DEEPY BABY #7

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L'ANNO PRIMA...

Non so cosa ci sia dopo la morte, non ho mai badato a certe cose, quindi ero piuttosto curiosa di sapere dove mi trovavo. Provavo a muovermi, ma ero bloccata. Non riuscivo ad aprire gli occhi. Le voci intorno a me erano ovattate. Non potevo emettere un fiato. Riuscivo appena a sentire gli odori. Non pensavo che l'aldilà profumasse di lavanda, ma nemmeno che puzzasse di candeggina e crema per le mani. Per il momento mi accontentavo di non sentire caldo.

Pian piano ripresi a vedere e a sentire correttamente. Mi trovavo in una camera di ospedale. Un dottorino in camice bianco e capelli ingellati che sembrava appena uscito da una soap opera si avvicinò per dirmi che ero stata in coma dopo la mia aggressione. Disse proprio così. "Aggressione". Non avevano capito niente. Il dottorino continuò il suo monologo come l'avesse imparato cinque minuti prima di entrare sul set. La polizia stava indagando. C'erano buone possibilità che catturassero l'aggressore. Io però dovevo concentrarmi su me stessa e basta. Riprendermi dopo lo shock. Il dottorino sarebbe tornato qualche ora più tardi per vedere come stavo perché doveva visitare altri pazienti. Mia madre sarebbe venuta a trovarmi nel pomeriggio. Questo era tutto. Alla prossima puntata.

Mercedes arrivò cinque minuti prima che terminasse l'orario delle visite. Era molto dispiaciuta, l'avevano bloccata a lavoro, non aveva potuto prendersi neanche un giorno di pausa. Mi stringeva la mano e supplicava di perdonarla. Notai che aveva gli occhi lucidi ma l'eyeliner era ancora al suo posto, evidentemente non era abbastanza dispiaciuta per piangere lo scampato pericolo di sua figlia. Sorridevo per averlo notato e lei sorrideva dicendo che dovevo pensare solo a rimettermi. Poi, per come era entrata, è uscita. Rimasi di nuovo sola.

I giorni sono passati con un rapido montaggio, dissolvenza dopo dissolvenza. Ho iniziato a vedere meglio, sentire meglio, le ferite stavano guarendo, la polizia non era riuscita a catturare nessuno e le possibilità diminuivano minuto dopo minuto. Io e la mia stanza eravamo diventate una cosa sola. Mi sembrava di aver sempre vissuto in quella gabbia grigia e quando mi dissero che mi ero abbastanza ripresa da poter andare a casa mi sembrava uno scherzo. Era quella la mia casa ormai.

Chiusi gli occhi per cercare di dormire un po'. Non avevo ancora deciso cosa fare. Tornare a casa e far finta di nulla o magari... riprovarci. Questa volta con un sistema più efficace. Magari una pistola. Ma dove avrei trovato una pistola? Continuavo a ripetere questa domanda dentro di me, quando mi sono addormentata.

Poi il punk mi ha tratto fuori dal buio. Note metalliche, suoni vintage. Ho aperto gli occhi e l'ho visto. Non riuscivo a crederci. Eppure era lì, di fronte a me. L'angelo del mio sogno. Forse uno o due dettagli erano diversi, come quando sogni casa tua e le cose sono sproporzionate, più grandi o più piccole. Ma era lui. Era lì di fronte a me, seduto ai piedi del mio letto. Vestito di nero. Le dita affusolate. La barba bionda e incolta. Gli occhi color del ghiaccio. Non fosse stato per il fumetto adolescenziale che leggeva avidamente sarebbe stato un sogno erotico.

Notò che ero sveglia e che lo stavo guardando. Mi sorrise.

Ripose il fumetto nella tasca della giacca, abbassò il volume dell'ipod dove una donna cantava I need a hero, e mi parlò.

«Non hanno capito niente di te.»

La sua voce era calda e sicura. Non aveva esitato neanche un attimo, non si era dovuto schiarire la voce. Sapeva quello che avevo fatto.

«Mi chiamo Minimal Jack. Non Samurai Jack. Minimal Jack.» Non poteva essere vero. Avevo capito di essere sveglia, ma persone così non potevano esistere nel mondo reale. Non c'entrava nulla con l'ambiente in cui era immerso. L'unica spiegazione era che fosse lì per me.

«Esatto, Baby Lynn. Sono qui per te.»

Come poteva avermi sentito? Lo avevo detto ad alta voce? No, lo avevo solo pensato. Poteva leggere il mio pensiero? Poteva entrarmi nella testa?

«Devo farti vedere una cosa.»

Estrasse il cellulare dalla tasca. Era sicuramente un Iphone, ma un modello che non avevo mai visto. Eppure avevano detto che ero stata in coma solo pochi giorni. Mi ero persa il lancio di un nuovo modello? No, impossibile.

Decisi di concentrarmi su quello che voleva mostrarmi. Erano screenshot di una conversazione su un gruppo whatsapp. Conoscevo quei numeri. Era la Cerchia. I miei migliori amici. Il mio ex fidanzato. Barbie, Matt, Jimmy, Chris, Chloe. Perché io non c'ero? Perché avevano un gruppo senza di me? Scorrendo in alto le conversazioni, ho visto il video incriminante. La data corrispondeva a due settimane prima che venisse caricato online. Era stato inviato a Barbie e lei lo aveva condiviso con gli altri. E gli altri lo avevano visto e rivisto. Non aveva senso. Se loro avessero saputo, me lo avrebbero detto. Avrei potuto fare qualcosa...

«Non so chi di loro abbia caricato il video, ma lo scoprirò. La verità è una delle due cose che tu meriti.»

Erano stati i miei amici? Loro mi avevano spinto al suicidio? Era assurdo, e se fosse stato qualcun altro a dirmelo lo avrei mandato a fanculo in men che non si dica. Ma c'era qualcosa nell'uomo davanti a me che mi impediva di farlo.

«E la seconda?» Ero stata io a parlare questa volta. Non ero riuscita a dire tutto quello che volevo. Aveva detto che meritavo due cose. La prima era la verità, allora qual'era la seconda? Questo avrei voluto chiedere. Ma la mia voce tremava.

«La vendetta, Baby Lynn. Tu meriti la vendetta.»

Vendetta. Un concetto così astratto, ma detto da lui era così vicino, così giusto. Avevo indirizzato la mia rabbia verso la persona sbagliata, me stessa. Volevo chiudere gli occhi, scivolare nel buio, quando invece avrei dovuto farla pagare a loro. «No...» balbettai: «...loro sono i miei amici...»

«Lo pensi ancora? Sta a te decidere. Se vorrai tornare al mondo di prima, sei libera di farlo. Ma ricorda: la tua vita non sarà più la stessa. Se vorrai seguirmi, ti spiegherò quello che dovrai fare.»

Mi concedeva una settimana di tempo per fare la mia scelta. Notò il vassoio della mia cena. Era solo una zuppa e una pera tagliata a spicchi. Intinse la mano nella zuppa e girò le dita come fossero dei cucchiaini. Le sue dita erano affusolate, aveva unghie molto curate. Mentre mi spiegava come avrei dovuto fare per fargli sapere se avessi accettato la sua proposta, con le dita ancora gocciolanti toccò ogni singolo boccone di pera. Ne prese uno e lo tagliò a metà con i denti. Masticò piano e ingoiò, riponendo l'altra metà dentro la zuppa. Non appena ebbe finito di spiegarmi e di tormentare il mio cibo, si asciugò con le lenzuola del letto e andò verso la porta. Si voltò un'ultima volta ancora verso di me.

«Fa' la cosa giusta, Baby Lynn.»

Scomparve subito dopo. La stanza era ancora piena del suo odore. Non avrei mangiato niente quella sera, perché anche se avessi voluto le sue dita sotto la mia camicia da notte ospedaliera non le avrei mai volute nella mia zuppa. Non sapevo perché lo aveva fatto, sapevo solo che era l'unica persona che era venuta a trovarmi.

È strano come notiamo certe cose in un momento preciso e non prima, quando avremmo dovuto. Mi resi conto che, a parte Mercedes per i classici 5 minuti, nessuno era venuto a trovarmi. Nessuno della Harper High School. Nessuno della Cerchia.

WIZ GIRL (Completata)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora