41 - Sei arrabbiato con me?

544 17 0
                                    

Tre giorni.

Con oggi sono passati tre indimenticabili giorni da quando siamo arrivati nella capitale spagnola e io non mi sentivo così da... da troppo tempo per non apprezzare anche la leggera pioggia che batte contro il vetro della mia stanza d'albergo.

Sorrido, non faccio altro da quando siamo atterrati in questo stato, al di là dell'oceano rispetto a dove ho vissuto la mia intera vita e, se dicessi che tornare a casa non mi spaventa, mentirei spudoratamente, perché la verità è che sono terrorizzata di tornare in America, a Boston dove c'è Dylan, di cui non mi sono dimenticata - non potrei mai farlo data la sua somiglianza con il mio Dylan - e poi c'è il problema, se così vogliamo chiamarlo, del mio ritorno a Montréal per Natale. Detesto dovermi separare da Harry proprio in questo periodo in cui sembra che non riusciamo a fare altro che avvicinarci.

So di avere tante cose meravigliose di cui occuparmi lì, come la mia famiglia, i miei migliori amici, Ryan e Emma, ma quella è la città dove tutto è iniziato e tutto è finito, un po' anche la mia vita è terminata quel giorno, e anche se Harry è stato in grado di farmi uscire dal buio tirandomi con forza e fermezza, il mio timore è che, una volta tornata in quella città, non sarò in grado di tenere a freno il mio cervello.

Chiudo la valigia dopo aver controllato ovunque nella stanza di non aver dimenticato nulla e sorrido malinconica al pensiero di me e Harry in giro per la città, spensierati e sorridenti come ieri sera dopo l'ultimo incontro con tutti gli investitori - incontro che è andato alla grande. Harry ha portato a termine ogni singola richiesta di suo padre, se l'è cavata più che bene e Hernandez ha detto che porterà altri clienti, quando ne avrà l'opportunità, e che si raccomanderà di lavorare con lui personalmente.

Prendo la sua felpa, quella che ha lasciato qui ieri sera, la indosso sopra al mio maglioncino scuro e tiro su la cerniera fino al fondo stringendomi nelle spalle, come se fosse lui a farlo. Rimpiango il fatto che in nessuna di queste sere siamo riusciti a... come dire... "soddisfare il nostro appetito", ma sembrava davvero che ci fosse qualcosa che remasse contro di noi.

La prima sera, a causa di vari impedimenti, lui ha impiegato troppo tempo a tornare nella mia stanza e il jet lag ha fatto il resto, facendomi addormentare come un sasso. La sera successiva Harry ha passato un'intera ora in video conferenza con suo padre e suo fratello, mentre io lo aspettavo nel mio letto, ma per la seconda volta di seguito mi ha trovata nel mondo dei sogni. La cosa bella, però, è che si è comunque infilato nel mio letto e l'ho trovato al mio fianco quando mi sono svegliata.

Stamattina ci siamo alzati presto per recarci negli uffici di Hernandez per le firme finali e la definitiva conclusione del contratto, e ora ci stiamo preparando per andare in aeroporto. Il suo cliente ci ha invitato a pranzo e, per quanto Harry abbia insistito a dire che non ce ne fosse bisogno, alla fine ha dovuto cedere e siamo rimasti lì fino a poco fa.

Mi siedo sul bordo del letto per infilarmi le scarpe e, mentre lego i lacci, sento bussare alla porta. Mi alzo per aprire e sono certa di sapere chi sia. Abbasso la maniglia, tiro verso di me la porta e il suo sorriso è capace, ancora una volta, di farmi sentire bene e di rassicurarmi. «Sei pronta?», mi chiede, tenendo stretta tra le mani la sua valigia.

Anche lui è vestito molto più casual rispetto alla partenza. Indossa un paio di jeans scuri, strappati alle ginocchia, una camicia nera - come sempre troppo sbottonata - e il suo cappotto. Ha i capelli legati in uno chignon alto e una strana espressione sul viso, come se ci fosse qualcosa che lo turba. Che sia anche lui preoccupato per il mio rientro? Che anche lui stia pensando al fatto che posso avere un altro crollo emotivo una volta tornata a casa?

«Sì, ho appena chiuso la valigia ora... stai bene?», gli domando apprensiva.

«Sì, certo». Il suo tono non è spavaldo come al solito, sono sicura che gli stia passando qualcosa di negativo per la testa. «Dai andiamo...», si volta e fa per andarsene, ma io non posso restare ferma senza fare niente, non posso vedere ancora quell'espressione sul suo viso, quindi lo raggiungo, afferro la sua mano per farlo fermare, e lo faccio voltare verso di me.

The beginningDove le storie prendono vita. Scoprilo ora