Capitolo 26

1.1K 62 23
                                    

Abbasso il finestrino dell'auto, lasciando che il vento fresco mattutino mi colpisca il viso.

Sono ancora assonnata e sento le palpebre pesanti, quindi mi sporgo in avanti e accendo la radio sperando che la musica mi svegli.
La scorsa notte, dopo aver mangiato e aver fatto il 'gioco fruttoso' con Justin, ci siamo addormentati insieme.
Sapevo benissimo che l'altra camera non sarebbe servita a niente.

Oggi, quando mi sono svegliata, Justin non era accanto a me. Minuti più tardi però, è entrato in stanza con un mazzo di chiavi in mano e mi ha detto di aver affittato una auto per portarmi a fare colazione e poi andare all'aeroporto.
Ecco perché siamo in auto adesso.

Justin ha lo sguardo fisso sulla strada e un sorriso smagliante stampato sul volto.

La canzone che è appena iniziata parla del divertirsi, cogliere l'attimo e cose così.
Chiudo gli occhi e mi concentro sulla melodia monotona ma orecchiabile, mentre il vento mi scompiglia i capelli.

Sento Justin canticchiare a voce bassa e mi volto a guardarlo sorridendo divertita.

«It's always a good time!» Canta l'ultimo verso a voce più alta e quando mi sente ridacchiare, si volta a guardarmi. «Che c'è?»

«Sai cosa? Ieri scherzavo, non sei poi così bravo a cantare.» Lo stuzzico sorridendo.

«Ah sì? Perché non mi fai sentire come canti tu?» Alza un sopracciglio e torna a guardare la strada.

«Io non canto.» Dico semplicemente.

«Dovresti.»

«Lo dici perché non mi hai sentito cantare.» Ridacchio e lui si volta nuovamente verso di me. Fissa il mio profilo per un minuto che sembra interminabile, e mi sento andare in iper ventilazione. «Occhio alla strada, Justin.» Mi bagno le labbra.

Lui annuisce e torna a guardare la strada. «Hai la macchina fotografica?» Mi chiede. «Questo posto è conosciuto perché si trova in mezzo al bosco e penso che sarebbe carino fare qualche foto.»

Cerco all'interno del mio zaino finché non trovo la mia Canon t3i. L'accendo e mi giro a sinistra, incontrando il viso abbronzato di Justin. Ad attirare la mia attenzione sono le sue ciglia folte e la mandibola contratta. Mi chiedo se lui sia a conoscenza di tutta la sua bellezza.

Alzo la macchina fotografica e scatto una foto al suo profilo. «Questo per cos'era?» Sorride ed io arrossisco.

«Dovevo provare la macchina fotografica.» Mento.

«Ti ho già detto che non sei brava a mentire?» Mi chiede ed io faccio un'espressione perplessa.

«Non me lo ricordo.»

«Allora l'avrò solo pensato.» Posteggia l'auto e si gira a guardami. «Siamo arrivati.»

Sposto lo sguardo sullo stabilimento rustico, situato in mezzo a decine di alberi in fiore. Siamo a fine marzo, quindi la primavera è appena iniziata.

Ho sempre pensato che la primavera fosse sinonimo di speranza e ad ogni mio compleanno, fino ai dodici anni, avevo desiderato sempre le stesse cose: una mamma comprensiva, un papà coraggioso e un amico sincero. Nessuno dei mei desideri si era mai avverato, ma io continuavo a speraci finché mia madre non mi ha colpito per la prima volta.

Non mi accorgo neanche di essere scesa dalla macchina finché Justin non mi prende per mano e mi trascina dentro il ristorante. Ci accomodiamo in un tavolo vicino ad una finestra che da sul bosco, ovviamente.

«È bellissimo qui.» Esclamo cercando di smettere di pensare a mia madre. «È accogliente.»

«Dicono che sia il posto migliore per fare colazione in città.»

Una donna magra e alta cammina verso di noi con un quaderno in mano. La parte superiore della sua uniforme è così attaccata al suo corpo da sembrare una seconda pelle mentre la parte inferiore è tremendamente corta.

Ecco che questo posto non mi piace più.

Gli occhi verdi della ragazza sono fissi su Justin e quando si sporge su di lui, gli rivolge un sorriso seducente. «Cosa vuoi ordinare?» Si rivolge solamente a lui, come se io non fossi neanche presente.

«Vorremmo ordinare due frullati e due piatti di pancakes.» Dice Justin sottolineando la parola "vorremmo", senza togliermi lo sguardo di dosso.

La mora annuisce e una volta aver annotato le nostre ordinazioni sul suo taccuino, si allontana.

Justin si lascia scappare una risatina ed io alzo un sopracciglio. «Ti stai divertendo?»

«L'ho trovato divertente.» Risponde sulla difensiva.

«Io no, non è stato affatto rispettoso.» Rispondo fingendomi seria.

Vedo il suo sguardo incupirsi e fare un'espressione dispiaciuta. «Mi dispiace, io... scusa.»

Scoppio a ridere e mi sistemo sulla mia sedia. «Stavo scherzando, Justin.» Lo tranquillizzo. «Sono abituata ad essere ignorata.» Faccio spallucce.

La sua espressione passa dall'essere divertita a triste. «Con me non verrai mai ignorata. Ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti?»

Prima che possa rispondere, la cameriera ci porta i nostri frullati e ci informa che le nostre ordinazioni saranno pronte tra qualche secondo. Dopodiché, fa un occhiolino a Justin e se ne va ancheggiando.

Sbuffo e nego con il capo. «Sinceramente no.»

«Ti ho detto che sei squisitamente interessante.» Beve un sorso del suo frullato. Sorrido e lo imito, bevendo un sorso dal mio bicchiere. «E proprio per questo devi parlare. Non posso conoscerti se non mi parli.»

«Pensavo ti piacesse il mio essere taciturna.» Gli ricordo e lui sorride.

«Mi piace perché posso baciarti.» Ammette. «Ma voglio che parli ogni tanto. Per esempio non mi hai detto cosa pensi della nostra meta, ieri sera.»

«Ero in shock e continuo ad essere in shock, Justin. Los Angeles sembra un posto meraviglioso e non potrò mai ringraziarti abbastanza.» Detto questo, mi mordo il labbro aspettando la sua risposta che non tarda ad arrivare.

«Tra poche ore saremo lì. Amerai la California.»

«Ci sei già stato?» Domando curiosa.

«Vivevo lì. Mio padre mi ha mandato lì qualche anno fa perché...» Tossisce. «era necessario.»

«Quindi hai degli amici lì?» Domando leggermente preoccupata.

«Certo.» Sorride. «Sono simpatici, Cass. Ti troverai bene con loro.» Mi rassicura.

«Non sono brava a fare amicizia.» Mi accarezza la guancia con la mano guardandomi negli occhi.

«Andrà tutto bene.»

«E...» Prendo fiato. «c'è qualcuno che ti aspetta? Qualcuno di speciale, tipo?»

«Come qualcuno che mi piaccia?» Annuisco. «Beh, sì. Cioè, non ora ma prima credo di sì.»

Sento il cuore perdere un battito. Mi lascio collassare al mio posto, cercando di non dare a vedere la delusione. «Come si chiama?»

«Non siamo mai stati insieme, eravamo amici di letto o qualcosa del genere...» Spiega grattandosi la nuca.

«Come si chiama?» Ripeto la domanda.

«Si chiama Madeline.»

Teach me how to be imperfectDove le storie prendono vita. Scoprilo ora