Che cosa succederà, adesso?
Da adesso in poi?
La lama del coltello di Harold Cogan, piccola e luccicante, era scesa a tagliare la corda che mi legava i polsi. Non gridare era stato difficile, perché la paura era diventata quasi ingestibile. Eppure c'era qualcosa, nel suo sguardo, che era in grado di lasciarmi così, paralizzata.
Ma ero libera. Sì, adesso ero libera davvero. E Jaydon? Che cosa sarebbe...
Non riuscii a percorrere fino alla fine il sentiero tortuoso di quei pensieri perché l'attimo seguente Harold era già accanto a Jaydon.
Conoscere te è stata la cosa più straordinaria che mi sia mai capitata.
Conoscere te è stata...
Era la mia testa, che in loop continuava a ripetere quella frase, fuori dal mio controllo.
Conoscere te.
<<Ti ho voluto bene come si vuole bene a un figlio, Jaydon. Quando ti ho incontrato per la prima volta eri soltanto un ragazzo pieno di rabbia e di tristezza. Tu ancora non lo sai, probabilmente, ma guardati adesso. Sei diventato un uomo. Non parlo mai senza una ragione valida, mi conosci. L'ira che hai lasciato crescere dentro di te deve essere ancora lì da qualche parte, ma è proprio perché ora sei un uomo che non hai ucciso mio figlio. Non è cosi? Avresti potuto farlo, se solo l'avessi voluto. Ne sono sicuro. Ma non l'hai fatto. Ti sarò grato per questo, per sempre. Sai, mio figlio... i miei due figli...>> Harold si interruppe, sorrise, guardò a terra per un attimo e poi riprese. <<Loro....avrei voluto che diventassero come te, ragazzo. Dico sul serio. Perciò mi prenderò le mie responsabilità di padre e cercherò di andare avanti. Lontano da questa città, lontano da Portway.>>
Jaydon lo guardò con aria interrogativa, quasi incredula.
<<Tua madre, Nathalie Rivera... non mi sono scordato di lei. Mai. Non ho mai voluto parlartene durante tutti questi anni ma capisco che è giunto il momento di farlo.>>
Gli occhi di Jaydon si accesero di una luce nuova, forte. Quasi violenta.
<<Pensavi che fosse morta a causa della droga tagliata male dai miei figli, non è così?>>
<<Sì>> rispose Jay.
Harold annuì.
<<Lo immaginavo. Ho fatto qualche telefonata poco fa, dopo aver ritrovato mio figlio Waynard nel modo in cui l'hai lasciato. Purtroppo sappiamo che tua madre era una tossicodipendente. Mi sono messo in contatto con il dottore di medicina legale che ha svolto l'autopsia sei anni fa. L'ho obbligato a fare un po' di straordinario. È stato un mix di droga, alcool e farmaci a ucciderla, Jay. Stando a ciò che sono venuto a sapere, sarebbe morta comunque, probabilmente anche senza la droga, soltanto per l'enorme miscuglio di alcol e farmaci.>>Jaydon chiuse gli occhi, abbassò la testa. Quando la rialzò mi guardò per un breve istante, ed io avrei voluto correre da lui, stringergli le braccia intorno al collo, fargli capire che comunque c'ero e ci sarei stata sempre.
Davvero, Mills? Sempre?
<<Non fa differenza ora, Jaydon. Tua madre è morta perché non è riuscita ad essere più forte, o perché ormai era caduta già troppo in basso. Tu puoi scegliere di trovare la tua strada, invece, ora.>>
Tagliò con un colpo secco le corde che gli legavano le mani dietro la schiena e le caviglie alla sedia.
Lui e Harold Cogan rimasero per un attimo a fissarsi senza parlare, e quel momento mi sembrò dilatarsi all'interno del garage vuoto. L'orologio continuava a scandire i secondi e finalmente lo vidi. Era appeso si un angolo lontano alle mie spalle.
Un orologio in un garage. Buffo, pensai. Poi mi resi conto con un filo sottile di terrore che il luogo in cui ci trovavamo doveva essere utilizzato per operazioni non proprio piacevoli.
<<Mi dispiace>> disse Jaydon in un sussurro, guardando il padre di Betty diritto negli occhi. <<Mi dispiace anche per Betty. E per suo figlio. Sono stato uno stupido. Io...>>
Poi, improvvisamente, Jay scoppiò in lacrime e allora finalmente la riconobbi. La tensione che si portava dentro, che si era portato dentro per tutti quegli anni, in silenzio e in solitudine. E fu strano vedere un uomo come Harold Cogan, che aveva dedicato la vita al crimine e a tutto ciò che era illegale, abbracciarlo con amore vero. Provai un brivido che entrò dentro di me e si nascose in un luogo in profondità. E quella sensazione strana, ne ero certa, da lì non sarebbe mai più uscita, permettendomi di ricordare - quando meno l'avrei aspettato- tutta l'incredibile storia di quell'estate.
<<Che cosa farai, adesso?>> chiese Jaydon dopo che fu riuscito a calmarsi.
Avrei voluto abbracciarlo anche io ma capivo, l o sentivo, che quello era un momento tra loro due soltanto, ed era giusto così. Un cerchio che si chiudeva.
<<Andrò altrove. Cercherò di mettere in riga quei due debosciati dei miei figli. Dovessi avere bisogno di un motociclista fuori di testa che attraversa il fuoco dell'inferno... beh, sai che non avrò problemi a ritrovarti, non è vero?>>
Jaydon sorrise ed io ripensai a quando per la prima volta l'avevo visto sulla moto, tra le fiamme, durante la notte delle lanterne.
<<Hai nutrito il lupo giusto, Jaydon.>>
Harold gli strinse la mano e Jay ricambiò. Finalmente, anche lui riuscì a sorridere. Il padre di Betty strinse anche la mia mano.
<<Se hai fatto perdere la testa a questo matto, beh, ragazza, allora significa che sai il fatto tuo anche tu.>>
Mi sorrise e anch'io ricambiai. Ero imbarazzata, confusa, stordita. Nessuno mi aveva mai insegnato come comportarmi in una situazione come quella.
Lo sai con chi diavolo stai parlando, razza di svitata? Alicia avrebbe detto così.
Dopo alcuni minuti ci ritrovammo fuori dal garage, nel buio della sera ormai tarda. Harold Cogan chiamò uno dei suoi uomini.
<<Accompagnali a casa e accertati che stiano bene.>>
Il tizio che sarebbe diventato il nostro autista, uno dei due picchiatori che avevano dato una lezione ad Ashton, obbedì. Io e Jaydon ci sedemmo sul retro di un'auto grigia lunga ed elegante che non fui in grado di riconoscere. Le mani ancora mi tremavano e sentivo il cuore che continuava a battere forte nel petto.
Il motore si accese e proprio quando fummo pronti per partire Harold Cogan bussò al finestrino dal lato di Jay.
<<Eri bravo su quella moto, dannazione. Eri un fottuto mostro.>>
Entrambi sorrisero ed io, quasi senza rendermene conto, feci lo stesso.
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Una storia d'amore d'estate
RomanceMillie ha diciotto anni. È l'estate dopo il diploma: quella in cui si diventa grandi, dicono. Quella in cui si dovrebbe pensare soltanto a divertirsi, un attimo prima di entrare definitivamente nel mondo degli adulti. Ma per lei, che ha dovuto assi...