50 - Forse mi manchi

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Al risveglio da quel dannato incubo la sensazione è sempre la stessa. Mi manca l'aria, che fa fatica a passare per arrivare a riempirmi i polmoni, tremo come una foglia, sudo, e non riesco a chiudere gli occhi, come per la paura che, richiudendoli, le immagini che ho appena vissuto nella mia mente, possano tornare a tormentarmi.

La porta della mia stanza si apre di colpo e mia sorella si fionda sul mio letto, sedendosi accanto a me per tenermi stretta tra le sue braccia. Devo aver urlato, anche oggi come ieri, per la seconda volta di seguito. Mi aggrappo con forza a lei, alle sue spalle, ma non riesco a piangere, non riesco a far uscire quello che ho dentro, e il motivo è ben chiaro nella mia testa.

Inizio a concentrarmi sui suoi occhi verdi, sulla sensazione delle mie dita tra i suoi capelli, sulla forza del suo abbraccio, sul suono della sua voce, che ha il potere di calmarmi come niente è mai riuscito a fare e, alla fine, funziona - non come se lui fosse realmente qui, ma devo accontentarmi.

«È passato Reb», le dico, quando riprendo a respirare quasi regolarmente.

Mia sorella si allontana quel poco che le basta per guardarmi negli occhi. «Non è passato affatto, Chloe...» Poggia entrambe le mani sul mio viso portandomi i capelli all'indietro e mi guarda con attenzione. «Gliel'hai detto?» Sospiro pesantemente alla sua domanda, perché vorrei non parlarne, ma so che dovrò farlo.

«No, Reb, non voglio che si preoccupi. Lui è così sereno in questi giorni...» Mia sorella insiste sul fatto che dovrei raccontare a Harry di questi incubi, mentre io non voglio farlo. Un po' perché non voglio farlo preoccupare, un po' perché penso che dovrei imparare da sola a superare questa paura.

È stato proprio lui ad insegnarmi che per superare una paura bisogna affrontarla, quindi è quello che sto facendo, ma mi rendo conto che i risultati sono evidentemente scarsi.

'Forse perché lui ti ha detto che le paure vanno sì affrontate, ma insieme!',  mi ricorda prontamente la mia coscienza, che tento di ignorare con ogni mezzo possibile. Non voglio coinvolgerlo, voglio sentirlo continuare a ridere durante le nostre telefonate, perché è quello che mi dà la forza che mi serve per tenermi insieme e non crollare.

«Chloe...»

«No, Reb, non glielo dirò». Resto ferma nella mia posizione alle insistenze di mia sorella, perché Harry ha sofferto troppo, anche a causa mia, non voglio più essere motivo di sofferenza per nessuno. «Mamma e papà non sanno niente, vero?» Mi preoccupo anche di loro e del loro benessere. Mi hanno vista così serena da quando sono rincasata, che sono tornati a sorridere spensierati. Riconosco le loro espressioni libere da preoccupazioni e non posso permettere che sul loro viso torni quel velo costante di ansia per colpa mia.

«Non ho detto niente a nessuno, Chloe...», i nostri genitori hanno il sonno pesante e finora sono passata inosservata, «solo...», trattengo il fiato mentre osservo la sua espressione cambiare.

«Cosa intendi con solo? A chi l'hai detto, Reb?» Il mio tono di voce esce più acido di quanto avrei voluto. Mia sorella non merita affatto questa mia reazione, ma le avevo chiesto di mantenere il segreto.

«Io non volevo dire niente, ma lui ha capito che non stavi bene. Lo sai che non gli puoi nascondere niente». Porto entrambe le mani sul mio viso per strofinarlo con forza.

Avrei dovuto saperlo che con Kurt non ho via di scampo. «Allora è per questo che mi ha chiesto di passare la giornata con lui, oggi...», pronuncio ad alta voce quando mi torna in mente ciò che mi ha scritto ieri sera con quello strano messaggio.

Oggi è il terzo giorno che sono qui a Montréal ed è la vigilia di Natale.

Per assecondare la teoria di Harry - quella di affrontare la paura per superarla - sono stata al cimitero sia il giorno del mio arrivo, che ieri, e ho intenzione di andarci anche oggi, con la speranza di riuscire ad avvicinarmi alla sua lapide.

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