Capitolo 19

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La sinfonia lenta e melodica cantata dal Dance Dark sembrava disperdersi in onde soavi nella sala; le sue note si cullavano armonizzanti, diminuendo il loro vociferare di poco a poco, per poi crollare sul pavimento come coriandoli addormentati.
Più si affievoliva il sibilo dei violini e dei flauti e più Dianna riusciva a sentire gli schianti veloci dei tacchi delle lucide scarpe di Kristiàn, quando questi le ghermiva la mano e la lasciava danzare in una veloce giravolta, per poi attirarla al proprio petto.
Dianna non aveva mai creduto Kristiàn potesse essere un ballerino tanto abile, e non seppe se continuare a restarne dubbiamente sorpresa o se ammirare la disinvoltura dei suoi passi armoniosi.
In sua compagnia, il buio della sala sembrava incuterle meno timore, perché la certezza di avere un sostegno fisico cui aggrapparsi le infondeva una nuova sicurezza. Quindi, guidata dai passi -notò- esperti del compagno, Dianna danzava con altrettanta risolutezza, volteggiando e disegnando nell'aria archi di cerchio e stringendo la propria mano in quella di Kristiàn, che percepiva molto calda, bollente sotto le proprie dita.
Durante la loro stretta vicinanza, Dianna riuscì persino a definire un forte profumo di colonia accarezzare la sua camicia, e si domandò se il suo errore fosse stato quello di non notarlo prima, se fosse la folla di gente ammassata nella piccola sala a tradire i suoi sensi, o se egli si fosse prima allontanato con la banale giustificazione di parlare al musicista -Dianna non riusciva a ricordare il termine utilizzato dal ragazzo- per spruzzarsi invece qualche goccia di colonia sulla camicia, dato che era oramai evidente ogni suo tentativo di apparire seducente agli occhi della sirena.
Ma a Dianna non importava dell'amore, aveva da tempo smesso di credere in quel sentimento, perché -pensava- quando si assiste all'odio si dimentica che sapore ha l'affetto.
La sirena decise che fosse la musica a spazzare altrove quei dannati pensieri, dubbi e quelle fastidiose riflessioni spesso incosistenti che marciavano rumorose nella sua testa.
Decise di voler essere felice, per un istante.
Decise di voler provare l'adrenalina del divertimento sulla pelle.
Ed in quel momento, sì, era felice.
"Chi ti ha insegnato a ballare?" urlò Dianna sopra la musica.
Seguì un attimo di silenzio.
Ne seguì un altro di tentennamenti in risposta, dunque Dianna ritenne opportuno ripetere la domanda, qualora Kristiàn non l'avesse udita, ma proprio nel momento esatto in cui schiuse le labbra per riproporre le proprie parole, il ragazzo parlò.
"Ho sempre frequentato circoli retti in piedi dalla raffinatezza delle danze."
Dianna apparve sorpresa e sbatté più volte le palpebre. "A Praga ci sono molti... circoli?"
"Sì, cara Dianna, ci sono molti locali d'incontro." La voce di Kristiàn sembrò sardonica, come se ritenesse le proprie parole qualcosa che doveva già essere noto, e quindi superfluo da ripetere.
La sirena si meravigliò della risposta ambigua e levò lo sguardo per incontrare il suo volto, ma riusciva solamente a scorgere la piega ondeggiante delle ciocche dei suoi capelli che si plasmavano nella penombra.
I piedi di Kristiàn scivolarono rapidi verso sinistra, per poi arretrare, seguendo i movimenti di un ballo che non sembrava seguire gli schemi di tradizione.
Pareva essere dettato dal cuore e dall'istinto.
E Dianna fu costretta ad aggrapparsi a lui.
"Ti piace il Massbury Institute?"
La sirena non tentennò nel formulare una valida risposta alla domanda. "In tutta onestà, no."
"A me sì."
Dianna piegò il capo, increspando le sopracciglia, perplessa. "Ma... credevo lo odiassi. Tua sorella mi ha raccontato della ragione per la quale vostro padre vi ha iscritti al Massbury, e dubito fortemente sia un valido pretesto per amare l'istituto," spiegò, rammentando le parole sospirate di Jana che tanto l'avevano colpita e ferita nel profondo.
"Mi stai forse dicendo che è assolutamente necessario che io e Jana abbiamo gli stessi pensieri?" La voce si fece pungente e leggermente alterata.
"Ma è tua sorella e avete condiviso un passato comune!"
"Forse sì... forse no..." Kristiàn le prese la mano e lasciò che il corpo di Dianna volteggiasse in una giravolta.
La sirena, a quelle parole, rizzò velocemente il mento e spalancò gli occhietti circospetta, il cuore che improvvisamente aveva iniziato a battere senza freni inibitori e che si scontrava ansimante però con il petto egemone del ragazzo.
"E tu quali ragioni avresti per odiare il Massbury? Forse compagnie spiacevoli?" La voce confusa sembrò salire di un'ottava, sempre più vicina all'orecchio di Dianna.
Il respirò di Kristiàn sembrava solleticarle la guancia in una sensazione già conosciuta.
"Probabile. Ma, in ogni caso, non è una compagnia che inglobi te, tua sorella, Elena o Byron."
"Uh, allora suppongo si tratti del ragazzo nuovo... quel Tristan Waves, non è così?"
Dianna tacque, improvvisamente elettrizzata nei sensi.
Deglutì.
Ma la sua gola era improvvisamente gelida.
Le sue labbra furono graffiate dal peso prorompente di quelle parole -e di quel nome- che le giunsero tanto vicine da provocarle un rimescolamento della precedente tranquillità.
Dianna si schiarì la gola e chiuse per un istante gli occhi, prima di parlare lentamente con una voce evidentemente camuffata per non lasciar trasparire la recente agitazione. "Da quando rivolgi domande così indirizzate ad ispezionare i sentimenti di chi ti circonda?"
"Da sempre. Sì, in realtà da molto tempo. Nutro una certa curiosità per i gioielli che mi interessano..."
Dianna avvertì la lieve carezza di labbra calde e corpose sfiorare il proprio zigomo e la stretta asfissiante di mani sempre più leste e deliberate a stringerla con possessività.
"Kristiàn..."
"Sì?" Egli le scostò una ciocca di capelli dalla fronte, sistemandola in una dolce onda dietro il suo orecchio.
"Ti credevo una persona riservata, timida e risoluta." La voce di Dianna tremò improvvisamente.
"Uh, no, nessuno ha mai avuto il coraggio di descrivermi timido."
Dianna aspettò che la musica affievolisse la sua pressione per parlare. "Davvero non ti capisco. Sei vulnerabile. È forse influenza di Byron?"
Kristiàn soffocò una debole risata tra i denti. Una risata particolare, che sembrava non addirsi al suo volto. "O di quel Tristan. Chissà. Sì, potrebbe essere proprio influenza di quel Tristan di cui ami tanto evitare di parlare."
"Non sto evitando l'argomento che lo riguarda," rispose risentita Dianna, mentre si obbligava a non inciampare sui piedi di Kristiàn, data l'agitazione.
"Allora prego, sono tutt'orecchi." In un movimento veloce, il ragazzo l'attirò a sé. Poi tacque. Dopodiché, la sua voce apparve più grave e scura. "Cos'ha di tanto maligno quel ragazzo per intimorire una bella fanciulla come te al punto di farle credere che l'istituto che dovrà ospitarla fino alla maggiore età sia un luogo spregevole?"
Dianna pensò per un breve istante di annuire, perché non trovava affatto le sue parole false. Erano più vere di quanto lei volesse credere. Il Massbury Institute era un rifugio davvero spregevole, se accostato alla presenza di quel dio. Ma rispose, ostentando una schematica indifferenza. "Non ha nulla."
"Oh, sì che ce l'ha." La voce di Kristiàn si fece quasi sonnolenta. "Altrimenti non parleresti con questo tono assai pungolato. Saresti piuttosto solare. Cosa che invece, ora, non sei, e poiché ho buon occhio, non ho tardato certo a comprendere che quel giovane -ahimé- ispira in te sensazioni sconosciute."
La sirena deglutì. Era così semplice smascherare le sue emozioni? Era così semplice cadere nel rischio di mostrarle incosciamente al mondo? I suoi occhi lasciavano davvero trasparire tanto nitidamente i suoi timori?
Dianna non ebbe il coraggio di negare le parole del ragazzo: farlo sarebbe stato un affronto a se stessa. Quindi decise di placare il macchinare turbolento del suo cuore e di rispondere con una disinvoltura maggiormente camuffata: "Credevo avessi occhio soltanto per osservare le stelle, sai?"
"Oh, sì. Ho occhio per le stelle in cielo. Ma anche per le stelle sulla terra." Kristiàn arretrò di un passo e si chinò a prendere la mano di Dianna per lasciare sul suo dorso un galante bacio. Dopodiché, si udì un veloce tacchettare in lontananza.
Kristiàn se n'era andato.
Nello stesso istante, la musica si fermò e, ora, Dianna riuscí a distinguere chiaramente una netta differenza nell'eco della voce di Kristiàn che ancora le risuonava nelle orecchie, come se una nota scura avesse stonato. Ma tentò di convincersi fosse solamente frutto del capogiro causatole dalla spinta della musica contro i suoi sensi.
Dianna sentì le parole morirle in gola. Scosse il capo con un risolino meravigliato e si fece largo tra la calca di giovani ammassati nella pista da ballo, e camminò verso Jana, le cui urla euforiche ed estasiate spiccavano come un arcobaleno di suono nella mischia di tutto quel vociare indistinguibile.
Quando le fu accanto, la sirena vide Jana ondeggiare il bacino nel vivo desiderio di apparire seducente o perlomeno affascinante agli occhi di Byron, stagliato come un masso al suo fianco.
Quello che la sua compagna non notò, però, era che Byron era troppo intento ad affilare lo sguardo tagliente sulle curve di una ragazza spossata dai liquori poco più avanti per accorgersi di Jana.
Dianna avanzò. "Jana, la musica è finita..."
"Non mi importà," urlò. "Mi sto allenando per il prossimo pezzo! Voglio ballare!" La sua voce impennò assordante e un paio di giovani vicini videro barcollare i bicchieri che reggevano tra le mani per l'improvviso balzo spaventato.
"Anche io avrei voluto ballare."
Dianna si voltò per capire da dove provenisse quella voce. Poi focalizzò: illuminato da un bagliore fioco ma abbastanza funzionale a distinguere i tratti del volto e dei capelli platino, Kristiàn si reggeva quasi tristemente alla parete, lo sguardo chino e le gambe incrociate.
Dianna si sorprese. "Come puoi dirlo? Hai ballato sino a poco fa!"
Kristiàn alzò lo sguardo, evidentemente stupefatto. Aggrottò la fronte. "Ti sbagli. Non ho ballato."
La sirena roteò lo sguardo al cielo. Perché Kristiàn continuava a deriderla? "Bugiardo! Non ti facevo neppure un ballerino così abile, tantomeno un ragazzo sfacciato!"
Kristiàn allungò il collo verso Dianna con occhio perplesso, come se faticasse ad udire le sue parole. O a comprenderle. "Non riesco a capire davvero di cosa stai parlando."
"Abbiamo ballato assieme!" Dianna sembrò bollire sulle fiamme.
Kristiàn chiuse gli occhi, come se volesse trattenere un pensiero prorompente e sospirò. "Ti ripeto che non ho ballato né con te, né con nessun'altra. Sono minuti che sono qui, appoggiato alla parete, offeso perché evidentemente aspettare il mio ritorno ti costava davvero troppa fatica e hai preferito condonarti dalla pena di ballare con questo sfigato." Lo sguardò gli corse sulle proprie scarpe.
Dianna portò una mano sul fianco e un'altra sulla tempia. Ora era perplessa. "Che stai dicendo...?"
Kristiàn alzò la voce, alterato. "Sto dicendo che dopo aver chiesto al dj di cambiare musica, sono ritornato in sala, con la speranza di trovarti, ma tu non c'eri più. Non mi hai aspettato. Ballavi con un altro." "E con chi?" La voce di Dianna parve un acuto sibilo, nella sorpresa.
Ma, nel momento esatto in cui formulò la domanda, ebbe già la risposta.
Si voltò, il viso spossato ed esaurito dallo stupore di aver creduto il falso e di essere riuscita ad apparire -ancora una volta- come una sciocca ingenua oggetto d'ilarità per lui.
Per Tristan.
Eccolo, era lì. In fondo alla sala, le mani infilate con disinvoltura nelle tasche di un paio di eleganti pantaloni neri, il cui taglio impeccabile delineava le forme e le gambe di un giovane -la sirena lottava contro se stessa per ammetterlo- altrettanto impeccabile. Tritone indossava anche una camicia che Dianna riuscì con fatica a distinguere fosse nelle tinture di un blu oceano, un blu che si sarebbe rivelato perfetto nello sfondo dei suoi occhi ghiaccio.
E, nonostante la cupa ombra della sala, il piroettare incostante dell'ammasso di corpi davanti ai suoi occhi e nonostante la distanza, Dianna si stupì di come la sua figura, stretta in quei colori, sembrasse accecarla.
Improvvisamente, la sua testa prese a turbinare confusa e fitte dolorose e spinose iniziarono a perforarle le tempie. Dianna chiuse gli occhi. Li strinse.
E si voltò: non poteva evitare la sua presenza, ma poteva evitare il suo sguardo.
Tentò di obbligarsi a mantenere l'equilibrio, ma il sol desiderio suonava irrealizzabile alle sue orecchie. Come avrebbe potuto placare gli imminenti spasmi del suo corpo quando non riusciva a far tacere le urla dei pensieri?
Sospirò e, con il ronzio lì attorno, tornò a guardare Kristiàn, lo sguardo vitreo e il cuore pompante.
Sapeva che era alle sue spalle.
Sapeva che la stava guardando.
E sapeva anche che, qualora si fosse ancora voltata, in quella miriade di sguardi, avrebbe riconosciuto solo il suo.
Per quale ragione quegl'occhi sembravano captare e rapire le sue energie? Per quale ragione, per quanto odiasse il ghiaccio delle sue iridi, non poteva negarne la bellezza e non poteva frantumarsi negli elogi?
Dianna impiegò una manciata di minuti per ricordare di essere circondata da una giostra di giovani fumanti. I suoi pensieri roteavano con tanto fracasso da sopraffare le urla del locale.
Tra quelle voci, riuscì a distinguere quella di Kristiàn. Egli si avvicinò alla sirena, posandole una mano sulla spalla e chinandosi verso il suo volto, lo sguardo apprensivo di chi vorrebbe continuare ad esternare risentimento ma di chi non può fare a meno di tendere la mano in soccorso. "Stai bene?"
Dianna annuì.
"Sicura? Mi sembri strana... È successo qualcosa? Hai visto qualcuno?"
"Sì, sono sicura. Non... non è successo niente," ribatté lei, esonerandosi però dal rispondere alla sua ultima domanda.
Dopodiché, Dianna si scostò da Kristiàn, e la mano che questi teneva posata sulla spalla della sirena, scivolò nel vuoto.
Dianna non voleva percepire alcun tocco sulla propria pelle: l'essere solamente ora al corrente di aver consumato un ballo con Tristan, ignara della pressione di questi sulla sua pelle, le fece adottare la decisione di astenersi da qualunque forma di contatto esterno.
Kristiàn arretrò di un passo, rassegnato ed imbarazzato. Infilò una mano nella tasca del pantalone e dondolò sui talloni. "Va bene... Emh... posso andare allora a prenderti qualcosa da bere? Long Island...? Gin Lemon...? Sex on the beach?" Poi sembrò riflettere. "Magari quest'ultimo non ha il nome più... -come dire?- raffinato del mondo, ma credo sia... credo sia buono..."
"Acqua," rispose Dianna, la voce esplosiva. "Acqua," ripeté con più convinzione.
Kristiàn annuì e batté in ritirata verso il bancone del locale, sul quale decine di bicchieri sgolati strisciavano ogni minuto.
Dianna approfittò di quell'attimo di solitudine per osservarsi attorno, nella speranza che Tristan si fosse dileguato. Per sua fortuna, non lo scorse nell'ammasso di folla. Avrebbe voluto anche non sentire la sua presenza, ma richiedere una simile grazia all'Olimpo sarebbe stato forse eccessivo.
Kristiàn tornò poco dopo, reggendo tra le mani due bicchieri, di cui uno riempito di un liquore dal colore indefinibile, che si limitò dunque ad osservare con diffidenza ma a fingere di essere oramai esperto in materia di bevande. Dopodiché, porse il calice d'acqua a Dianna, che non tardò ad afferrarlo con dita tremanti.
La sirena non riusciva neppure a percepire la consistenza del bicchiere sotto le sue dita, tanto i suoi sensi erano impegnati ad allontanare il pulsare impetuoso alle sue orecchie.
Quando stava per avvicinare il bicchiere alle labbra, Kristiàn posò le dita sul suo polso e interruppe il suo movimento. "Prima è necessario un cin cin."
"Un... cin... cin?" Dianna apparve ancor più confusa.
Certo che la sirena avesse compreso le sue parole, Kristiàn avvicinò il proprio calice di liquore al bicchiere di Dianna e li fece tintinnare con un sorriso sicuro ma ombrato.
La mano di Dianna, però, s'agitava troppo tremolante, come una foglia in balìa del vento, per riuscire a sostenere il seppur lieve impatto con il calice di liquore di Kristiàn.
Ed entrambi i bicchieri si frantumarono sul pavimento, con un sonoro fracasso difficilmente percepibile. Gli stivaletti di Dianna si inumidirono sotto l'acqua strisciante e la camicia di Kristiàn si bagnò del liquore, che assunse sul suo petto un colore giallognolo e spento.
Dianna trattenne il respiro e alzò lo sguardo fremente sul ragazzo. "Io... scusami, non... non volevo! Perdonami, la mia mano non ha retto e... e..."
"Sì, va bene... fa niente..." urlò Kristiàn sopra il trambusto, chinando però il mento ad osservare la sua camicia con un sorriso triste e sprezzante, considerando il tessuto rovinato e tentando di mascherare una rabbia soffocata.
La sirena notò l'ira nascosta del ragazzo e non tardò a rinnovare le sue scuse. "Davvero, io... non so cosa mi sia preso, non... non sto capendo più nulla!" E portò le mani tra i capelli, il cuore debole e gli occhi sempre più umidi di lacrime torrenziali. "Mi dispiace per la tua camicia..."
Kristiàn sospirò e deglutì, come se volesse ingurgitare parole che pensò fosse meglio omettere. "Sì, sì... ho capito." Continuava ad osservare la sua camicia. Poi indicò un punto indistinto in lontananza. "Vado... al bagno, magari con un po' d'acqua questa chiazza va via... spero," aggiunse, e sparì.
Dianna si maledisse: dopo aver erroneamente ballato con Tritone e lasciato Kristiàn solo, ora, sembrava aver beffato quest'ultimo rovesciandogli appositamente il liquore sulla camicia.
Si maledisse di nuovo. Questa volta con più enfasi, come se volesse sottolineare a se stessa la convinzione di essere solamente una dannata sciocca.
Quando alzò lo sguardo, però, intravide Tristan, dietro le schiene di un paio di giovani che ronzavano nella pista da ballo.
Quel sorriso sardonico era ancora impresso sulle sue labbra.
E allora Dianna smentì i suoi precedenti pensieri.
La colpa non era sua. Era di Tritone.
Che sciocca! Che sciocca era stata a non collegare la sua ennesima sventura alla vendetta di quel dio!
Lo guardò, ora meglio: lo vide inarcare le sopracciglia con piglio soddisfatto, gli occhi ghiaccio distinguibili persino in lontananza ed i lineamenti virili che si stendevano su un volto... perfetto.
Dopodiché, Tritone si voltò e uscì da una porta secondaria ancorata in un angolo della sala.
Dianna riuscì a percepire il sentore della sua scia ancora svolazzante per la sala.
Decise di seguirlo.
Strinse i pugni e serrò le labbra, obbligandosi a frenare le lacrime parcheggiate sul ciglio dei suoi occhi, che, però, le offuscavano la vista a tal punto da essere costretta poi a sbattere le palpebre per focalizzare la porta.
Si fece strada tra i presenti e passò più volte le mani tra i capelli fiamma in un gesto disperato, sospirando e camminando con le ginocchia elettrizzate.
Quando si trovò davanti alla porta, si lanciò contro la maniglia e rotolò nell'aria pungente della notte.
Era uno stretto viottolo brecciato, delimitato da un filare di alte siepi e illuminato flebilmente da un basso lampione. Su una sponda, ammassati alle mura esterne del locale, correvano invece grandi cesti e bidoni sporchi, dai quali si levava un tanfo spregevole.
Dianna si chiese cosa fossero.
Dopodiché, abbracciò le proprie spalle per infondersi calore e alzò le palpebre infreddolite. Vide Tristan che le dava la schiena, impegnato a carezzare e ad ammirare il dorso di una foglia dondolante dal filare di siepi.
Le sue spalle erano larghe.
Robuste.
I fianchi erano stretti.
Delineati.
E i capelli erano splendenti. 
Ma Dianna era più decisa che mai. Camminò nella sua direzione, strisciando a piccoli balzi e sfilandosi gli stivaletti in un movimento veloce. Li lanciò uno dopo l'altro contro la schiena di Tritone con tutta l'energia che solo la rabbia più infocata poteva produrre, incurante di essere rimasta ora a piedi scalzi su una breccia tagliente.
Tristan assorbì il colpo, ma rimase voltato.
Dianna fu affogata dalla rabbia, dalla disperazione e dall'agustia che tutt'ad un tratto la sommersero con impeto funesto, come un torrente spinto dal soffio della corrente. "Basta!" urlò, agitando le braccia. "Hai prosciugato troppo le mie forze, ora basta! Sei un dio sporco e insensibile, che probabilmente l'Olimpo si rifiuta di ospitare ai suoi seggi perché ne è ripugnato! Sei un vigliacco, uno stupido sadico che agisce alle spalle perché è troppo codardo per fronteggiare la sua vittima! Hai scelto me..." Dianna iniziò a singhiozzare. "Mi hai scelta per fare di... di me la tua serva, la tua sgualdrina, la tua... sporca puttana! E quando hai compreso che... che la paura che nutro non mi avrebbe... non mi avrebbe fatto comunque inginocchiare al tuo cospetto... hai deciso di conquistare il tuo onore perduto con una vendetta infantile! Tutto questo non... non è per la vendetta di tuo padre... sei tu! Sei tu che vuoi vedere le mie lacrime... perché ho lottato per non sottomettermi a te. E non sarò mai sottomessa a te! Tu non sei nessuno!" Gli puntò il dito contro e si avvicinò, scossa dagli spasmi del pianto rovinoso. Le lacrime le rigavano le guance pallide, lasciando nella loro discesa una scia rossa, sanguigna.
Seguì un attimo di silenzio, dove Dianna tentò di riorganizzare i suoi pensieri.
Poi parlò di nuovo, ora più calma: "E nonostante tu... nonostante tu non sia nessuno, riesci a farmi... a farmi sentire così debole, così distrutta, così disperata. È come se... è come se non potessi fare a meno di dipendere da te.... e io... e io non voglio!" sputò poi con rabbia, balbettando.
A quel punto, Tristan si voltò.
Lo fece lentamente, come se avesse paura di osservare la ragazza alle sue spalle.
E, in effetti, fu proprio così.
Sembrò avere paura.
Perché, quando la vide piangere, seguì il cammino di una lacrima sulla sua guancia...
E impallidì.
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Ta dan! Come molte di voi hanno supposto, l'abile ballerino non era Kristiàn ma Tristan.
Capitasse tutti i giorni di ballare con un tipo come lui...!
Povera Jana... è così legata a Byron e lui non l'ha ancora notata!
Che ne pensate del capitolo e del suo finale?
Cosa pensate succederà?
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Buon sabato!

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