2 - Stai bene?

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«Signore e signori, vi informiamo che tra qualche minuto atterreremo a Boston. Vi invitiamo a controllare che i bagagli siano stivati correttamente, il tavolino di fronte a voi sia chiuso, lo schienale della poltrona sia in posizione verticale con i braccioli abbassati e le cinture siano allacciate...»

L'aereo sta per atterrare. Sono a Boston e non mi sembra ancora vero. Guardo fuori dal finestrino, ma è troppo buio per vedere qualcosa. Ho dormito per buona parte del viaggio, ma essendo un volo breve, mi sento più stordita di quanto non mi sentissi alla partenza. Quando l'aereo si ferma sulla pista, sembra che le persone non vedano l'ora di scendere e sono già tutti in piedi a scaricare i loro bagagli dalle cappelliere. Non ho alcun desiderio di infilarmi in quella confusione, e a costo di aspettare che il velivolo sia vuoto e scendere per ultima, non ho nessuna intenzione di alzarmi finché il corridoio non sarà libero.

Alla fine prendo anch'io il mio borsone e lo zaino, e scendo seguendo il fiume di persone che si sta recando al ritiro bagagli. Sembrano tutti di poche parole, forse anche a causa dell'orario. Di solito, a quest'ora, mi sono fatta almeno un paio d'ore di sonno, e magari è così anche per le persone che stanno camminando davanti a me, come fossero in una processione silenziosa.

Una volta vicino al nastro trasportatore ancora vuoto, ma in movimento, accendo il cellulare per avvisare i miei che sono atterrata, e subito dopo, quando sto per far partire la chiamata per mia sorella, mi blocco, pensando che starà dormendo, e rimetto il telefono in tasca.

Dopo qualche minuto vedo arrivare i primi bagagli sul nastro, spero di recuperare in fretta il mio, voglio solo andare a casa e mettermi a letto. Pare che io non sia così fortunata perché, al terzo giro, della mia valigia non c'è traccia. A poco a poco, quasi tutti i passeggeri hanno recuperato le loro cose e se ne sono andati. Accanto a me c'è una coppia di anziani, sento la donna cercare di calmare l'uomo che si è innervosito perché la loro valigia non è ancora arrivata. Alzo lo sguardo e, di fronte a me, c'è un ragazzo. È di spalle, sta parlando con qualcuno al telefono. Ha una giacca di pelle nera da cui vedo spuntare il colletto rosso e nero di una camicia. Indossa un paio di jeans scuri. I suoi capelli castano chiaro, sono del tutto spettinati, e da dietro assomiglia terribilmente a...

Non faccio in tempo a terminare il mio pensiero perché il ragazzo si gira e il mio respiro si ferma. I suoi lineamenti, i suoi occhi, le sue labbra, gli somiglia parecchio e per un attimo mi era sembrato che fosse proprio lui e non riesco a smettere di fissarlo. La mia mente non fa che tornare sempre a lui.

È solo una somiglianza, Chloe.

Il ragazzo se ne accorge e mi sorride. Non riesco a ricambiare, e non riesco a smettere di guardarlo. Mi sento come se fossi catapultata indietro nel tempo. Anche il suo sorriso è mi ricorda al suo, e mi fa provare la stessa sensazione di quando lo faceva lui. Non riesco a smettere di guardarlo nemmeno quando lo vedo muoversi e camminare intorno al nastro trasportatore ormai vuoto per venire nella mia direzione.

È a qualche passo da me, e io sono ipnotizzata da questo ragazzo e dai suoi movimenti.

«Quante valigie aspetti?» La voce è del tutto diversa e riesco a riprendermi dalla specie di trance nella quale ero caduta.

«Una... una, e tu?» Mi sento comunque strana a parlare con questo ragazzo, soprattutto adesso che è così vicino e i suoi occhi verde azzurro sono troppo somiglianti ai suoi.

«Due, di cui una, contenente documenti di lavoro. Spero solo che non le abbiano perse.» Lo ascolto parlare continuando a fissarlo, forse non sto nemmeno sbattendo le palpebre. Sono sicura di avere un'espressione da ebete, mi starà prendendo per una a cui manca qualche rotella, e non sono in grado di rispondergli. Dopo qualche minuto di silenzio, lo vedo allungare una mano nella mia direzione.

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