Due incontri - Mezza Luna

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Sull'insegna grande e bianca che sembrava una mezza luna sospesa nel cielo c'era scritto semplicemente "Luna Park".

La musica era alta e forte e riempiva l'aria di quella serata. Il cielo era tornato sereno dopo il temporale che mi aveva sorpresa al tramonto.

<<Forse sono troppo grande ormai, papà>> dissi abbassando gli occhi e subito dopo guardandomi intorno come se fossi alla ricerca di qualcosa.

Di qualcuno, piuttosto.

<<Oh, Mills. Non dire così. Non si è mai troppo grandi per questo.>>

Mills.
A volte lo faceva, a volte mi chiamava così. Era bello perché era suo. Era stato il primo a darmi quel soprannome. Qualche volta durante gli anni della scuola mi avevano chiamata così anche i miei compagni di classe, ma con lui era differente. Per me quel soprannome l'aveva inventato lui. E mi piaceva.

Sorrisi e lui fece lo stesso. Due minuti più tardi eravamo all'interno del Luna Park.

Le luci erano forti, intense, vive. I profumi che si respiravamo erano quelli tipici delle giostre. Un misto di zucchero filato e patatine fritte e fumi e polveri, ma c'era anche dell'altro. Era la brezza marina che proveniva dall'oceano e che si andava a mischiare a tutto il resto, profumando l'aria in un modo incredibile.

Mi guardai intorno e vidi le giostre più tradizionali: montagne russe, autoscontro, banconi per sparare e pungiball. Mi resi conto presto che l'intera area era ben più piccola di quelle riservate ai luna park di Washington. Dovevo ancora abituarmi al fatto che gli abitanti di Portway fossero appena ottomila e non qualche milione.

<<Bene. Da dove cominciamo?>> chiese mio padre.

Io esitai per qualche istante e poi guardai la ruota. Si stagliava contro il cielo di fronte a noi, e per raggiungerla avremmo dovuto attraversare l'intero parco.

<<Vorrei fare un giro sulla ruota, papà.>>

Lui sorrise e annuì, portando gli occhi verso quel cerchio luminoso e perfetto che accendeva la notte.

<<Bene, e ruota sia.>>

Ci incamminammo in quella direzione e passammo accanto alla casa stregata e al labirinto degli specchi, nei quali sarei voluta anche entrare, soltanto un po' più tardi. Superammo un banco che vendeva zucchero filato e un altro che vendeva gelati, decidendo che sarebbero state tappe obbligate una volta scesi dalla ruota panoramica. Sentivo gli schiamazzi dei ragazzi e le risate delle famiglie che ci camminavano accanto. Non era tanto tardi e il parco era davvero pieno di gente. Le canzoni che suonavano ovunque vibravano di musica potente e rimbombante anche se di tanto in tanto erano alternate a pezzi un po' più lenti. Camminammo accanto a una sorta di zona delle grida, composta da tutte quelle giostre che per definizione fanno urlare. Stavo per chiedere qualcosa a mio padre quando lui si fermò improvvisamente.

<<Santo cielo, Rebecca!>>

Di fonte a me, con la mano in quella di una bella bambina bionda che avrà avuto otto o nove anni, c'era una donna sulla quarantina.

L'età di mio padre, più o meno. Lui ne aveva quarantacinque, per essere precisi.

<<Bruce! Oh, sei davvero tu?>>

Ci siamo, pensai. Addio ruota, Millie.

<<Non sei cambiata per niente, lo sai, vero?>>

Lei gli si avvicinò e sorrise. Era una bella donna, non potevo negarlo. Ma c'era qualcosa di... malinconico in quel sorriso? Sì, forse era la parola giusta.

<<Rebecca, lei è Millie, mia figlia. Millie, ti presento Rebecca Donovan. Una mia compagna di studio ai tempi dell'università.>>

Ci stringemmo la mano e ci scambiammo un sorriso.

<<E questa principessa come si chiama?>> chiese mio padre inginocchiandosi Alla bambina che teneva la mano di Rebecca.

<<Lei è Jewel. La mia piccolina. Jewel, ecco a te il re di tutti gli avvocati, Bruce Donovan.>>

<<Ciao Bruce>> disse la bambina e poi fu il mio turno di presentazione. Era letteralmente un incanto.

Rimanemmo qualche istante fermi a pochi metri dalla ruota a parlare, fino a che mio padre ebbe l'idea di andare a bere qualcosa tutti insieme.

<<Vi va?>> chiese, guardando prima me e poi Rebecca e Jewel.

Il mondo è sempre più piccolo di quanto ci si possa aspettare.

Tuttavia non mi dispiaceva quella proposta. Rebecca e sua figlia sembravano decisamente simpatiche.

Stavo per rispondere di sì, poi lo vidi.

Fu un attimo soltanto ma non ebbi alcun dubbio.

Era lui.

Camminava dall'altro lato della ruota panoramica, ed era solo.

<<Papà, io... certo. Vi dispiace se... uh, se vi raggiungo? Dovrei fare un paio di telefonate perché...>>
<<Ma certo Millie, stai tranquilla. Ci troverai lì, al Burger's Tyrant, d'accordo?>>
Indicò con un cenno del capo un piccolo fast food con tanti tavolini esterni ed io annuii.

<<Ok, perfetto. Sarò da voi tra poco, d'accordo?>>
<<D'accordo, ti aspettiamo. E, Mills...>> disse, fermando quel momento.
Mi voltai, ci guardammo.
<<Se dovessi avere bisogno di me, urla. D'accordo?>>

Sorrisi e cercai di tranquillizzarlo con gli occhi, anche se non ero più lì da un pezzo.

Ero al di là della ruota panoramica e cercavo di dominare quell'esplosione di emozione che dentro di me mi supplicava di cercarlo, di non perderlo.

Non era mai stato così, prima. Non mi ero mai sentita così, prima. Per nessuno.

Quasi senza che me ne rendessi conto, avevo lasciato mio padre, Rebecca e Jewel ed ero già oltre la ruota panoramica.

Ma lui non c'era.

C'era qualcun altro, però.

Una storia d'amore d'estateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora