Capitolo 24

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Apro gli occhi quando una curva brusca dell'autobus mi fa saltare sul sedile.
Justin non sembra accorgersene e continua a canticchiare una melodia che non avevo mai sentito prima.

«Sing me to sleep, sing me to sleep...» Il suo sguardo è rivolto agli alberi fuori dal finestrino mentre la sua mano destra picchietta sul sedile. «And then leave me alone me, don't try to wake me, in the morning, 'cause I will-» Emetto un sospiro impressionato, lui si ferma di botto e si volta a guardarmi. «Sei sveglia.» Esordisce.

«Non pensavo fossi il genere di ragazzo che canta alle donne per farle dormire.» Mormoro sorridendo.

«Non stavo cantando a te.» Dice sulla difensiva, ma so che sta mentendo.

«Canti bene, comunque.» Ammetto. «È un peccato che non stessi cantando per me, sarebbe stato un onore.»

«Non vuoi che ti dedichi quella canzone, piccola.» Nega con il capo. «È una canzone triste.»

«Come si chiama?» Chiedo curiosa e lui spalanca gli occhi.

«Non la conosci?» Nego con il capo. Lui mi avvolge il corpo con il braccio sinistro e fa un mezzo sorriso.

«Dovrò insegnarti qualcosa anche sulla musica, allora.» Mi stuzzica ed gli faccio la linguaccia. «Siamo quasi arrivati, piccola.»

«Smettila di chiamarmi piccola.» Alzo gli occhi al cielo.

«Sei più piccola di me di due anni e sei pure più bassa.» Mi ricorda ed io faccio una smorfia stizzita.

«Beh, sei tu ad essere troppo alto.» Lo indico. Lui prende la mia mano e se la porta davanti alla bocca, per depositare un bacio su di essa.

L'autobus si ferma ed io cerco di sistemare i miei capelli prima di alzarmi e uscire. Non capisco perché i capelli di Justin sembrino sempre perfetti nonostante siano spettinati o arruffati. Sistema il suo zaino e il mio sulle spalle e si volta a guardarmi combattere con i miei capelli. Prende un cappello azzurro dal suo zaino e lo colloca sulla mia testa.

«Non preoccuparti così tanto, Cassidy. Stai bene in qualsiasi modo.»

Sento il calore salire e le guance diventare rosse, quando un braccio mi avvolge le spalle nuovamente. Ci incamminavamo verso un taxi che ci porta in un albergo piccolo e modesto, proprio come la città in cui ci troviamo.

L'albergo ha una bellissima veranda piena di fiori ed è costituito da tre piani. Le porte e le finestre sono azzurre, mentre i muri sono bianchi. Una volta entrati, veniamo accolti da una signora anziana che ci rivolge un dolce sorriso.

«Buonasera, ragazzi. Il mio nome è Mary. Avete bisogno di una camera?» Ci chiede sorridendo nuovamente e facendo in modo che attorno ai suoi occhi azzurri si formino delle rughette.

Sento le mie guance diventare rosse al solo pensiero di dividere la stessa camera con Justin per un intera notte.

«Due camere, due camere separate, per favore.» Risponde lui, rivolgendomi un sorriso galante.

Mary annuisce con una punta di dispiacere nello sguardo -siamo in due, amica- e ci porge due chiavi con un cartellino quadrato che mostra il numero delle camere. B6 e B7.

«Le vostre camere si trovano al terzo piano; l'ora di pranzo è già passata ma alle 19:00 sarà ora di cena.» Ci informa scrivendo qualcosa su un quaderno. «Se non pensate di mangiare qui, per favore comunicatecelo.»

«Mangeremo qui.» Si sbriga a dire Justin. «Molte grazie.» Le sorride e la saluta con un cenno di capo. Faccio la stessa cosa io, un secondo prima che lui mi prenda per mano e mi trascini sù per le scale.

«Sembri stanco» Sussurro quando arriviamo davanti alla B7, la mia camera. «dovresti dormire.»

«Lo farò dopo averti dato qualcosa da mangiare, sono quasi le 18:00 e starai morendo di fame.»

Mi porto una mano sullo stomaco. Credo di averci fatto così tanto l'abitudine a mangiare poco, che quasi non ci faccio più caso. «Sì, ho fame.» Sorride dolcemente ma noto che ha un'espressone stanca.  «Ma posso aspettare le 19:00, tu invece devi dormire.»

Nega con il capo. «No, Cassidy. Non riuscirò a dormire sapendo che non hai mangiato nulla.»

«E va bene, papino.» Alzo gli occhi al cielo e lui sorride divertito.

«Perché non entri in camera e ti riposi un po', mentre io cerco qualcosa da mangiare?» Mi chiede grattandosi la nuca.

«Perché non usciamo?» Replico.

«Perché sta diventando buio, siamo in un posto che non conosciamo e non ti farò uscire di sera, in questo posto, per farti guardare da qualche brutto coglione.» Mi spiega ed io faccio una smorfia per la sua ultima frase.

«Okay. Posso accompagnarti, comunque?» Gli chiedo, sbattendo le ciglia.

«Perché?» Alza un sopracciglio.

«Non voglio rimanere sola, Justin. So che se mi allontanassi da te, inizierei a pensare e ripensare a mia madre.» Gli spiego abbassando lo sguardo. «Magari, in questo preciso momento, è al commissariato a parlare della mia scomparsa e sta rimuginando sulla mia punizione, da infliggermi una volta che mi avrà trovata.»

Impallidisce e mi prende per mano. Mi porta in cucina, dove c'è un uomo che sta pulendo il forno, mentre un altro sta sistemando i piatti sul bancone.

«Mi scusi.» Si schiarisce la gola. «Ci sarebbe modo di anticipare la nostra cena?» Si volta a guardarmi. «Voglio che prepariate qualcosa con molto cioccolato, delle patatine e...» Si ferma a pensare un po'. «Fate qualche piatto in particolare che contenga formaggio e carne?»

Lo guardo alzando un sopracciglio. Cioccolato, patatine, carne e formaggio?
Il cuoco e il cameriere si guardano tra di loro e sono sul punto di dire di no, quando Justin sventola una banconota da cinquanta dollari davanti a loro.
Annuiscono al biondo vicino a me mentre lui si limita a posizionare i soldi sul bancone. Dopodiché, mi prende per mano e mi fa sedere ad un tavolo.

«Oggi ti insegnerò a goderti il cibo.» Sussurra al mio orecchio con un tono di voce basso e sicuramente troppo sensuale per star parlando soltanto di cibo.

Teach me how to be imperfectDove le storie prendono vita. Scoprilo ora