Flashback

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Jaydon aveva ritrovato suo padre due anni prima o poco più, in una sera di pioggia. L'aveva ritrovato insieme a una valigia vuota per metà, a qualche dollaro nelle tasche dei vecchi pantaloni e a solchi sotto il viso pallido e trascurato che raccontavano una storia piena di malinconia e tristezza.

Rivederlo era l'ultima cosa che avrebbe creduto possibile. Quando se ne era andato di casa, lasciando lui e sua madre Nathalie in mezzo al nulla, Jaydon era troppo piccolo per poter davvero capire che cosa fosse successo. Poi gli anni erano trascorsi, lui era cresciuto e la vita aveva incominciato a tatuargli la pelle con colori duri, volenti, difficili da sopportare. E sarebbe stato difficile per chiunque. Si era arrabbiato per così tanto tempo con lui. Più cresceva, più diventava un uomo - perché le altre tappe, l'adolescenza, gli sbandamenti, le stupidate giovanili- le aveva bruciate come il fuoco brucia la paglia- più lasciava che nel suo cuore anche la rabbia aumentasse, si accumulasse. Era certo che prima o poi sarebbe esploso. Nulla, davvero nulla, per lui era mai stato facile. Quando poi sua madre era morta, aveva capito che avrebbe potuto urlare il dolore che si portava dentro anche per sempre, anche contro tutti; ma aveva anche capito che poi, la sera, prima di addormentarsi, non sarebbe cambiato mai nulla. Era solo e solo sarebbe rimasto. Gli unici aiuti erano arrivati dalla famiglia di Alicia. Poi aveva conosciuto Betty e allora aveva scoperto l'esistenza di certi colori nuovi, ignoti, meno tenebrosi e oscuri ma comunque per certi versi pieni ancora di ombre. Aveva cercato di trovare un obiettivo, qualcosa da portare avanti e in cui credere, e ci era... sì, in un certo senso ci stava riuscendo.
Poi, durante una sera piovosa di primavera, suo padre era tornato a Portway.

Aveva bussato alla porta della stessa casa dalla quale, tanti anni prima, era uscito. Si erano guardati a lungo negli occhi fino a che Jaydon non era scoppiato in lacrime. Allora lui gli aveva appoggiato le braccia intorno al collo e poi l'aveva stretto in un abbraccio forte, intenso, sincero, anche.

Era il tocco di un uomo che aveva bisogno di sentire qualcosa; un bisogno disperato, atavico, quasi. Jaydon aveva capito subito che si trattava di suo padre. Non aveva esitato neanche per un singolo istante di fronte a lui, non aveva avuto alcun dubbio. Non è forse questo ciò che capita con i legami di sangue?

Si era accorto che c'era qualcosa fuori posto, però. Qualcosa di strano, di diverso in lui, nei suoi occhi. Allora era ad un livello un po' meno profondo, ma la sensazione di vuoto che si affacciava sul suo viso era già tristemente reale.

"Demenza senile" avevano detto poi i medici. Jaydon si era preso cura di lui come aveva potuto; come si era già preso cura, in passato, di sua madre. Ma con Richard Moore non avrebbe potuto fare più di tanto, se non cercare di pagargli tutte le cure possibili. Alla fine, sotto consiglio di più dottori, era stata presa la decisione di ricoverarlo a tempo indeterminato alla "Care Tower", la clinica dalla quale adesso Jaydon stava uscendo.

<<Grazie, Silvie>> disse, facendo un cenno all'infermiera che gli aveva permesso di andare a trovare suo padre nonostante l'orario.

<<Di nulla, Jay. Qualsiasi cosa, lo sai.>>

Jaydon sorrise ed era un sorriso malinconico e riconoscente al tempo stesso. Silvie era davvero una brava persona.

<<Tuo padre dimentica le cose>> gli aveva detto il dottor Ackroyd. <<E mi dispiace dirtelo, Jaydon, ma non migliorerà. I casi come questo, purtroppo, tendono anzi a peggiorare. Ciò che possiamo augurarci, adesso, è che rimanga "stabile" il più a lungo possibile>>

Jaydon aveva annuito, senza dire nulla.

Adesso, l'aria che respirava fuori dalla Care Tower era fresca e pronta a portare altra pioggia di lì a poco.

Jaydon salì sulla moto trattenendo a fatica un nodo in gola. Ripensò alle parole -poche- che il padre gli aveva detto durante quella breve visita.

"A un certo punto il tempo accelera, e fare i conti con noi stessi non è mai... facile."

Ci pensò a lungo. Pensò a se stesso, a Betty, al caos che si portava dentro. Guardò l'ora sullo schermo del telefono. Quasi l'una di notte.

Chiamò Millie, un attimo prima di accendere il motore della motocicletta, pronto a ripartire da lì.

Una storia d'amore d'estateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora