Capitolo 52

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"Se non la fai uscire tu, Tritone, lo faccio io." Kassandros, dopo aver stretto brutalmente uno dei pali di legno del recinto sul quale era poggiato, si mosse in uno slancio, ma Tristan gli afferrò il braccio.
"È lontana l'epoca in cui eri il mio tutore, Kassandros. Sono uomo, oramai, so come devo comportarmi."
Kassandros si voltò con un paventato movimento rapido. "No, non lo sai," ringhiò tra i denti. "Un uomo non spinge una fanciulla inesperta dentro un recinto con un leone affamato e selvaggio."
"Sei in errore, amico mio." Tristan si sporse verso l'ipparco. Poi gli mormorò: "È più esperta di quanto tu creda. Guardala."
Il leone avanzò verso Dianna e la sua immensa criniera brillò alla luce di quel flebile sole che si affacciava da dietro gli alberi. Poi la sua mandibola si contrasse per un istante: parve persino tremare. Ma quell'incertezza si dissolse quando le fauci si spalancarono mortali, come una gabbia spinosa, una galera, pungenti e fatali come una ghigliottina.
Tra i soldati che circondavano la staccionata, si udì una parola più volte ripetuta.
Sangue.
Dianna arretrò di qualche passo, e la belva la seguì, avanzando. Dopodiché, la sirena prese a camminare in circolo, con i sandali che si macchiarono d'erba, la veste che s'alzava sotto il tocco di deboli folate di vento a mostrare le sue gambe pallide e snelle.
Dianna lanciò una dura occhiata a Tristan, ma a questa, dopo averla intercettata, egli rispose con uno sguardo indifferente.
Tritone la vide tornare con lo sguardo alla belva, sigillare le labbra e profondersi in qualche breve sospiro appena accennato. Poi, come trattenendo un'energia dentro di sé, Dianna cessò di respirare e chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì, essi sembrarono emanare una nuova luce.
Una nuova, sconosciuta e mai manifestata forza brillò in lei come una vampata, una lingua di fuoco.
I suoi occhi non erano più dello stesso colore del mare: ora erano come le onde che galleggiano immote sulla superficie, schiarite dal sole, luccicanti se esposte al giorno e misteriose se sorvolate dalla notte.
Tristan increspò la fronte, perplesso, e drizzò il busto per tornare in una posizione dirigente e accorta, allontanandosi dalla staccionata e arretrando per visionare meglio la scena, come se fosse un grande quadro da ammirare.
"Che sta facendo?" borbottò Kassandros con altrettanto interesse.
"Io..." Tritone tentennò. "Non lo so."
Dianna rimase pietrificata, leggermente chinata. Non parlò, non si mosse: né avanzò e né arretrò.
E neanche il leone si mosse, quasi fosse stato bucato da una lancia che lo aveva infilzato a terra.
Solamente gli sguardi della fiera e della sirena manifestarono frenesia: si incollarono.
Gli occhi della bestia erano assorti, vacui: vi aleggiava una luce giallastra oramai spenta e soggiogata, e conferirono alla sua immagine un'apparenza stordita.
Dianna invece socchiuse i suoi occhi come fessure e osservò arcigna il leone.
D'un tratto la fiera, colpita da un improvviso raggio di luce, vaneggiò nei movimenti, barcollò. Le lunghe zampe pelose tremarono e nella radura si udì lo scricchiolio sinistro di ossa che si slegavano dal loro intreccio. Tremò. Indietreggiò, latrando e mugolando come un cane ferito, abbassando la grande criniera e scuotendola come se non volesse avvertire qualcosa, quasi una sarissa lo avesse trafitto e volesse fermare lo scorrere del dolore.
Tristan si chiese quale forza e quale magnetismo imperversasse tra i due corpi.
Poi, con un ruggito debole ma straziato, il leone chiuse gli occhi infernali e s'accasciò a terra, con il grembo che si sollevava sotto gli ansimi e le zampe che raspavano il terreno in cerca di un'ultima forza cui aggrapparsi. Le fauci si schiusero e i denti rasentarono la lingua che pendeva innocua dalla grande bocca aperta.
Kassandros iniziò: "Il..."
"...fevior," concluse Tristan.
Dianna sembrò sorpresa: fissò la belva annaspante e poi si raddrizzò, lasciando che fossero i suoi capelli fuoco a superare in bellezza la criniera sfatta dell'animale.
I guerrieri attorniati al recinto abbassarono sarisse e spade, sporsero i colli in avanti come se stentassero a credere, e poi retrocedettero spaventati da quella nuova ninfa femminile.
Tristan si mosse verso la porta del recinto.
Kassandros lo richiamò: "Fermo! È ancora vivo, sta respirando."
Tritone lo ignorò e procedette velocemente. Quando fu al fianco della sirena, la guardò per un istante per assicurarsi fosse illesa, e la trovò magnificamente bella, con la pelle ancora bianca. Poi indirizzò la propria attenzione al leone: senza timore, indugi o tentennamenti, gli si fece vicino e, con tutta la superna maestosità che la sua nobile e divina discendenza gli aveva affibbiato, si accosciò accanto all'animale. Allungò una mano verso di lui e gli toccò il ventre gonfio. Non respirava più.
Tristan si rialzò con un movimento lento.
Il suo volto era esterrefatto, basito.
Poi si girò verso Kassandros. "È morto."
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Gli uomini erano riuniti sotto il porticato del grande tempio periptero edificato in età ellenistica dagli antichi rivoltosi che volevano ingraziarsi il perdono del re dei Mari. Era un'immensa costruzione in marmo pario che troneggiava su una vasta spianata sopraelevata, dalla bellezza talmente straordinaria da poter suscitare invidia alla perfezione di Fidia. Le acque, nel tempo, non avevano corroso sensibilmente i fregi e gli intagli sul grande timpano triangolare, che ritraevano Poseidone sopra i suoi stalloni bianchi, il tridente ad una mano e le redini all'altra, ma avevano solamente scheggiato parte del basamento bianco, lasciandovi macchie cineree a testimoniare la sua costruzione in marmo.
Ma Tristan trovava affascinante ogni dettaglio che riportasse alla memoria l'antichità di quel sontuoso tempio, perché nel tempo era conservata la gloria, pensò.
Sdraiato sul suo triclinio bianco, il braccio sinistro piegato sul cuscino e la mano che reggeva il capo, Tristan baciò di sguardi Dianna che, al suo fianco, sedeva invece compostamente sul suo letto, con i capelli raccolti sulla nuca in un cercine retto da spilloni d'argento, che, tuttavia, mancavano di salda presa, perché alcune ciocche ricadevano ricciolute sulla fronte regale. Alle sue orecchie erano appesi due orecchini dorati, costituiti da un grande cerchione da cui pendevano tre piccoli ciondoli a forma di conchiglia, mentre le guance, accarezzate da un sottile velo di biacca, brillavano di un pallore naturale. Il profilo del suo viso era regolare e Tristan riusciva a scorgere le lunghe ciglia ricurve alzarsi e abbassarsi freneticamente, sventagliando come rondini nel cielo, e fu rapito dallo sguardo glauco che si rivelò in tutta la sua impressionante e indicibile meraviglia quando Dianna si voltò a guardarlo per un istante. Vide le mani della sirena raccolte in grembo e le gambe che s'intrecciavano sotto il lungo peplo intessuto d'argento con ricami di corallo per nascondersi alla vista dei soldati che non mascheravano i loro sguardi d'apprezzamento nella sua direzione.
Tritone pensò ci fosse qualcosa di magnetico e di irresistibile in quella dolce dignità, qualcosa che infiammava ancor maggiormente il suo desiderio proibito di lei che, ora, confinava con l'amore.
Il convito stava per giungere a termine e cuochi e servi si adoperavano per ritirare dai pavimenti i piatti da portata, ripulendo gli avanzi di cibo e di vino mano a mano che si ritiravano verso il varco oltre le colonne di destra dal quale erano giunti.
Nello spazio apertosi tra le decine di triclini si muovevano suadenti ed eleganti le danzatrici, che ballavano portando le braccia sopra i capi e le teste inclinate verso le spalle, guardando i loro stessi bacini che ancheggiavano esperti sotto lunghe gonne asiatiche dalle frange imperlate che tintinnavano ad ogni passo, carpendo le bramosie di ogni uomo lì presente.
Tra le fanciulle, danzava anche Bentesicima. Ella volteggiò tra un triclinio e l'altro, alzando la sua gonna scampanellante e facendola scorrere sopra i visi di qualche soldato dalla cui bocca semiaperta piovevano rigagnoli di saliva. Bentesicima si abbandonò ad un risolino provocatore e, quando uno degli uomini fece per afferrarla, zampettò via, lasciandoli nel loro desiderio smodato. Da lontano, si mosse sinuosa tra i tavoli del banchetto, ma ora il suo sguardo ammaliatore era rivolto ad altro: guardava Kassandros e addentava il proprio labbro inferiore.
Tristan voltò il capo alla sua sinistra e osservò Kassandros con occhio interrogativo. Sorseggiò il suo calice di vino e, quando vi si staccò, si sporse verso l'amico. "Spero tu abbia una spiegazione valida."
Kassandros chinò il capo imbarazzato e, nel suo viso che poteva avere trent'anni, apparve una vergogna che assunse le sfumature del rosso. "Non è la prima volta."
"Che vuoi dire?" Tritone incurvò le sopracciglia sopra gli occhi cristallini.
"Da quando sei partito, Bentesicima non fa altro che sedurmi." Kassandros si sporse verso Tristan per mormorare, ma non lo guardò. "Una sera l'ho trovata al mio letto, completamente nuda. Profumava ancora di lavanda e di unguenti. E le sue labbra erano colorate di porpora, come una prostituta." La sua voce si incrinò sdegnata all'ultima frase.
Tristan, con l'orecchio attento alle parole del compagno ma con lo sguardo virato verso la sorella, alzò un sopracciglio. "E tu?"
"Vi ho resistito. Non la volevo e non la voglio."
Tritone si voltò nuovamente esterrefatto e ammirato verso di lui. Socchiuse per un momento gli occhi per indagare. "Arduo compito. Nessun uomo che rientri nelle mie conoscenze avrebbe resistito ad una bellezza così priva di dignità e vergogna come l'hai descritta. Suppongo che il tuo rifiuto deve essere motivato da qualche nuovo evento."
Kassandros sorrise enigmatico.
Tristan incalzò con divertimento. "Dimmi... chi è?"
L'amico l'osservò per un istante e agitò il suo bicchiere tra le mani, estremamente indeciso. Poi sorvolò con lo sguardo verso una figura in lontananza, accanto ad Anfitrite. "Voglio lei." Indicò la sagoma con il mignolo che si staccò dalla coppa di vino.
Tritone seguì il suo sguardo e notò, sdraiata accanto a sua madre e a suo padre, sua sorella Roda. Si sorprese e balzò di stupore. "È certamente più composta rispetto a Bentesicima. In qualche modo, siamo destinati ad essere cognati."
Kassandros sospirò e dal suo cuore partì una freccia di passionalità. "Se Zeus mi assisterà."
"Se Zeus non lo dovrà fare..." Tristan recitò sorseggiando un altro sorso del suo vino. "Lo farò io." Espirò poi con rilassamento.
All'altra estremità del pronao sdraiavano i capi di ogni squadrone della falange, nonché gli amici più fidati di Tritone. Tra essi si riconoscevano Alkeos, Simeon e Carano.
Il primo reggeva il mento sulla mano destra in un atteggiamento riflessivo, profondamente assorto, come se stesse ratificando un pensiero da esporre, osservando Tristan attraverso le sbarre umane dei corpi delle danzatrici; il secondo era già avvinazzato, come sua tradizione, e attirava a sé più fanciulle, alzando la coppa di vino e facendo scorrere tra i seni delle danzatrici il liquido rosso, per poi immergervi spudoratamente il naso e rialzando il capo con la barbetta rada macchiata di vino; il terzo, tra tutti il più anziano e saggio, rimaneva in silenzio a consumare le vivande e i vini del ricco simposio. Altri, invece, di conoscenza secondaria, gustavano con occhi affamati le dolci movenze delle danzatrici, con gli sguardi stralunati ed estraniati dalle sensazioni.
Alkeos mosse il suo braccio, ruotò lo sguardo ad osservare gli ultimi cuochi che si avvicendavano sotto le colonne del tempio, saltò poi con l'attenzione ai tavoli allestiti per i sontuosi banchetti e abbracciò il cuscino del suo triclinio. Guardò Tritone attraverso il fiume di danzatrici. "Come ai vecchi tempi!"
Tristan drizzò il mento e portò il suo calice dinanzi al viso. Inclinò il capo. "Non sono poi così vecchi se li ricordi."
"Sono trascorsi più di duemila anni!"
"E cosa sono duemila anni quando abbiamo a disposizione l'eternità?"
Alkeos sospirò. "E chi dice che sopravvivremo sino al prossimo inverno, Tritone? Sai bene che tra immortali ci si può uccidere."
Anfitrite, che da lontano dominava come una bellissima statua di marmo quel baccanale, guardò con occhio materno il figlio e impallidì.
E Dianna fece lo stesso.
Tristan intercettò il timore e la paura di Alkeos e, per un istante, credette di non avere dinanzi a sé l'amico ardito di un tempo. "Nessuno di noi morirà," disse con voce dura.
Alkeos scosse il capo come se volesse scacciare un pensiero che lo infastidiva e si girò su un fianco, avendo d'improvviso perso la pace. "Oh, non aggrappiamoci a queste speranze!" grugnì. "Sai anche tu che tra venticinque giorni qualcuno di questi triclini sarà vuoto. Qualcuno di noi cadrà in guerra, è inevitabile." Si sporse per enfatizzare le sue parole.
Tristan lo osservò per un istante, in silenzio. Le sue palpebre si mossero lentamente sopra gli occhi ora accesi di interrogativi. Qualcosa, quella mente, sotto quella chioma di capelli dalla bellezza di Apollo, stava trafficando per cercare risposte. Quando trovò la risoluzione a quel grande interrogativo che gli disturbava i pensieri, Tritone si sporse per posare il suo calice e si lasciò andare contro il triclinio con maestosità. "Tu... tu hai paura."
Alkeos balzò in piedi con uno scatto felino. "No! No! No!" urlò seccato e lasciò stramazzare il suo calice di vino in aria, e alcune gocce schizzarono sui letti e sui cuscini. Camminò verso Tritone, che, intanto, lo guardava con uno sguardo fuori di sé. "Noi non siamo come te, Tritone. Non vogliamo la gloria eterna. Vogliamo la pace. E ci batteremo contro i Titani per questo. Ma ti supplichiamo!" Alzò le braccia al cielo in un solenne panegirico. "Mai più guerre!"
Tristan, in tutta risposta, dinanzi ad un tale affronto e ad una così chiara mancanza di fiducia in lui, fece scattare la mascella in queste parole, sputate con indignazione: "Li avrei annientati io stesso, da solo, se ne fossi stato capace."
"E non ti abbandoneremo! Siamo sempre stati con te! Ricordi il nostro giuramento? Insieme, fino alla fine dei nostri giorni."
Tritone stette in silenzio. Il suo sguardo si rivelò deluso. I suoi occhi annasparono altrove. Le sue labbra si stringevano e si schiudevano, si schiudevano e si stringevano sempre sul punto di proferire parola, ma, ogni volta, ingoiò i suoni.
Alkeos percepì persino dentro le vene la delusione del compagno che lo stava bruciando, infiammando, e, dopo essersi placato con un grande sospiro, disse: "Noi abbiamo fiducia in te, Tritone. Sai che siamo sempre stati tuoi compagni nelle gioie e nelle sventure. Ma non siamo più ragazzini discoli e sparuti. Non siamo più guerrieri di poco credito, paggi, cavalieri nelle parate o palafrenieri di corte. Siamo uomini. Abbiamo mogli e figli e non vogliamo rischiare di lasciare i nostri cari senza un futuro."
A quel punto, Tristan scattò in un movimento repentino e, strattonando il braccio di Kassandros che -avendo immediatamente appreso le intenzioni dell'amico- lo stava trattenendo, si levò in piedi come una furia che schizzava sangue dagli occhi. Le sue braccia si tesero rigide lungo i fianchi. "E credi che io non abbia i miei cari, pezzo d'idiota? Credi che io abbia un cuore di marmo incapace di valutare i rischi?" E poi aggiunse con più passione, ammiccando a Dianna inconsciamente. "Credi che io non abbia nessuno da amare?"
Alkeos rimase in silenzio.
Tristan gli puntò il dito contro. "So i rischi che corro, ma se li schivo e non combatto per superarli, ho perso già in partenza."
Chinando il capo e riconoscendo il proprio errore, Alkeos tacque e fissò le suole dei propri sandali che si muovevano tra una colonna e l'altra per fronteggiare l'inquietudine. Non chiese perdono, ma Tristan intuì il suo rammarico.
Subito dopo, da un triclinio si alzò Carano e, levando in alto la coppa e seguendo il movimento con il viso adulto e maturo, socchiuse i piccoli occhi da aquila e si voltò sui sandali. Invitò tutti i presenti ad alzarsi con il calice di vino alzato. Poi guardò Tristan. "Alkeos si è forse espresso in malo modo e noi tutti chiediamo il tuo perdono a suo nome. E resteremo con te. È una promessa. A Tritone!" E la coppa si alzò ancor di più. "Al nostro re!"
Poseidone, poco lontano, s'infervorò silenziosamente e bruciò assieme all'offesa sanguinolenta che Carano gli aveva lanciato. Anfitrite, invece, al suo fianco, osservò il figlio illuminandosi di orgoglio.
Tutti gli uomini bevvero, sino a che un tonfo roboante non riempì le orecchie dei presenti: Simeon, robusto e vigoroso, lanciò la danzatrice che reggeva in grembo sul pavimento e si alzò in tutta la sua mole possente. Con la voce distorta dagli effetti del vino, prese a brancolare e ad avanzare verso Tritone ridendo come una iena blaterante. Due soldati si alzarono e lo ressero per le braccia.
Simeon gettò il capo all'indietro, lo rialzò e guardò Tritone con occhi brilli. "Noi combatteremo... per te e per la gloria... della Grecia. Ma tu... tu, Tritone... cosa ci dai... in cambio?"
Tristan mutò espressione e ora si abbandonò ad un sorriso. Inclinò il capo, si umettò le labbra con la lingua e prese a camminare lungo il pronao con le braccia congiunte dietro la schiena. "Vi darò donne, le più belle, con curve di Afrodite e occhi di Atena, con la pelle di Era e vergini come Artemide."
Simeon si liberò dalla stretta dei due soldati e avanzò di un passo. Tacque per un momento, come se delle parole di Tristan udisse solo l'eco soffocata. Poi annuì vigorosamente. E puntò un dito contro Dianna. "Ma è lei... è lei la più bella... deliziosa creatura. La vogliamo... vogliamo lei..." Un sorriso stolto gli errò sulle labbra.
Tristan si pietrificò sui suoi passi, alzò il mento con fierezza e si voltò nobilmente verso Simeon. Ghignò. "Oh, sì. Hai ragione, Simeon. È la più bella." Poi aggiunse: "Ma è mia."
E, nello stesso momento, alle spalle di Dianna giungeva Bentesicima, con la voce macchiata di crudeltà, che le sussurrò all'orecchio: "Mio fratello ha perso la ragione per te. Fa' in modo che non perda anche la forza."
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Come avete visto, Dianna ha ucciso il leone (r.i.p.) utilizzando il fevior, che non è altro che un insieme di occhiate che stordiscono violentemente. Ora voi starete sicuramente pensando al famoso canto delle sirene, e arriverà anche quello in un altro capitolo.
Abbiamo già incontrato alcuni degli amici di Tristan nel flashback del 416 a.C. e sono dei personaggi, soprattutto Simeon, veramente strambi.
Tritone odia il fatto che non abbiano fiducia in lui. Secondo voi, i suoi amici... faranno qualcosa? Trameranno qualcosa o gli resteranno fedeli? Mi piacerebbe sapere cosa credete che accadrà.
E poi la rivelazione di Tristan: "Lei è mia" *----*
Bentesicima... a lei bisogna stare veramente attenti. Non sottovalutatela, è arcigna, e lo mostrerà in seguito.
Nel prossimo capitolo incontreremo delle persone che ci mancano da tanto tempo!
Per anticipi e per sapere quando pubblico, passate dalla pagina Facebook dedicata alla storia: "Alexandra-writes on Wattpad".
Fatemi sapere che ne pensate. Votate a commentate!
Grazie mille, come sempre!

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