Washington D.C. - Due settimane dopo.
Trasmettevano un film in tv. Le scene si inseguivano lente e malinconiche e raccontavano la storia di un amore impossible. Richard Gere e Wynona Rider, "Autumn in New York". L'avevo visto qualche volta quando ero più piccola. Era bello ma così triste. Non riuscivo mai ad arrivare alla fine.
Mi voltai verso Sue, la mia vecchia amica. L'unica che avessi avuto prima di partire per la Carolina.
<<È tardi, Sue. Credo che andrò a letto.>>
Lei spense la sigaretta, finì la birra in un sorso e sbuffò.
<<Millie, non siamo neanche uscite. Sei tornata da due settimane e ancora non sei voluta andare da nessuna parte.>>
Eravamo nell'enorme e lussuoso nuovo appartamento di mio padre. Due piani di un condominio elegante di quattro, quattro camere da letto, altrettanti bagni. Era stupendo avere tutto quello spazio, eppure non serviva a distrarmi dai miei pensieri.
Che erano rimasti laggiù, a Portway. Da Jaydon, da Alicia.
<<Millie, tra un'ora si ritrovano tutti a casa di Carlyle. Andiamo anche noi. Non potrà che farti bene.>>
Accese un'altra sigaretta.
<<Sue, non ne ho voglia. Dico sul serio.>>
Sue si alzò, si guardò allo specchio con fare sinuoso. Lasciò ondeggiare i fianchi in modo suadente, come se ci fosse un ragazzo a guardarla al posto mio, uno che lei volesse conquistare.
Mi implorò talmente tanto che alla fine cedetti e un'ora dopo eravamo a casa di Carlyle.
Non più in casa, già in giardino. Giostra folle di musica e voci e bicchieri e fumo tutto intorno. Corpi e fiato e calori e colori che si mescolavano per cercare di inseguire gli ultimi scampoli d'estate; per salutarli e darsi appuntamento all'anno prossimo e nel frattempo consumare quel po' di vita che era ancora in ballo.
Già in giardino dove Sue, avvinghiata a Carlyle, si divertiva. La sentivo ridere e scherzare, e intanto pensavo a( Portway) quanto mi sarebbe piaciuto andare via da lì. Da sola, su un taxi, o (in bicicletta) prima (dell'ennesimo temporale) a piedi anche; fino (alla spiaggia di East Bay) alla fermata della
metropolitana, passando davanti al (luna park) vecchio municipio.Socchiusi le labbra, poi le palpebre. Sorrisi. Era stupido cercare di riportare in vita quei giorni, adesso. Avrei dovuto forse seguire l'esempio di Sue, trovare qualcuno con cui ballare e poi gettarmi a capofitto nel cuore di tutta la vita che fino a quel momento avevo vissuto così diversamente, così a modo soltanto mio? No, non sarei stata io.
<<Ehi>> disse un ragazzo alle mie spalle, urtandomi. <<Ehi, sei davanti alla porta. Ti vuoi togliere?>> Era ubriaco, si capiva dal modo scomposto in cui parlava e si muoveva. Mi spostai, lui mi superò e poi raggiunse Sue e Carlyle in giardino.
Stavo per unirmi a loro quando qualcun altro mi urtò. Un bicchiere scivolò e si versò sulla mia maglietta nera. Sentii odore di birra e un freddo improvviso.<<Scusa, scusa>> disse una voce che non conoscevo.
Era un altro che aveva bevuto troppo.
Mi superò e raggiunse il bordo della piscina che si trovava al centro del grande giardino, raggiungendo altri amici.
Guardai la mia maglietta. Chiusi gli occhi per un istante, poi li riaprii.
Presi il telefono, chiamai un taxi.
<<Vado via, Sue>> le dissi, dopo essermi avvicinata. <<Ho chiamato un taxi. Vieni con me?>>
Lei sgranò gli occhi, scosse la testa e alzò una mano.
<<No, sto bene. Tornerò con Carlyle. O più probabilmente dormirò qui.>>
Carlyle era qualcosa di molto simile al suo fidanzato, anche se proprio fidanzati non erano. Lui era il tipico figlio di papà ricco e viziato, e quella loro storia andava avanti da un paio di anni tra alti e bassi. Già sapevo che la mattina successiva Sue mi avrebbe telefonato per raccontarmi ogni dettaglio di ciò che sarebbe successo nel corso di quella notte, o almeno ciò che lei avrebbe ricordato.
Dieci minuti dopo ero seduta sul taxi che mi riportava a casa. Non mi sembra vero: ero tornata da Portway già da due settimane. I primi giorni avevo sentito Alicia e Jaydon, poi lentamente quel contatto telefonico e via Skype che avevamo instaurato era andato un po' scemando.
Sapevo che sarebbe successo, non è così? Lo sapevo e avrei dovuto accettarlo. Non c'era un'altra soluzione: era il corso degli eventi. Tutto lì, nulla di più e nulla di meno. Ma mentre il taxi superava semafori verdi e arancioni e incroci fin troppo affollati di persone, data l'ora, io tornavo con il pensiero al lungomare di East Bay. Risentivo il profumo del vento che veniva dall'oceano e si infilava tra i miei capelli. Ritrovavo perfino Victor, Paul e Gregor. E stavo ancora baciando Jaydon, sì, ancora una volta. Nel tocco dolce delle sue mani finivo di nuovo per perdermi, con le sue dita che si intrecciavano alle mie. Ma più di ogni altra cosa, mi rendevo conto che ci doveva essere un posto dentro di me grande e vuoto, che doveva avere una forma unica; un insieme perfetto di geometrie e simmetrie che non sarebbe stato possibile riempire in nessun modo se non con lui. E di questo ero sicura come di nient'altro al mondo.
Nient'altro al mondo.
<<Signorina? Va tutto bene?>>
<<Eh?>> trasalii.Il tassista mi guardava dallo specchietto centrale.
<<Siamo arrivati.>>
Sospirai.
Terra chiama Mills. Terra chiama Mills. Così avrebbe detto Alicia. Sorrisi, da sola, stupidamente.
Pagai e lo ringraziai. Lui si strinse nelle spalle e, ripartendo, scosse lentamente la testa.
Infilai la chiave nella toppa, cercando di non far rumore.
Mio padre, però, non stava dormendo. Doveva aver visto le luci del taxi da una delle tante finestre che si affacciavano sulla strada.
<<Tesoro. Sei tornata presto. È tutto ok?>>
<<Ciao, papà. Sì, sì, è tutto ok. Non... non avevo voglia di restare a quella festa.>>
<<Già. Ti capisco. Sono sempre... tutte uguali, eh?>>
Annuii.Una volta in camera mi spogliai, mi preparai per la notte e mi infilai sotto le lenzuola. Presi il cellulare e scorsi con le dita la rubrica. Quando arrivai al numero di Jaydon, tornai con il pensiero al momento in cui lui me l'aveva voluto lasciare.
Era sera, mi aveva appena riaccompagnata a casa e la mattina successiva saremmo andati per la prima volta alla spiaggia giù ad East Bay, insieme ad Alicia.
Avrei voluto chiamarlo, avrei davvero voluto, ma non lo feci.
Ero certa che se gli avessi telefonato, quella storia non sarebbe mai finita.
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Una storia d'amore d'estate
RomanceMillie ha diciotto anni. È l'estate dopo il diploma: quella in cui si diventa grandi, dicono. Quella in cui si dovrebbe pensare soltanto a divertirsi, un attimo prima di entrare definitivamente nel mondo degli adulti. Ma per lei, che ha dovuto assi...