Le luci si abbassarono lo show per Boston stava per cominciare. Per vincere timidezza e paura liberai la mente da qualunque pensiero . Era l'unica cosa di cui potevo ancora pienamente disporre , viste le condizioni in cui mi trovavo non così lontane poi da un insaccato in doppia arrotolatura di spago appeso in una cantina a stagionare.
La luce puntò su entrambi, un'altra idea di Lucas pensai. L'olo-Boston apparve in piedi comodamente appoggiato al bordo della sua scrivania. Portava un pantalone modello quercia nero e una camicia in morbida seta con risvolto alla maniche. Tra le braccia conserte l' orologio della sua collezione in cassa oro e acciaio che gli avevo regalato per il suo ultimo compleanno facendo incidere sul retro la lettera v , iniziale del mio nome e simbolo della vittoria e Boston era un vincente era uno destinato a vincere. Fui felice di vedere che lo indossava con addosso tutta la fierezza dell'essere maschio. Portò su la testa e rivolse entrambi i suoi occhi a me. Il suo sguardo famelico mi raggiunse e una sensazione di calore pervase tutto il mio infagottato corpo. La sua energia era così forte e prepotente da sfiancarmi.
Cercai rifugio nel lungo drappo appeso oscuro come la notte, tentando di liberarmi acrobaticamente il prima possibile della gabbia e di tutto quel substrato di gonne per riappropriarmi finalmente dell'uso delle mie gambe. Arrotolai il braccio sinistro più e più volte al nastro stringendo fortissimo la presa. Sganciai il destro che slacciò la gonna e ritornò al nastro. In bilico tra cielo e terra slanciai la gamba scalciando all'indietro facendo scivolare dall'alto la prima gonna. Dal viso di Boston trapelò eccitazione, sbalordimento e terrore. Arrotolai più che potei il tessuto alla vita e mi spinsi in una caduta libera lasciando con entrambe le braccia il nastro. Era giunto il momento di liberarmi di quella dannata gabbia. Portai il nastro sotto il seno e sganciai la gabbia. Poi mi arrampicai di nuovo e feci una capovolta. In un momento fui libera da tutta quella imbracatura di stecche e crine. Guardai il mio spettatore dritto in viso per tranquillizzarlo. Il suo viso era pallido e sudato . Esplosi in un sorriso come a dirgli :" Va tutto bene Boston. Rilassati." Contraccambiò. Senza la crinolina i miei fianchi e il mio bacino potevano di nuovo muoversi sensualmente attorno al nastro come quelli di una ballerina di Pole dance. In capriole e giravolte lasciai cadere una ad una le sottogonne come neanche l'uomo in rosso a quattro zampe dai polsi filanti sarebbe riuscito a fare. Risalì verso l'alto sfoggiando con orgoglio i miei mutandoni. Divisi in due il nastro avvolgendo prima un piede poi l'altro e feci una spaccata che ondeggiò nel vuoto come una gondola su un canale. Sciolsi prima una gamba e poi un'altra portandola in avanti in addominali laterali come a formare una piccola vi infine mi chiusi in una chiave di ventre. Nonostante l'appariscenza era una delle posizione più sicure sui tessuti, l'ideale per riuscire a slacciare il corsetto o costringipetto come lo chiamavo io.
Le mie rocambolesche acrobazie lasciarono Boston sbigottito e inchiodato a cosce aperte alla sua scrivania. Aveva sbottonato la camicia e tolto la cintura dai suoi pantaloni. Non ero più sicura se a doversi spogliare fossi ancora io o lui. Portò le mani a livello dei fianchi poi le dispose sul piano e facendo peso sulle braccia vi saltò su. Ero giunta ai miei ultimi due lacci quando la sua mano aveva impugnato e stretto forte l'elegante pelato. Era arrivato il momento di chiudere gli occhi e concedermi ai miei adorati lacci cadenti, alla danza del mio corpo ,a Boston. La musica mi diede l'energia e la forza di dimenticarmi del mio spettatore, di abbandonarmi completamente alle sospensioni. Allungai le mie braccia verso l'esterno e spinsi due volte avanti e indietro portando le ginocchia davanti al petto. Poi fu la volta delle caviglie le legai strette aggrovigliandole al nastro e mi lascia bruscamente cadere assumendo la posizione del pipistrello.
Le carezze della seta sulla pelle , l'importante sforzo fisico, e il duro lavoro degli amminoacidi durante la scena mi facevano cadere tutte le volte in quello stato particolare di trance, chiamato sottospazio , il volare, il fluttuare della mente, prodotto dal rilascio di adrenalina dalle ghiandole surrenali , che come unna massiccia dose di morfina alterava la coscienza, come il più potente degli ingredienti dissociativi adatto a una performance in costume adamitico. Con lo sguardo sognante e i riflessi rallentati assunsi ancora due o tre posizioni prima di sbottonare la camicia. Il subspace era quel piccolo grande Caronte che offrendoti al piacere ti rendeva estremamente concessivo, inerme e vulnerabile agli occhi di chiunque altro. Con un tocco sciolsi i capelli lasciandomi cadere in una capriola all'indietro insieme a loro e alla camicia che toccò il pavimento. Il mio seno e miei due boccioli di rosa restarono al vento e ben in vista all'unico partecipante dello show Boston coperti appena da due microscopici punti luce. Restavano solo i miei mutandoni, il pezzo più difficile da lasciare andare...
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Le storie di Vladlena Cékova
Science Fiction"...La mia pelle era diafana, le mie gote rosse purpuree , i miei capelli nero ebano. So a chi starete pensando. E in effetti come la fanciulla dalla mela avvelenata anche io parlavo agli animali. Ma dimenticate pure la scena del bosco incantato, d...