Rimasi in silenzio a lungo, una volta fuori dalla Care Tower. L'incontro con il papà di Jaydon mi aveva fatta sentire turbata e felice al tempo stesso. Ero contenta perché il fatto che lui avesse deciso di aprire per me una porta che era rimasta sempre blindata mi faceva sentire piena di fiducia e di speranza nei nostri confronti. Ed ero preoccupata perché non sapevo quanto grave potesse essere la condizione di Richard Moore. Mi aveva lasciato riflettere il fatto che, nonostante il vuoto al quale si era dovuto abituare da ragazzino proprio a causa del padre, Jaydon fosse riuscito davvero a perdonarlo.
Non potevo sapere a quale prezzo, naturalmente. Ma per quella regione, lui sembrava ancora più straordinario ai miei occhi.
<<Che cosa c'è?>> mi domandò una volta arrivati di fronte al cancello della mia abitazione. Mezzanotte se n'era andata da un pezzo e l'aria, nel cielo rischiarato dopo i frequenti temporali brevi degli ultimi giorni, odorava ancora di pioggia e sabbia.
Appoggiai la schiena alle sbarre del cancello e infilai le mani nelle tasche dei pantaloncini corti. Chiusi gli occhi per un attimo e poi guardai Jaydon.
<<È tutto ok>> dissi, <<pensavo a te, a tuo padre. A quanto deve essere stato difficile lasciare quel passato alle spalle. A quanto devi essere stato forte per non parlarne con nessuno durante questi anni. A tenere tutto dentro di te.>>
Jaydon annuì lentamente e poi mi accarezzò una guancia.
<<È stato bello riuscire a raccontarlo a te, Mills>> mi disse, con quel suo tono caldo, morbido, pieno di emozione.
Ed io, in tutta risposta, mi resi conto che il sentimento che avevo lasciato crescere dentro di me in silenzio dopo le ultime rivelazioni di Jaydon circa i suoi propositi di vendetta nei confronti della famiglia di Betty altro non era che rabbia. Rabbia enorme, che prima o poi (prima, prima, molto prima) sarebbe esplosa come una bimba ad orologeria.
<<Non voglio che tu lo faccia, Jay.>>
<<Che cosa?>>
<<Lo sai che cosa.>>Distolsi gli occhi perché ero certa che fossero diventati lucidi. Non ero abituata a trovarmi al centro di situazioni simili, dopotutto. Non lo ero mai stata.
<<Millie, tu non puoi capire. Tu non sai che cosa è stato. Non..>>
<<Non mi interessa, Jay. Non ha senso. Questo lo capisco. Uccidere la famiglia di Betty, i suoi fratelli... non riporterà indietro tua madre.>>
<<Non importa. È da tutta la vita che ci penso. Lo devo fare. Lo voglio fare. Pensare che li avrei uccisi è ciò che mi ha tenuto in vita durante tutti questi anni. Riesci a capire questo?>>Scossi la testa, chiusi gli occhi, li riaprii. Sentii il profumo di Jaydon; quell'odore che tanto a lungo avevo amato durante tutti quei giorni estivi. Per la prima volta da quando ci eravamo incontrati, mi resi conto di qualcosa di straordinario, che mi sorprese e mi spaventò tempo stesso: in quella situazione, sarei stata io, tra noi due, a dover essere forte. E avrei dovuto essere davvero forte probabilmente per la prima volta nella mia vita.
Avevo un ascendente su Jaydon tanto forte da riuscire a bloccarlo in quel piano di morte? Ne sarei stata in grado? E quanto lontano avrei dovuto spingermi pur di cercare di fermarlo? Con chi avrei dovuto parlare, se mi fossi trovata d'un tratto obbligata a distruggete la promessa che gli avevo fatto sul mantenere quel segreto? E qual era la linea di demarcazione tra i miei sentimenti verso di lui e ciò che la mia coscienza avrebbe potuto sopportare?
<<Non importa, non potrò mai capirlo perché si tratta della tua vita, Jaydon, non della mia. Ciò che tu hai vissuto... l'hai vissuto tu. Soltanto tu conosci le tue ragioni, le tue motivazioni. Ma io...>>
Mi avvicinai a lui, alle sue labbra, al suo naso. Sentii il suo respiro, lasciai che si mescolasse al mio.
<<Provo qualcosa per te, Jay. Non so quanto sia grande, non so quanto possa durare e non so se mi capiterà mai ancora qualcosa di simile. Ed è per questo che ora ti chiedo di fermarti e di pensarci.>>
Lui scosse la testa, fece un passo indietro. Mi guardò a lungo senza dire nulla.
<<Non avrei dovuto parlartene, Millie. Lo sbaglio è stato mio. Se non riesci a sopportare di accettare ciò che sto per fare, allora ti devo lasciare andare.>>
Avrei voluto rispondere, ma le parole mi mancavano.
<<Jaydon, ci sono altre soluzioni. Dico davvero. Possiamo farli arrestare, maledizione! Mio padre è un avvocato, conosce tante cose, tante persone, tanti...>>
<<Millie, no. E non parlarne con lui. Vorrei che fosse più semplice, lo vorrei proprio, perché con te ho scoperto una parte di me che prima non ero mai stato in grado di vedere. Però non posso fermarmi adesso. Non ne sono capace e soprattutto non voglio. Io voglio vederli morti.>>Lo guardai. Sentii il ghiaccio formarsi dentro di me, d'un tratto. Non era nulla di differente, era proprio ghiaccio.
Cuore a pezzi, mani fredde, respiro corto. Nodo in gola, come mai prima.
<<Millie, resterò sempre io, dopo. Non cambierà nulla , capisci? Vorrei rimanere con te per sempre. Dico sul serio. È ciò che vorrei.>>
E intanto il cielo era inaspettatamente tornato a riempiersi di nubi, e da qualche parte sopra ciò che rimaneva in piedi della nostra storia in quel momento si schiarì la luce di un fulmine e poi esplose un tuono tanto forte da farmi tremare.
<<Puoi cercare di accettarlo? Quando tutto quanto sarà finito... allora potremo andarcene. Tu ed io, e basta. Da qualche parte. Ovunque tu vorrai.>>
E ripensai alla mia vita a Washington, al mio futuro, al college che avrei dovuto incominciare a frequentare da settembre, a mio padre, a mia madre. Ad Alicia. Sarebbe stato bello partire insieme, come in un grande film d'amore. Sarebbe stato un sogno (ma poi ci si sveglia dai sogni, Millie, e se sono tanto belli, troppo belli, resta solo l'amaro in bocca).
<<Millie... Sono persone schifose. È morta tanta altra gente a causa loro, e ne continuerà a morire ancora e ancora e ancora. Hanno ucciso mia madre. Lo capisci?>>
Mi voltai verso il cancello, poi tornai a guardare Jaydon.
Ancora una volta.
<<Non posso, Jay. Mi dispiace. Né ora né mai. Non accetterò mai ciò che hai intenzione di fare.>>
Lui non rispose. La pioggia incominciò a cadere su di noi, prima piano poi sempre più in fretta e sempre più velocemente. Il rumore che faceva schiantandosi al suolo mi fece tornare alla mente certi pomeriggi autunnali di quando, da bambina, uscivo da scuola e correvo verso i miei genitori che mi aspettavano fuori.
<<Mi dispiace, Millie.>>
<<Dispiace anche a me>> gli risposi, quasi in automatico, senza più emozione nella voce. Senza, d'un tratto, riuscire a provare più nulla.
Jaydon si voltò e si avviò verso l'auto che aveva parcheggiato di fronte al marciapiede sul lato opposto a quello della villa.Si fermò, si girò ancora una volta verso di me.
<<Finisce così?>> chiese, sotto la pioggia, senza gridare, ma parlando abbastanza forte perché potessi riuscire a sentirlo.
<<Finisce così>> sussurrai tra me e me, voltandomi e aprendo il cancello di casa.
STAI LEGGENDO
Una storia d'amore d'estate
RomanceMillie ha diciotto anni. È l'estate dopo il diploma: quella in cui si diventa grandi, dicono. Quella in cui si dovrebbe pensare soltanto a divertirsi, un attimo prima di entrare definitivamente nel mondo degli adulti. Ma per lei, che ha dovuto assi...