Capitolo 63

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«Uscirai prima o poi?» Mormora. La sua voce sembra più svuotata della notte scorsa. Mi chiedo se abbia dormito ai piedi della porta.

Si era stancato di dare calci alla porta due ore dopo che io mi sono chiusa dentro; le urla erano durate circa quattro ore, e poi aveva continuato a supplicarmi con sussurri.

«Sei fortunata che abbiamo cambiato le toppe di tutte le porte e che io non abbia ancora una copia di questa questa chiave.» Sospira, e un secondo dopo sento un colpetto sulla porta. Penso che abbia appoggiato la fronte su di essa.

«Per favore» Insisto. «vattene.»

«Hai bisogno di cibo.» All'ultima parola, il mio addome si incrina. Ma il buco nel mio ventre non è grande come il buco nel mio cuore. «Cass, piccola, rimango sempre io. Correre non mi cambierà.» Sospira. «Cassidy...» Ripete il mio nome con una voce distrutta. «L'ho fatto mille volte e persino tu l'hai fatto con me.»

«Non capisci.» Mi sono degnata di rispondere.

«Cosa non capisco?» Chiede senza cercare di nascondere il suo sollievo alla mia risposta.

«So perché corri, o almeno penso di sapere il motivo per cui lo facevi prima.» .

«Dillo.» Chiede spezzando il silenzio.

«Volevi morire.» La mia voce trema e allo stesso modo le mie gambe. Me le stringo al petto e faccio un respiro profondo. «Molto, molto profondamente, lo volevi, e credevi che correre fosse il modo più semplice per suicidarsi senza che fosse così ovvio. Avrebbero dato la colpa alla macchina, ai freni, alla strada, ma non avrebbero pensato che l'autista andasse dritto contro l'albero. Non lo volevi rendere ovvio.»

«Non lo volevo.» Posso immaginarlo accigliato. «Semplicemente non mi importava se fosse successo o no, la mia vita non era importante per me. Se fossi morto, bene. In caso contrario, va bene comunque. Era uguale per me.» Mi spiega.

«Ma ti piaceva metterti in pericolo.» Lo accuso.

«Era un modo di sentirsi vivi.» Sospira.

«Ad un passo dalla morte.» Replico. «Non voglio riviverlo, Justin, non voglio che tu vada in un posto che ti ricordi quanto eri fragile.»

«Non succederà, ora non mi permetterò di morire. Io ho te. Sei la mia ragione per rimanere in questo mondo.» La sua risposta è così triste.

«Sono una ragazza, Justin.»

«Eh?»

«Sono una ragazza. Una semplice ragazza. Non puoi scaricare il tuo desiderio di vivere in me. Non è salutare, né per te né per me.» Gli spiego.

«Ti dà fastidio che tu sia la mia ragione di vita?» Mi chiede.

«Non è quello.»

«Cosa allora?»

«Mi fa paura.» Sussurro. «L'unica cosa a cui sono riuscita a pensare ieri notte è stato il tuo corpo premuto contro il parabrezza dell'auto.» La mia voce si rompe in un singhiozzo. «H-ho una brutta sensazione.»

«Non devi avere paura, piccola.» Mi rassicura. «Puoi aprire la porta? Voglio abbracciarti.»

«No!» Urlo. «Non ti aprirò finché non prometterai  di non andare.»

«Dio, Cass. Smetti di fare così.»

«Sono stanca di sentirmi dire quale comportamento deve avere.»

«Non sono tua madre, Cassidy.»

«Lo so, Justin.» Sbuffo. «Ci andrai indipendentemente da ciò che dico, vero?»

Teach me how to be imperfectDove le storie prendono vita. Scoprilo ora