46 - It's what you want (it's)

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Sembra che oggi il sole splenda solo per me.

Siamo a metà dicembre e solitamente il tempo in questo periodo a Boston è piovoso, o nevica, o è grigio, o qualche altra orribile intemperia, ma non oggi. Oggi c'è il sole, splendente, luminoso. I raggi penetrano a malapena dalle tende lasciate accostate, arrivano sul mio viso e sono costretta a spostarmi leggermente sul cuscino per non dovermi tenere una mano sugli occhi, e tutto mi sembra splendente, come la luce che rischiara la stanza... la stanza di Harry.

Sorrido al pensiero di ieri sera, al pensiero di noi due insieme. Mi allungo leggermente, poi mi volto per poterlo guardare e resto sorpresa quando lo trovo sdraiato su un fianco, appoggiato sulla mano destra a reggersi la testa e un sorriso che mi scioglie il cuore.

«Ciao», mi dic,e con voce assonnata e sexy.

«Ciao», gli rispondo, stropicciandomi gli occhi e tirandomi su il lenzuolo. «Sei sveglio da tanto?», gli chiedo, allungando una mano verso la sua, che lui si affretta a stringere.

«No», dice solamente, senza aggiungere altro.

«Che stavi facendo?», gli domando ancora, mentre i miei occhi non possono evitare di posarsi sul suo corpo ancora meravigliosamente nudo.

«Stavo cercando di interpretare quel disegno che hai sulla schiena», lascia la mia mano per sistemarmi i capelli dietro l'orecchio.

«Non c'è niente da interpretare. Ogni pezzo rappresenta qualcuno che per me è stato importante. Se è colorato è un ricordo felice, se è in bianco e nero è un ricordo che non voglio dimenticare». La sua mano indugia sul mio viso, ancora, e io resto a godermi quel contatto delicato per qualche secondo. «Che ore sono?», gli chiedo ancora.

«Non lo so e non m'importa», mi dice, con un meraviglioso sorriso.

«Ma io ho fame», affermo, senza dare peso alle parole che ho appena pronunciato.

«Ancora Stewart? Non ne hai avuto abbastanza?», mi dice con tono provocatorio. Sorrido e alzo gli occhi al cielo per la sua solita battuta allusiva, ma che non mi dispiace affatto sentire.

«Di cibo, Stevens, ho fame di cibo», specifico. La sua mano scende dal mio viso, sul collo, fino al lenzuolo che sposta leggermente per sbirciare al di sotto.

«Beh anch'io ho fame», dice in modo estremamente sexy, ed è ovvio che non stia affatto pensando ad alcun tipo di alimento.

Stringo il lenzuolo, riportandolo contro il mio petto, privandolo della visuale del mio corpo nudo. «Sia chiaro, ho fame anche io, Stevens, ma ora ho bisogno di cibo».

«Posso accontentarmi, per ora...», afferma soddisfatto. «Facciamo così: io adesso scendo, vado a comprare qualcosa di commestibile e, quando torno, voglio trovarti qui, ci siamo capiti?» Annuisco sorridendo, lui si avvicina, mi lascia un veloce bacio sulle labbra e resto a guardarlo scendere dal letto.

A parte i tatuaggi, non c'è altro a coprire la sua pelle. Seguo con lo sguardo ogni suo movimento, ogni suo spostamento attraverso la stanza alla ricerca di qualcosa da indossare, mentre lui continua a lanciarmi sguardi divertiti senza dire assolutamente nulla. Non ne abbiamo bisogno, lo fanno i nostri occhi per noi e, quando esce dalla stanza, alza soltanto il suo dito indice puntandomelo contro, mi osserva, poi, lentamente, cammina all'indietro e sparisce dalla mia vista, lasciandomi nel silenzio più totale.

Oggi quel silenzio ha il suono della perfezione, quello del battito del mio cuore, costante e sereno, quello del deserto nella mia testa, dove sembrano rotolare solo quei ramoscelli secchi del far west, quello delle lenzuola del suo letto, in cui non c'è stato nessun altro che noi. Sorrido ancora al ricordo delle sue parole.

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