in un mese perché avevo deciso di non mangiare più. La verità è che avrei potuto perderne anche 20, ma non sarebbe mai stato abbastanza. È un problema psicologico, non ti senti mai all'altezza. Ho continuato a non mangiare per tanto tempo ed è stato davvero difficile riprendermi da questo circolo. Vomitavo, mi facevo del male. I miei genitori notavano che qualcosa non andava, soprattutto per la mia magrezza e perché buttavo via tutto il cibo che mi davano. Ho sempre cercato di non dargli a vedere quello che facevo, mi vergognavo troppo. Non volevo spezzargli il cuore, non volevo farli preoccupare. Ero terribilmente sola. Ricordo mia mamma in lacrime per la mancanza di mio padre. Lui tornava raramente a casa. Non erano visite piacevoli, per niente>> mi fermo per prendere fiato. Ho l'affanno. Mi pento di aver intrapreso un simile discorso con Paul. Perché mai dovrebbe interessargli tutto questo? Vorrei alzarmi e andarmene, ma ormai è troppo tardi. Annuisce e mi fa intendere che ha capito. Sono sollevata, ci sono cose che proprio non riesco a pronunciare. Durante il mio discorso ha sempre qualcosa di appropriato da dire. Non è mai invadente né sgarbato anzi ogni affermazione non fa che darmi coraggio per raccontare ulteriormente.
<<Capisco anche la situazione di tua mamma. Probabilmente era triste per conto suo e non riusciva a occuparsi adeguatamente di te>>.
È comprensivo. Non pensavo proprio fosse una persona tanto disponibile e gentile. L'ho sottovalutato. Vado avanti con il mio discorso.
<<Insomma, mi vedevano tutti come un mostro. Ero un mostro perché avevo una famiglia problematica ai loro occhi e perché io stessa sembravo problematica. Ero un mostro perché non andavo bene a scuola, perché già a dodici anni fumavo e perché notavano i segni sulle braccia. I genitori dei miei compagni di classe lamentavano con i docenti che i figli mi frequentavano. Il fatto che tutti mi vedessero come un mostro ha contribuito a farmi sentire tale.>> mi scendono le lacrime. Mi hanno spezzato il cuore queste persone che mi guardavano con disprezzo, nonostante fossi solo una bambina. Non hanno mai pensato che avevo solo bisogno di essere capita?
<<Per questo ho iniziato a farmi del male. Mi vergognavo di quello che ero diventata. Mi vergognavo di ogni cosa e allora dovevo punirmi. Poi era un ottimo sfogo nelle situazioni più disperate e di panico. Insomma mia tagliavo per sfogarmi, credo... sentirsi soli a dodici anni, mi ha portata ad utilizzare sfoghi di questo tipo.>>
Mi asciugo le lacrime.
<<Candice se non te la senti non sei obbligata perseguire oltre!>> dice con tono dolce.
<<No, voglio continuare>> sono decisa.
Mi chiede poi come sono uscita da tutto questo.
<<Ho deciso di accettare gli aiuti che volevano darmi i dottori e ho iniziato a curarmi. È stata durissima. Però in questo periodo avevo una persona che mi stava accanto, finalmente. Si chiama Mirko ed era come un fratello per me. Ci conosciamo da tutta la vita, ma solo alla scuola media siamo diventati così amici. Mi ha salvato la vita. Se non fosse per lui non sarei qui. Gli devo tutto. Era il mio punto di riferimento, era l'unica persona a cui mi sono aggrappata per andare avanti. Mi ha aiutata a sorridere e a uscire da tutto questo disastro. Ho capito che dovevo sottopormi alle cure soprattutto grazie a lui; Mirko e mia madre mi misero davanti a del cibo: c'era carne, verdure, latte e frutta. Ho mangiato il primo pezzo di carne e poi il secondo. Ero sazia. Ero pienissima, come se avessi mangiato un pranzo intero. Allora in quel momento ho capito di cosa realmente avevo bisogno. Durante la terapia inoltre ho scoperto di essere bipolare.>>
Quando ho letto sulla cartella clinica che avevo tale patologia ho pensato che non fosse nulla di rilevante. Tutti sono lunatici no? In realtà è un disturbo della personalità ben più complicato. Spiego a Paul di cosa si tratta.
<<È un disturbo che non ho mai pensato di avere, anzi non ne conoscevo neanche l'esistenza. Però mi sono resa conto che non era normale restare sveglia fino alle cinque del mattino senza mai accusare segni di stanchezza, che non era normale la velocità a cui viaggiavano i miei pensieri. La mia mente lavorava il triplo del normale. Alternavo periodi di iperattività, anche notturna, appunto, a periodi di depressione quasi invalidante. Ero esausta. Ho dovuto toccare il fondo per capire che avevo bisogno di aiuto>> concludo. Non ce la faccio più a raccontare. Non ho ancora smesso di tremare e il cuore mi batte ancora all'impazzata. Attendo che Paul dica qualcosa. Ho una paura immensa della reazione che potrebbe avere e di ciò che potrebbe dire.
<<Candice tu sei una persona forte e io sono fiero di te. Sei riuscita ad uscire da una crisi del genere e devi esserne orgogliosa. Sii fiera di te stessa e non vergognarti di nulla perché devono farlo tutti coloro che ti hanno ferita, non tu. Tu devi solo essere felice che sei riuscita a resistere a tutto questo>> mi sorride entusiasta. Rimango impietrita. Non mi aspettavo una reazione del genere. Mi scappa un sorriso di gioia. Nessuno mi aveva mai detto queste cose. Arrossisco perché mi sento imbarazzata.
<<Ti prometto che ti farò capire che non è colpa tua. Niente di tutto questo è colpa tua. Voglio renderti felice.>>
Oggi sto vivendo troppe emozioni forti. Mi batte fortissimo il cuore e ancora non sono riuscita a dire una parola. Vorrei ringraziarlo ma non mi esce la voce. Per interrompere il silenzio si alza improvvisamente.
<<Dai ti riaccompagno a casa. Tra due giorni c'è l'interrogazione di storia, meglio che ripassiamo.>>
Ha ragione! L'interrogazione di storia, lo avevo completamente dimenticato. Mi affretto a mettermi il mio adorato chiodo di pelle nero, prendo la borsa e usciamo dal centro commerciale per andare a prendere l'autobus.
Non voglio tornare a casa, rimarrei con Paul tutto il giorno. Sul bus mi fa ridere ed è come se avesse dimenticato ciò che ci siamo raccontati al ristorante. Il mio passato non ha influito sulla considerazione che ha di me, non mi guarda con occhi differenti. Mi sento abbastanza in colpa per avergli raccontato del mio passato. Non me lo spiego il motivo, pero sono felice di esserci riuscita. Questi momenti fanno parte di me, del mio modo di essere e della mia vita.
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SAVE ME, if I become my demons
Teen Fiction[L'INTERA STORIA È IN REVISIONE]"Siete mai stati traditi dalla persona che amate di più al mondo? Avete mai confuso l'amicizia con l'amore?" Questa è la storia di Candice, una liceale confusa e insicura con un passato tenebroso da raccontare. La s...