EXTRA

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Ci credevo.

Ci credevo davvero che cambiare città, allontanarmi dal luogo nel quale tutto è finito, sarebbe bastato ad alleviare l'immenso dolore che continua a restare bloccato nel petto, all'altezza del cuore, ma il solo spostarmi da Montréal a Boston non era servito.

Lui era sempre lì, al centro dei miei pensieri, qualunque cosa facessi, con qualunque persona parlassi, in ogni attività in cui mi cimentassi, lui c'era... in un modo o nell'altro c'era.

E c'è ancora quando osservo la catenina al collo, quando la stringo tra le dita, quella con il piccolo cigno che mi ha regalato la sera del mio compleanno, l'ultima in cui l'ho visto sorridere, l'ultima in cui mi ha baciata, l'ultima in cui abbiamo parlato.

Ma la sola aria di Boston non mi ha dato modo di tornare a respirare come avevo sperato. Il nuovo lavoro da traduttrice alla casa editrice è stato decisamente stimolante, ma è stato in grado di tenere a bada i problemi solo temporaneamente. A volte non riuscivo nemmeno a portare a termine una pagina, perché ero troppo concentrata sui miei sensi di colpa per pensare a lavorare, o a mangiare, e persino a vivere.

La notte del mio ventitreesimo compleanno è stata la più bella e la più terrificante della mia vita fino a quel giorno, nel quale ho passato delle ore meravigliose in compagnia dei miei due migliori amici e dell'amore della mia vita. Abbiamo festeggiato al nostro bar preferito, lui mi ha dedicato "Wherever You Will Go" al Karaoke - cosa che ho poi interpretato come un saluto d'addio - ed è un ricordo che conservo nella mia mente con grande affetto.

Mi ha dato il suo regalo sopra al tetto della mia camera da letto, mentre eravamo avvolti dal cavo di lucine che io ho sempre adorato, e lui lo sapeva. Dylan sapeva sempre cosa mi piaceva e cosa no, cosa mi rendeva felice e cosa mi infastidiva, ed è riuscito a rendere speciale anche quella sera.

Non avrei mai potuto immaginare che, quando l'ho salutato, prima che tornasse a casa sua, sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei sentito pronunciare il suo 'ti amo', non potevo nemmeno lontanamente ipotizzare che da lì a poche ore tutta la mia vita sarebbe stata stravolta, distrutta, polverizzata, con una banale telefonata in piena notte.

È ancora perfettamente chiaro in me il ricordo della corsa in ospedale, delle lacrime dei suoi genitori, della disperazione nella voce di sua madre, e dell'immenso dolore che ho provato nel vederlo attaccato a tutti quei tubi. L'angoscia che ho provato mentre gli tenevo la mano, e il bip intermittente di quel macchinario che accompagnava il suo respiro, la sofferenza, l'incertezza, e la preoccupazione che occupavano ogni parte di me... è questo che continuo a provare ogni volta che l'incubo di quella notte torna a tormentare il mio sonno.

C'è un suono che ancora ricordo distintamente, quello continuo e prolungato del bip del macchinario, che persiste nel devastare il mio cuore ogni qualvolta in cui fa capolino nei miei ricordi, quello che ha segnalato con totale freddezza che il suo, di cuore, aveva smesso di battere e, con il suo, anche il mio aveva cessato di esistere.

Da lì la disperazione è stata completa e distruttiva, talmente incontrollabile da portarmi a fare gesti estremi, dai quali sono stata salvata - senza realmente meritarlo - dal mio migliore amico, arrivato in mio soccorso come un cavaliere sul cavallo bianco.

Mi sono fatta del male, emotivamente e fisicamente, ho ferito le persone che mi stavano vicine, non ho mai apprezzato niente di ciò che facevano per me, perché non ho mai voluto essere davvero salvata. Non ha potuto niente la mia famiglia, i miei amici, e nemmeno lo psicologo, con il quale non ho mai voluto instaurare alcun tipo di rapporto.

I sensi di colpa mi hanno sempre portato a pensare che, se non fosse stato per il mio compleanno, Dylan, forse, non sarebbe venuto a casa mia quella sera, non avrebbe percorso quel tratto di strada e non avrebbe avuto quell'incidente che gli ha portato via tutto il suo futuro. Gli stessi sensi di colpa che mi hanno divorato l'anima e la mente per mesi.

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