59 - Torna da me

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Ho decisamente sottovalutato la determinazione che vedo nei suoi occhi verdi, la stessa che mette in tutto quello che fa, e in quello a cui tiene di più. L'ho visto crescere molto da quando l'ho conosciuto, e forse è l'unico di noi due ad aver fatto dei veri progressi, perché io, in questo preciso momento, con il suo sguardo di rimprovero a tenermi inchiodata, mi sento persa.

Dal momento in cui è entrato nella mia stanza non ha guardato altri che me. I miei due amici sono usciti in silenzio, lasciandoci soli, e ancora adesso lui non fa altro che guardarmi, mentre io guardo lui, che indossa il suo solito cappotto nero, con i capelli legati e le mani in tasca, sicuramente strette a pugno, con la stessa forza con cui tiene serrata la mascella.

È arrabbiato... è arrabbiato con me, o forse è deluso, o magari entrambe le cose. Resta fermo, rigido nella sua posizione, ad un paio di passi dalla porta d'ingresso della mia stanza, senza staccarmi gli occhi di dosso, e io vorrei trovare il coraggio di parlare, di chiedergli qualsiasi cosa pur di non restare in questa situazione di stallo, ma il suo sguardo è così furioso che sento la bocca completamente sigillata, come se non fossi in diritto di dire nulla, e magari è proprio così.

«Mi spieghi cosa diavolo vuol dire questa stronzata?!» È lui a rompere il silenzio, con un tono di voce molto duro e molto freddo. Toglie la mano destra dalla tasca e mi mostra un foglio accartocciato che io riconosco subito: è la lettera che gli ho scritto prima di partire.

«Mi dispiace...» riesco a pronunciare con un filo di voce, indietreggiando fino a scontrarmi con la finestra.

«Ti dispiace!? Che significa che ti dispiace!?» Lui fa un passo verso di me, tenendo stretto tra le dita quel foglio. Il suo sguardo mi ferisce, la sua voce alta e le sue parole anche, ma forse me lo merito.

«Volevo dimostrarti che sono forte quanto te...» gli dico a fatica, perché, adesso, tutte le parole che ho scritto in quella lettera mi sembrano sbagliate.

«E per farlo c'era bisogno di scappare di nascosto!?» Il suo tono di voce continua ad essere provocatorio, il suo sguardo sembra volermi scavare dentro, come fosse alla ricerca delle risposte che non sono in grado di dare a voce.

«Volevo fare da sola, avevo bisogno di farlo da sola...» rimarco con forza le parole, per tentare di fargli capire la mia necessità di provare ad essere più indipendente.

«Fare cosa esattamente!? Continuare a scappare!? Perché è questo che stai facendo, Chloe, lo sai, no!?» So bene quanto abbia ragione, ma non sono mai stata disposta ad ammetterlo, nemmeno ora che mi sta guardando così intensamente.

«Non sto scappando, Harry...»

«E nemmeno puoi farlo, perché in qualunque luogo andrai non potrai mai scappare da te stessa... perché è questo che stai facendo, e non c'è posto al mondo in cui tu possa nasconderti...» Nessuno me l'ha mai detto, è la prima volta che la verità mi viene sbattuta in faccia con una sincerità tale da lasciarmi senza parole.

Harry ha ragione, sto scappando da me stessa, l'ho sempre fatto e sto continuando a farlo senza nemmeno rendermene conto. Ero convinta di essere migliorata in questi mesi, di aver fatto dei progressi, ma la realtà è che non sto bene, non ancora. In tutto questo tempo non ho fatto altro che accantonare tutto in un angolo della mia testa, come si farebbe nascondendo la polvere sotto al tappeto. Harry ha avuto la capacità di alzare quel tappeto e far riaffiorare un'altra volta tutto quanto.

Non ho accettato la morte di Dylan e, tantomeno, l'ho superata. Sto vivendo la mia vita e il mio rapporto con Harry a metà; non lo merito io e non lo merita soprattutto lui, che sta mettendo tutto sé stesso in questa relazione. Questi pensieri, però, non fanno altro che far aumentare i sensi di colpa, perché ora ne ho anche nei confronti del ragazzo che sta in piedi di fronte a me, volato un'altra volta fino a Montréal da Boston solo per parlarmi. Non lo merito, non merito niente, ne sono consapevole e forse dovrei fare un passo indietro...

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