DO IT BETTER #8

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OGGI

«Mary Goldberg ha donato duemila dollari alla Doing Better!»

Per un'intera settimana alla Harper High School non si è parlato d'altro. Nessuno sapeva come Mary Goldberg avesse trovato quei soldi. Forse erano i risparmi per il college. Il frutto della vendita di un antico cimelio di famiglia. Parte di una ricca eredità. In un modo o nell'altro quei soldi sono diventati suoi, e lei ha deciso di donarli, tutti, alla Doing Better. La dolce, generosa Mary Goldberg. 18 anni e già santa.

Dal canto suo Mary faceva di tutto per sminuire le attenzioni alle quali era sottoposta. Ma non abbastanza affinché quelle attenzioni cessassero. È un lavoro a tempo pieno, essere Mary Goldberg. Devi fingere che non ti importi essere sotto gli occhi di tutti, ma non fai altro che puntare i riflettori nella tua direzione. Come ripostare la foto dell'account Instagram Doing_Better_Offical_Page nel quale il nome di Mary Goldberg e la correlata donazione sono state cerchiate da un evidenziatore digitale. O condividere il messaggio twitter di DoingBetterASAP in cui J.D. e Karen Levinson ringraziano la loro protetta, definendola alla stregua di una figlia. Queste ricondivisioni sono accompagnate da messaggi di umiltà. "Non c'era bisogno" o "Così mi mettete in imbarazzo" o il classico "Siamo tutti parte della stessa squadra". Quindi il tuo scopo – apparentemente – è di bloccare ulteriori ringraziamenti. Ma intanto tutti i follower hanno visto il tuo nome cerchiato e i soldi che hai donato. Hanno letto quello struggente messaggio. E non puoi certo impedire loro di far circolare la voce. Non puoi impedire le loro ricondivisioni. Taggarti e ringraziarti per il bene che hai fatto. Ecco come funziona il trucco. La dolce, generosa Mary Goldberg lo sa bene. Non sa che il trucco sta per ritorcersi contro di lei.

Quasi mi dispiace perdermelo, ma non posso rischiare di farmi notare sulla scena del delitto. Sarebbe un errore da novellina, e io non lo sono. Ci sarò indirettamente, un ascoltatore invisibile. Ma andiamo per ordine.

Quando la signorina Huxley mi chiede se sono pronta a leggere il mio racconto, mi avvicino alla cattedra come stessi per salire su un palcoscenico. Mi metto a una certa distanza – quei capelli con la ricrescita sono un orrore! – e specifico che non si tratta di un racconto vero e proprio. Più di un flusso di coscienza. Quasi un monologo. Il titolo è semplice ed emblematico. Ricominciare. La storia di una ragazza aggredita e pestata a sangue. Il dolore. La rabbia. Il non sentirsi più al sicuro nemmeno in casa propria. I suoi amici che le dicono "un po' te la sei andata a cercare, sei tornata a casa di notte e con la minigonna, certo che poi succedono brutte cose". Venire emarginata, trattata come un'appestata. Tagliata fuori dalla cerchia – uso proprio quella parola: Cerchia – delle persone a cui teneva di più. La tentazione di mettere fine a tutto. Poi, l'arcobaleno alla fine della tempesta. La decisione di non farsi distruggere da questa terribile esperienza. La forza che trova dentro di sé. Ricominciare a vivere. Ricominciare a sperare. Ricominciare a credere che le persone possano essere buone.

Tengo a bada il mio pubblico con le giuste pause, una virgola dopo l'altra. Tutti sanno perché ho deciso di raccontare questa storia. Sono io la ragazza del racconto. Sono io l'emarginata. Ma quello è il mio passato. Io non porto più rancore per nessuno. Voglio andare avanti, ricominciare, come la ragazza del mio racconto. Ora tutti lo sanno.

La signorina Huxley chiede se qualcuno voglia fare dei commenti. Nessuno parla. La campanella squilla e tutti escono, sempre e rigorosamente dopo la Cerchia. Questa volta Barbie non resiste, e mi guarda. Non c'è odio nei suoi occhi. È già qualcosa. La rabbia rimane. Ma scorgo anche qualcos'altro. Forse, rimorso. Esco anche io dalla classe e mi dirigo alle macchinette delle merendine. Digito B7 e prendo l'ultima barretta Wolfy, 4 pollici di cioccolato alle mandorle. Una goduria. Invio un messaggio a Matt. Gli dico che sono pronta a parlare. Possiamo farlo domani sera al cinema Future. Matt mi risponde di sì, quasi subito.

Si avvicina Lomax. Mi fa i complimenti per il racconto. Dice che forse sono l'unica a parte lui ad avere fiducia nelle persone. Mi invita per un caffè al VIX. Io lo ringrazio ma oggi sono molto occupata. Ci ripromettiamo di tornarci. Gli chiedo di salutarmi "zio Arthur". Mi gusto gli ultimi bocconi del Wolfy e mi dirigo verso l'uscita. Passo di fronte all'auditorium della Harper High School. I preparativi per la serata in onore della dolce, generosa Mary Goldberg sono in corso. Sorrido. Infilo le cuffie. Faccio partire Ellie Goulding e la sua Anything Could Happen mentre esco verso casa.


***

Sera. Mercedes mi chiede cosa voglia per cena: sushi o thailandese. Le dico che devo studiare per il compito in classe. Mi sono già organizzata con due panini al burro d'arachidi. Non devo essere disturbata per niente al mondo. Mercedes è d'accordo. «Studia bene e vola alto, Baby mia.»

Mi chiudo in camera e apro il collegamento con i telefoni della Cerchia. Sono tutti raccolti nell'auditorium della Harper High School. La Doing Better ci teneva a omaggiare Mary Goldberg proprio nella sua scuola, offrendo al corpo docente e agli studenti un ricco aperitivo. Mary, troppo umile, ha cercato di opporsi all'iniziativa e così facendo ne ha aumentato la visibilità in modo smisurato. Ascolto J.D. e Karen Levinson mentre sollevano i calici in onore di Mary, per tutto quello che fatto, per tutto il bene che il suo contributo porterà ai bisognosi. La Doing Better ha infatti preparato un filmato in cui mostra la sua attività di volontariato presso i bisognosi. È un filmato di pochi minuti, rassicura Karen ai giovani ospiti, ma importante per il suo messaggio. Dopo ci sarà tempo per brindare e per divertirsi. J.D. dà il segnale. Brusio di sottofondo. Musica struggente. Non so di preciso cosa stiano vedendo, forse il classico bambino africano che deve bruciare miglia prima di attingere a un pozzo dell'acqua pulita.

La musica però si interrompe dopo pochi istanti. Ci siamo!

Sento mormorii, commenti, persone sconvolte. Sento un urlo, deve essere Karen. È sbigottita da quello che sta vedendo. Sento la voce di Mary Goldberg. Urla: «spegnetelo! Spegnete tutto!» Sento qualcuno pigiare i tasti di un PC. Cerca di bloccare un video che non vuole interrompersi. Sento un rumore di sedie che si spostano, persone che se ne vanno indignate, J.D. che cerca di riprendere il controllo della sala ma si ferma. Qualcuno lo sta picchiando. Probabilmente Karen.

Stacco il collegamento ai microfoni della Cerchia. È fatta.

J.D. non avrebbe dovuto paragonare Mary a una figlia. Quello che i due facevano nei filmati che ho trovato craccando il cellulare di Mary, nessun padre dovrebbe mai farlo con sua figlia! Soprattutto non pensavo che un uomo come J.D., un filantropo, un benefattore, celasse certe perversioni. Tengo a precisare: io non sono una bigotta. Però certi feticci mi risultano davvero strani. Vedere Mary truccata con sangue finto e lividi. Vedere J.D. che le monta sopra, nella posizione del missionario, e le ordina di trattenere il fiato per somigliare a un vero cadavere. Mi viene in mente la parola "necrofilia" ma credo che non sia adatta in questo contesto. Dev'essere una parafilia particolare, di cui però mi sfugge il nome. Potrei anche cercarlo... ma che vale?

Ho già vinto.

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