32 - Mi sento un fottuto detective

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Harry

«Harold!» Mi muovo lentamente, molto lentamente, fra le lenzuola pulite. «Harold!» La voce è sempre più forte. Non ho idea da quanto tempo stia urlando e bussando alla mia porta, che sento aprirsi di colpo. «Cristo santo, Harry! Ma perché non rispondi mai?!» Non appena la voce alterata di mio padre si avvicina ad una distanza insopportabile, devo obbligatoriamente nascondere la testa sotto al cuscino per attutire i decibel che arrivano alle mie orecchie.

Sento lo stridio dei ganci del tendone della grande finestra ed è come se mi perforasse i timpani. Ma perché diavolo deve fare tutto questo casino? Sento il rumore che provocano le sue scarpe farsi sempre più vicino e poi ancora la sua voce. «Harry! La colazione è pronta, hai esattamente ventidue minuti per prepararti, dopodiché James non ti aspetterà». Mi strappa il cuscino dalla testa e io mi tiro su la coperta.

«Sembri un disco rotto...», biascico, con la voce ancora impastata dal sonno.

«Se solo tu ti svegliassi in orario non avrei bisogno di ripeterti sempre le stesse cose». Vorrei dire qualcosa di sensato, ma riesco solo a mugugnare parole incomprensibili persino a me stesso, ma ho davvero troppo sonno oggi.

Credo si sia arreso perché sento i suoi passi allontanarsi e, a quel punto, mi giro su un fianco, poi a pancia in su, tengo gli occhi chiusi e sorrido come un idiota al ricordo di ieri sera, mentre allungo le braccia, e poi sbadiglio sonoramente. Non mi ha promesso niente, nemmeno io ho promesso niente a lei, eppure è come se l'avessimo fatto, come se tra tutti quei baci avessimo stretto un patto silenzioso, come se avessimo riconosciuto entrambi, che quel qualcosa che c'è tra noi non può più essere ignorato.

Sposto il piumone, mi metto seduto sul letto e strofino con forza il viso, poi mi metto in piedi e vado in bagno, dritto sotto la doccia ripensando a quando l'ho accompagnata a casa. Il suo viso era così sereno e tranquillo come gliel'ho visto poche volte, e sono assolutamente certo che fosse con me in ogni senso ieri sera. Sia la sua mente, che il suo corpo, erano lì con me, a casa di mio nonno, dove non ho mai portato nessuna, ma ieri sera l'ho voluta lì, per condividere quell'atmosfera che respiro sempre quando entro in quella casa e, a quanto pare, non ho sbagliato a farla partecipe di una cosa tanto importante per me.

L'ho sentita sciogliersi tra le mie braccia, ho visto nei suoi occhi il completo abbandono a quello che provava, fino a quando non sono stato così idiota da tentare di oltrepassare il limite; avrei dovuto immaginarlo che non era ancora arrivato il momento per lei, ma sono felice di essere almeno riuscito a rassicurarla e a non farla scappare.

Ora, dopo essermi lavato e asciugato, infilo un paio di pantaloni e scendo a fare colazione. Ieri sera, dopo averla lasciata a casa sua, non avevo voglia di tornare da me. Sarei stato da solo e avrei anche dovuto prepararmi qualcosa stamattina, o andare al bar, e la voglia di fare tutto questo era meno di zero, soprattutto perché sapevo che non sarei riuscito a prendere sonno molto presto, e non mi sono sbagliato su questo. Mi sono girato e rigirato nel letto più volte perché non riuscivo a smettere di pensare a Chloe, perché quello che lei ha scatenato al mio corpo ieri sera è stato difficile da far sparire, e non è sparito ancora adesso.

Merda!

«Buongiorno», dico a Brenda, intenta a trafficare vicino al lavandino.

Si volta a guardarmi con un enorme sorriso. «Buongiorno a te, Harold!» La sua espressione è ovvia, so benissimo cosa sta per dirmi, ma tento di ignorarla mentre mi siedo sullo sgabello di fronte al piatto di pancake che ha già preparato per me e, come immaginavo, smette di fare ciò che stava facendo per venire a dirmi ciò che ha lì, sulla punta della lingua. «Chi è la ragazza che hai portato qui?»

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