49 - È di lui che ho bisogno

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Sono già tre mesi che non torno nella mia città natale e, ora che sto per toccare di nuovo suolo canadese, mi rendo conto che un po' mi è mancata. Sono successe tante cose da quando sono partita da qui con quel profondo dolore nel cuore, un dolore che sta lasciando spazio ad altro, un dolore che ha smesso di divorare ogni cellula del mio corpo, ed è con questa leggerezza che accolgo l'aria che mi sta riempiendo i polmoni, la stessa aria che mi investe non appena inizio la mia discesa dalla scaletta dell'aereo: è fredda, ghiacciata, ma è aria di casa. 

Mia sorella cammina tranquilla davanti a me mentre ci rechiamo all'uscita. Abbiamo con noi solo un bagaglio a mano, non abbiamo bisogno di portarci dietro molto dato che dormiremo entrambe nelle nostre camerette a casa di mamma e papà, dove abbiamo ancora un sacco di cose lasciate qui.

Quando ho preparato la valigia - a distanza di poche ore dalla partenza - mi sono fortunatamente ricordata di metterci dentro il cd di Michael Bublè, quello che ho comprato da Lawson per Reb, per quanto riguarda i regali che ancora devo fare a tutti gli altri, ci penserò domani andando in centro con Hazel e Kurt. Mi mancano da morire!

«Ecco papà!», esclama mia sorella entusiasta, non appena usciamo dalle porte scorrevoli degli arrivi.

Non trattengo un enorme sorriso nel vedere la scena che si svolge di fronte ai miei occhi, quella in cui mio padre e mia sorella si abbracciano con forza, lo stesso trattamento che rivolge a me subito dopo, non appena mi avvicino a loro.

«Le mie bambine!», dice lui, chiudendo entrambe nello stesso abbraccio.

La gioia che provo in questo momento è assolutamente indescrivibile. Riesco a percepirla in ogni fibra del mio corpo, in ogni muscolo, in ogni pensiero, e so che per questo ho una meravigliosa persona da ringraziare, la stessa persona che si è fatta trovare in aeroporto a Boston prima della mia partenza.

So di essere stata io a chiedergli di non venire in aeroporto, ma sapere che lui ha accettato e non sarà qui al momento in cui varcherò i controlli del check-in, mi mette comunque addosso una punta di tristezza perché mi manca già.

Il giro in moto di ieri sera è stato incredibile. È stato come se, durante quella corsa, avessi perso la mia diffidenza e la mia paura. Quando si è fermato nei pressi di quel meraviglioso parco, mi ha fatto togliere il casco e, tanta era l'adrenalina che avevo in corpo, che l'ho baciato così intensamente che non sapevo più dove finivo io e dove iniziava lui. Rido ancora al ricordo di cosa mi ha detto subito dopo. "Cazzo, Stewart, se la moto ti fa questo effetto ti ci porterò tutte le sere."

***

«Chloe, devo andare un attimo in bagno, arrivo subito». Annuisco alle parole di mia sorella e mi fermo vicino alle poltroncine della sala d'attesa. Mi chino verso la cerniera della mia valigia, piegandomi sulle gambe, per recuperare i biglietti e quasi mi si blocca il respiro quando vedo un paio di scarpe comparire nella mia visuale.

Le sue scarpe.

I suoi stivaletti, per la precisione, quelli neri, gli stessi che aveva l'altra sera...

«Mi piaci piegata ai miei piedi». Alzo lo sguardo nel sentire la sua voce. Lui è qui.

Non riesco nemmeno a vedere cosa indossa perché riesco solo a concentrarmi su quel mezzo sorriso, che mette in mostra la sua fossetta sinistra, e io non posso che continuare a capitolare ancora e ancora.

Faccio forza sulle gambe e mi metto in piedi solo per continuare ad arrendermi a lui, al suo sguardo, a quel verde che non fa altro che conquistarmi ogni volta più della precedente.

«Felice che tu non mi abbia dato retta», gli dico, riferendomi al fatto che è venuto comunque a salutarmi prima della partenza, nonostante mi avesse detto che non ci sarebbe stato.

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