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Arrivò a casa mettendoci più del dovuto, perché non aveva prestato attenzione alla stupida strada? Si fece questa domanda rimuginandoci su fino a quando non arrivò la risposta, “eri troppo impegnato a prestare attenzione a Frank”, quella risposta fu l’ennesima pugnalata. 
Una volta che si chiuse la porta alle spalle sperò che i suoi stessero dormendo e che Mikey non lo sentisse, non aveva voglia di parlare, anche se immaginava che il suo fratellino, come lui, non stesse nel migliore dei modi. A passo veloce si diresse verso la sua stanza, aveva bisogno di quel posto, del suo posto. A luce spenta si buttò sul letto di pancia con un tonfo e con la testa sul cuscino, inizialmente tenne la faccia su di esso, era fresco e profumava di pulito, il cotone alleviava il rossore delle sue guance che sembravano l’unica parte del suo corpo, insieme alle mani, ad essere calda, stette per qualche minuto così immobile come ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Appena si rese conto di stare per soffocare la girò di lato e mise le mani sotto il cuscino, e si accoccolò meglio stringendolo forte, come per abbracciarlo, in quel momento la sua testa si riempì di pensieri.
Non seppe decidere a cosa pensare prima, c’erano troppe cose, cose a cui non aveva pensato prima. Non aveva pensato che Frank potesse usarlo solo per divertirsi, che potesse essere innamorato di Jamia e non di lui, che lo aveva portato in quel locale proprio per vederla e non per fare il romantico, che poi lo aveva portato per una stupida scommessa e non perché volesse davvero... Si era illuso, si era innamorato troppo facilmente, gli era bastato troppo poco per fidarsi e credere di poter essere amato, lui non era capace di farsi amare. Frank era di un altro livello, un livello superiore al suo, lui era una patata gigante dai capelli rossi, maldestro, timido, perennemente imbarazzato, sempre in ansia, che non riusciva mai a dire la cosa giusta, era ridicolo pensarlo accanto lui.
Si era lasciato fregare da quello che credeva fosse il suo nano, probabilmente non aveva più senso chiamarlo nella sua testa con quel nomignolo che tanto amava.
Non era suo e non lo sarebbe mai stato.
Quella era la triste verità che gli era stata sputata in faccia quella sera mentre andava a quello stupido tavolo pensando che tutto andasse bene.
Aveva sperato che un giorno Frank si sarebbe comportato in maniera speciale con lui, naturale, dolce, esattamente come aveva fatto con la ragazza sotto i suoi occhi.
Dopo quelle scena, era palese che stavano per mettersi insieme, Gerard era sicuro che fosse solo questione di tempo. Quel ragazzo maledettamente meraviglioso gli avrebbe detto che non avrebbero fatto più nulla, che non si sarebbero più visti da soli, che non si sarebbero più baciati… Mai più.
O magari non gli avrebbe detto nulla, un giorno qualunque si sarebbe messo davanti a tutto il gruppo annunciando di essersi fidanzato, senza neanche considerare l’ipotesi di dirlo prima a Gerard, anzi, al “tizio a caso con cui se la spassava ogni tanto ma che non significava nulla”. L’avrebbe presentata con quel suo sorriso da cucciolo felice, quello che lo faceva sciogliere ed impazzire allo stesso tempo, lo immaginava dire il suo nome come se fosse il più bello del mondo, come se fosse poesia, "lei è Jamia". Gerard cosa avrebbe fatto? Avrebbe orriso, sorriso come tutti gli altri, magari stringendole la mano, presentandosi a sua volta, magari sbagliando il suo stesso nome facendo finta che tutto andasse bene mentre dentro stava morendo, così sarebbe andata se non peggio, se non fosse scomparso in quel preciso istante.
Non la odiava, odiava più se stesso.
Quella era solo una fantasia ma faceva terribilmente male.
Immaginare però Christa urlare cose come “Frerard is real, Frerard shippers never die” cominciando ad insultare Frank, e Kristin sconvolta svenire su Mikey, e Ray confuso da tutta la scena, lo fece quasi sorridere tra sé e sé, non era stato il solo a crederci in quel rapporto. 
Ma ormai quella sarebbe stata una prossima realtà, altro che fantasia.
Andando via in quel modo dalla pizzeria, aveva solo reso le cose più semplici al ragazzo, almeno non gli avrebbe dovuto dire niente, il rapporto tra loro era già stato spezzato. Per un attimo pensò che sarebbe stato bello essere la protagonista di un film sentimentale, quelle che mangiavano il gelato in lacrime con il cuore spezzato e cantavano qualche canzone strappalacrime in pigiama. Per loro si risolveva tutto il giorno dopo grazie a qualche strana stregoneria. Ma sapeva che le cose non funzionavano così, quei film li guardava con sua madre e forse gli facevano solo male, quella era la vita vera, reale... E poi era inverno e quindi non aveva manco il gelato a casa per consolarsi. 
E come ciliegina sulla torta non aveva neanche potuto salutare Macchia, si era terribilmente affezionato a quella pallina di pelo, era diventata la sua borsa d’acqua calda piena di amore che lo riscaldava facendosi abbracciare, ma adesso era tutto finito, non avrebbe mai immaginato che potesse andare via.
Chiuse gli occhi.
Si sentì usato, ferito, deluso, arrabbiato, triste.
Una lacrima scesa dall’occhio che non poggiava sul cuscino, scorse sul naso fino a raggiungere l’altro occhio per poi bagnare la superficie morbida, gli fece quasi il solletico scorrendo, anzi, tra solletico, prurito e fastidio.
Un insieme di caos che lui non poteva ordinare, d'altronde l'uomo non cercava sempre di dominare il caos restando poi ferito?
Un'altra lacrima scese con altre, molte altre.
Pianse in silenzio fino ad addormentarsi.

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