Capitolo 3

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Quella notte fu disastrosa, per Dianna Cox.
Il letto gelido sul quale era stata costretta a dormire era scomodo e maleodorante, e ogni qualvolta si era voltata nel sonno le era capitato di sferrare un pugno contro la parete e di lamentare un singulto sordo gli attimi successivi.
Nelle prime luci dell'alba rosea, invece, fu destata da un nuovo suono che le si inculcò nella testa come un monotono mantra ululante. Pareva gridare come un allarme e Dianna ne fu spaventata.
Quando aprì i grandi occhi blu, notò un piccolo oggetto indefinito che vibrava contro lo spigolo dello scrittoio, continuando ad urlare ritmicamente. La ragazza si fece piccola e portò le ginocchia al petto, rannicchiandosi verso la parete e osservando allibita il curioso marchingegno.
"Qui le sveglie suonano presto, cosa ti aspettavi?" Una figura balzò dinanzi a lei, volando dal letto e atterrando con agilità sul materiale freddo del pavimento.
Jana borbottò un'imprecazione e schiacciò la sua grande mano affusolata sulla testa della sveglia, parola nuova che Dianna avrebbe dovuto incollare nella sua memoria. Poi portò il bacino in avanti, allungò una gamba sul pavimento e con l'indice percorse la linea del suo mento, in riflessione. Poi tuonò: "Non ricordo dove ho messo quella specie di libro che mi ha prestato Mr. Cunningham..." Sospirò, sembrando seccata.
Elena, sdraiata ancora sul suo letto ai piani alti, allungò un braccio e indicò l'anta trapelante dell'armadio, seria. Dianna non si era neppure accorta fosse sveglia. In effetti, era molto silenziosa.
"Ah, sì, Page, dici che è là?" Jana sembrò soppesare la questione per un istante e strisciò i suoi piedi di cerbiatto verso il mobile. Raccolse un grumo di vestiti spiegati, li ribaltò e granchiò con le sue mani alla ricerca del libro. "Diavolo, non lo... Eccolo!" Sorrise soddisfatta e la sua voce salì di un'ottava, mentre sbandierava all'aria un piccolo romanzo dalle pagine consunte e dalla copertina stinta. "Mr. Cunningham impone ad ogni studente che si dimostri interessato alla sua materia di leggerlo. Me l'ha affibbiato dopo che ho risposto correttamente ad una sola domanda su... beh, non puoi pretendere che mi ricordi." Alzò gli occhi al cielo e sospirò con forza. "Questo... coso dovrebbe parlare di mitologia greca. Sì, Monte Olimpo, Zeus, e bla bla bla. Cunningham ne è fissato. Ma io trovo ciò così noioso! Quindi abbozzerò qualche cretinata nella recensione che dovrò sostenere in classe e fingerò che mi abbia appassionato a tal punto da lacrimare. Come fa Elena quando legge i manga, più o meno." Jana annuì con consenso alla sua strategia e lanciò lo sguardo verso la sua vecchia compagna di stanza, invece taciturna e silenziosa a rinvigorire la sua cartella scolastica intrisa di polvere.
Dianna deglutì l'amaro che attecchiva alle pareti della sua gola. Non aveva mai negato come la mitologia greca potesse apparire noiosa, ma era ferma sul pensiero che rivelarlo avrebbe potuto scatenare nelle orecchie degli dei un risentimento acerbo e una vendetta esiziale.
La sirena si alzò e raggruppò le lenzuola del suo letto in un cespuglio disfatto. "Non ti piace la mitologia greca?"
Jana elevò le sue unghie nere davanti al viso e le arcuò in un graffio di rapace, socchiudendo gli occhietti. "Gli dei non esistono, sono tutte baggianate!" Gesticolò. "Sono razionale. Per quale ragione dovrei studiare storie e personaggi mai esistiti? Non mi importa se Giasone e sua moglie Arianna..."
"Sua moglie si chiamava Medea, ma fu ripudiata dopo l'arrivo di Giasone a Corinto," la corresse prontamente Dianna, la voce ora squillante.
Jana sembrò trasalire e chiuse le labbra in una fessura rosea. Poi additò la ragazza con convinzione. "Sembri esperta in materia. A Cunningham piacerai."
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L'aula di lettere del Massbury Institute era ancorata al pianterreno e, per quanto Dianna stentasse ad ammetterlo, da lì si poteva godere della fresca vista del mare, che sbeffeggiava torpido verso le increspature schiumose a riva. La ragazza rimase ad osservarne i movimenti: le onde sfilavano languide la loro lingua spumante, succhiavano il nettare marino, lo ingoiavano nelle loro grandi fauci e poi sputavano il loro alito di salsedine, continuando fiacche nel loro operato.
Di certo, la sirena non credeva fosse un bel mare, ma non poteva negare come il pensiero della sua vicinanza la rincuorasse. Forse la lontananza non avrebbe steso il suo profondo telo assassino sulla sua vita.
Jana le aveva indicato un banco in vecchio legno d'olmo poco distante da una cattedra rialzata su un piolo, e aveva spedito con foga un grande blocco di carta sopra la sua sedia. Poi si era trascinata verso alcuni studenti e aveva lasciato a Dianna il compito di adattarsi al nuovo banco.
Il brusio fievole del cicaleccio si confondeva con il picchiettare zoppicante delle lancette nel grande orologio affisso su una parete.
L'uniforme scolastica le ricordava la bava gocciolante di una grande nube intrisa di pioggia, tanto era nera. La gonna le si modellava sulle anche, stendendosi rigidamente fino a baciare un paio di calze bianche alzate fino alle ginocchia. Sotto la giacca nera, invece, una cravatta rossa spiccava sul petto rotondo di donna e si armonizzava con le sfumature dei suoi lunghi capelli fiamma.
L'aveva trovata quella mattina ai piedi della porta, e ancora doveva abituarsi al contatto con la stoffa.
Dianna iniziò a considerare la possibilità di oscillare le gambe intrecciate sotto il banco, ma -qualora lo avesse fatto- avrebbe schiacciato le aste di legno sotto i calzari, quindi rimase in silenzio e fissò le venature d'olmo.
Davanti a lei, invece, una grande tavola nera scribacchiata era affissa alla parete con un cornicione in legno. Si chiese cosa fosse.
Trascorsero pochi istanti perchè Jana piombasse nuovamente al suo fianco, schiacciando la sua gonna sulla sedia e borbottando quanto fosse angosciante il pensiero di non poter indossare le sue braghe con i lacci. Poi strappò una pagina dal suo blocco di carta, la fece scivolare sotto il naso di Dianna e si voltò fulminea verso il banco alle sue spalle. "Page, hai una penna?"
Elena, altrimenti concentrata a contemplare le sue collane, fu destata bruscamente e frugò in un piccolo astuccio rosso. Ne estrasse una stilografica e la porse a Jana.
Questa la osservò con ammirazione. "Per il diavolo, non hai paura qualcuno possa accalappiare questa cosa? Fossi in te la terrei ben nascosta, mia cara, potrebbe tornare utile qualora il tuo aggeggio per scrivere si fracassasse."
Elena sospirò rumorosamente e calcò gli occhiali sul naso. I grandi occhi selvaggina squadrarono Jana con pietà. Poi, tornò alle sue collane.
Jana ruotò sulla sedia e spinse la stilografica sul foglio, tamburellando poi sul banco. "Bene, novella, impugna la penna e preparati a scrivere ciò che ti detterò." Percorse con gli occhi grigi l'aula ed analizzò ogni studente seduto al proprio posto, dondolando il capo indecisa. "Di Thomas Brown puoi anche non scrivere nulla, non parla mai, probabilmente è il fratello mai conosciuto di Elena. Ma del suo compagno di banco devi assolutamente annotare qualcosa."
Dianna seguì lo sguardo della sua compagna e lo posò su un ragazzo dal ciuffo platino arrotolato sulla nuca. Non riusciva a scorgerne i lineamenti, perchè egli muoveva frettolosamente la testa, quindi strinse la penna.
"Lui è il mio gemello, Kristiàn Vàclav, diciassettenne sempre ligio al suo dovere. Quando i nostri genitori ci hanno abbandonati qua, il suo unico dolore è venuto quando è stato costretto a salutare il suo telescopio. Devi sapere che a Praga c'era un cielo magnifico, e lui ama l'astronomia e... insomma, cose varie. Così, per non farsi divorare dalla nostalgia, ha costruito un telescopio e lo ha piantato nella sua camera del dormitorio." Jana guardò Dianna. "Ma non lo dire a nessuno; se quel bidone della custode, Mandy, dovesse venire a saperlo Kristiàn verrebbe espulso. E lui tiene molto a questa scuola, devi sapere. Studia e ha ottimi voti. Legge persino. Con questo non voglio dire che è il mio opposto, no, anzi, è molto più simile a me di quanto creda, e se non mi fossi tinta i capelli sarei probabilmente la sua immagine. Gli voglio bene, ma non gliel'ho detto mai, perchè confessarlo è poco rock."
"Oh, certo."
"Già..." Jana osservò il foglio sotto le mani di Dianna. "Stai prendendo appunti?"
"Certo," ripeté l'altra, mentre tentava di non tremare sotto il suo sguardo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di confessarle come non avesse mai usato una penna prima d'allora. Quindi tracciò brevi linee sconnesse sul foglio e, nel chinarsi, macchiò la cravatta con l'inchiostro.
Jana parlò dopo un lungo silenzio e la sua voce squittì. "Approffitto del ritardo del professore per descriverti altri personaggi che dovresti conoscere. Lei" indicò una studentessa bionda appollaiata al primo banco "è Fannie Bolton e già da ora ti avverto che faresti meglio a starle lontana. È una grande studiosa, ragazza eccessivamente religiosa, gemma dei professori e persino un diamante raro per la custode di questa galera, ma è una spia. Dietro i suoi brufoli si nasconde un vizio più grande della pubertà: il tradimento." Jana strinse le mani a pugno, come se il ricordo le facesse ribollire le vene. "Una volta, il nostro gruppo era furtivamente sceso nel retro del cortile per accendere un piccolo falò, nella notte delle stelle cadenti. Era stata un'idea di Kristiàn, chiaramente. Fannie ci notò e per quanto avessimo lavorato sodo per convincerla che quelle fiamme non erano un falò ma le tracce recenti dell'apparizione della Madonna, lei non ci credette e corse dalla custode a raccontarle l'accaduto. Per punirla, il giorno dopo le imbrattammo la divisa di salsa al curry, ma Fannie raccontò anche questo e per noi fu la fine."
Dianna soffocò una breve risata. Aveva sentito parlare molto della religione cristiana cui gran parte dell'umanità si aggrappa, e ricordò come questo dettaglio fosse il massimo fastidio per l'orgoglio di Zeus. Ma si limitò a scuotere la testa e a frenare quell'impulso morboso che le suggeriva di gridare come tutto quello non esisteva.
Annotò dunque le parole di Jana.
La sua compagna sembrò incedere con agitazione sulla sedia quando notò il professore avviarsi verso l'aula. Si sporse verso Dianna, allungando il collo come una piccola lucertola e sussurrò: "L'arrivo di Cunnigham non ha importanza. Non posso non parlarti di lui." Rivolse lo sguardo verso uno studente appena entrato che reggeva una grande borsa appesa alla spalla. La giacca della sua uniforme era stata scagliata sullo schienale della sedia, quindi si poteva notare solamente il candore della camicia che stendeva le radici sul suo petto.
Jana continuò. "Lui è Byron Mcdonald, ex giocatore di baseball e chitarrista provetto che si rifiuta di spiegare al mondo cosa lo abbia portato qui. O forse chi. Non ama molto studiare, ma è un grande oratore. È per questa ragione che sono dannatamente innamorata di lui. Le parole fluiscono divinamente da quelle labbra piene, di un rosa per cui molte ragazze si impiccherebbero, io compresa. Ha dei grandi occhi verdi e ho mescolato così tante sostanze per avere una tinta che mi desse lo stesso colore dei suoi capelli corvini." La sua voce sembrava navigare mollemente in un oceano di sogni e ogni suo sussurro era strigliato tra i denti, come se reprimesse con difficoltà il desiderio ardente dentro di lei. "Fa parte del nostro circolo di amicizie, quindi posso reputarmi fortunata perchè molto spesso respiro il suo stesso ossigeno. Una sera Byron mi ha detto che il nero mi dona e che adora il mio anticonformismo. Da quel giorno in poi, ho dedicato ogni canzone degli AC/DC a quel dio greco."
La stilografica tra le mani di Dianna corse un'ultima volta sul foglio, mentre la ragazza alzava debolmente lo sguardo verso Jana, per constatare come le forme del suo viso sembrassero d'un tratto ringiovanite. I suoi occhi argento parevano cogliere avidamente la luce del sole e spiccavano con baldanza dietro le palpebre rese nere dal trucco. C'era persino del porpora sulle sue guance.
Dianna stava per rivolgere lo sguardo a quello che doveva essere Mr. Cunningham dinanzi alla classe, ma ogni tentativo fu interrotto da una vigorosa gomitata di Jana.
"Un ultimo avvertimento." Alzò l'indice e lo fece vorticare davanti al suo naso. "Dentro questo istituto -per quanto possa apparire impossibile- nascono degli amori. Quindi innamorati, seduci con i tuoi provocanti capelli rossi, graffia passionalmente la schiena di qualcuno, perdi la testa per chiunque tu voglia, ma non per Byron."
Dianna agitò il capo ed espresse silenziosamente il suo dissenso. Se solo Jana avesse saputo che quella di Dianna era stata una fuga obbligata, non avrebbe parlato così.
Ma nessuno avrebbe dovuto conoscere il suo segreto, la sua silenziosa verità.
Con questo pensiero la sirena si impegnò a tacere.
D'un tratto, però, fu costretta a voltare il capo.
Oltre la finestra dell'aula, dove il mare rispecchiava le sfumature del cielo, provenne un ruggito.
Dianna fu certa di aver sentito un rimescolamento brusco delle onde, lì, dove sorgeva il respiro marino. Rimase a fissare il mare. Esso si alzò, si divincolò, sbatté le sue fauci contro la riva e si dimenò ancora una volta, senza tregua, come se la pace di quel regno abissale fosse stata d'un tratto spezzata.
Riuscì a sentire un altro grido. Questa volta esso era prolungato, infernale, soffocato, adirato e guerriero.
E poi ci fu solo silenzio.
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Nella foto, a partire da sinistra, c'è Jana, Elena, Byron e Kristiàn. Questi ultimi saranno molto importanti per la storia.
Indovinate un po' chi apparirà nel prossimo capitolo, finalmente...! Siete curiose di sapere come sarà?
A tal proposito, vi invito a passare dalla pagina Facebook dedicata alle mie storie "Alexandra-writes on Wattpad". In questi giorni, pubblicherò un anticipo.
Vi ringrazio infinitamente.
Votate e commentate!

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