21 - Lui ride e io guarisco

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Il bollitore elettrico si spegne, segno che l'acqua è arrivata alla temperatura giusta. Prendo una tazza, la riempio, e metto in infusione una bustina.

Mi appoggio al ripiano della cucina, in attesa che passino i minuti necessari per tentare di calmarmi con il tè che mi sto preparando. Oggi il senso di inquietudine è più opprimente del solito. Forse perché ieri l'ho visto... li ho visti - entrambi - e non è stato affatto facile riuscire a sfuggire a Harry al termine dell'incontro con il signor Picard. Alla fine sono stata salvata, se così si può dire, da Jordan, che l'ha chiamato nel suo ufficio. Harry mi ha chiesto di aspettarlo e io volevo davvero farlo, volevo provarci, ma poi Dylan mi ha offerto un caffè, e so che l'ha fatto con tutta la gentilezza di cui è capace, ma sentirlo parlare, vederlo sorridere... io proprio non ce l'ho fatta e sono scappata da quell'ufficio con una stupida scusa.

Continuo a vederlo ovunque, anche in questa casa in cui lui non è mai stato. Mi sembra di vederlo sul divano mentre lottiamo per il telecomando, davanti ai fornelli mentre tenta di imparare a cucinare, in bilico su una sedia mentre attacca una cornice con la nostra foto preferita e a volte mi sembra che, se solo allungo una mano, posso addirittura toccarlo.

Sto lottando, ci sto provando, ma ancora non riesco ad immaginare la mia vita senza di lui, la vita che stavamo programmando insieme; inoltre oggi mi sento persa da quando ho acceso la radio che, proprio in quel momento, trasmetteva "Wherever  you will go", la canzone che mi ha dedicato quella sera, e subito dopo il telefono si è messo a squillare. Era Harry, e non ce l'ho fatta a rispondere. Gli ho scritto un messaggio dicendogli che l'avrei richiamato, ma, a distanza di quasi dodici ore, non l'ho ancora fatto, e non ho intenzione di farlo. Almeno fino a quando questa pressione che sento sul petto non mi darà la possibilità di riprendere a respirare regolarmente, non voglio sentire nessuno. Non ho nemmeno risposto al messaggio di Kurt. Vorrei solo spegnere il cervello, così da non sentire più niente e non vederlo ovunque.

Sono grata del fatto che mia sorella sia uscita e che non mi veda in queste condizioni, sembro il fantasma di me stessa e Dio solo sa quanto vorrei esserlo davvero.

Ho fatto di tutto per riuscire a distrarmi oggi. Mi sono concentrata fino allo sfinimento su quella traduzione di poesie, ho preparato la cena, ho ripulito il bagno da cima a fondo, ho fatto persino dello stupido yoga, ma nulla è servito a portarlo via dalla mia mente. Forse potrei uscire, forse potrei stare in mezzo alle persone, vedere facce nuove che non assomiglino a Dylan, o che non abbiano gli occhi verdi.

Sì, è quello che farò.

Abbandono il tè al suo destino, voglio qualcosa che faccia salire il mio livello di adrenalina, voglio sentirmi forte, voglio provare a spegnere la mente, ed è per questo che ho indossato un paio di jeans strappati sul davanti, una canotta aderente bianca, la giacca nera di pelle di mia sorella e i suoi appariscenti stivaletti neri con tacco alto. Un po' di eye-liner e mascara neri, e sono pronta per uscire.

Prendo le chiavi e il cellulare ma, prima di uscire, tengo stretto tra le mani il piccolo ciondolo che non tolgo mai dal collo, chiudendo gli occhi e prendendo un gran respiro. Ora mi sento davvero pronta.

Una volta in strada apro Google Maps e scelgo un locale a caso, poi trovo un taxi e mi faccio portare nel posto in cui ho scelto di passare la serata. Durante il tragitto mi concentro su tutto quello che vedo fuori dal finestrino: persone, luci, strade, incroci, negozi, palazzi, cartelli stradali, pronuncio mentalmente il nome di ogni cosa che vedo, come un automa, per non essere costretta a pensare.  

Non voglio pensare.

Riesco ad entrare facilmente, non c'è molta coda all'esterno, e mi faccio largo tra la folla di persone e i divanetti azzurri o fucsia, non ho capito bene il colore a causa delle luci intermittenti colorate che colpiscono ogni oggetto, e infine arrivo alla mia meta: il bancone del bar.

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