Capitolo 10

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L'uniforme scolastica di Dianna si scioglieva moribonda sui suoi fianchi. Prima delle lezioni, all'alba, la giovane aveva armeggiato con la camicia macchiata d'inchiostro, strusciando il panno contro una sdrucciolosa saponetta marmorata, ma la chiazza nera era ancora lì, viscida sul suo seno, come un'ombra appannata. Nonostante tentasse di coprirne l'alone con la cravatta rossa, questa scivolava diritta lungo il suo ventre, e -dunque- ogni studente che s'addentrava nel traforo sconnesso dei corridoi si voltava a scrutare Dianna ed il suo abbigliamento con sguardo compassionevole.
Agguantò lo spallaccio della bandoliera e strisciò verso la classe di chimica fissando le luride e strette fessure che correvano tra una piastrella e l'altra del pavimento.
Il corso di chimica si svolgeva ogni lunedì mattina in una classe angolata all'ultimo piano del Massbury Institute. Dianna non sapeva neppure per quale ragione insulsa avesse deciso di iscriversi a quel corso. Forse perché Jana le aveva assicurato che ogni lezione con Mr. Warren era un vero spasso -altra parola che Dianna avrebbe dovuto segnare nel suo nuovo vocabolario- perché in passato sua moglie si era spinta nella sua stanza degli esperimenti e aveva ingoiato una fialetta di bromo confondendola con un bicchiere di succo d'arancia. Morì. E da quel giorno in poi, Mr. Warren si promise di trovare la giusta miscela di sostanze che potesse riportare in vita la sua amata.
Jana era sboccata in una risata di scherno nel raccontare la vicenda, ma Dianna, invece, si era ritrovata a ragionare su come l'amore possa spingere anche il più razionale degli uomini al delirio.
"Oh, Dio, fringuella! La tua camicia è impregnata d'acqua! Dove diavolo ti sei tuffata? Perché sei bagnata? Non hai freddo?" Jana scarriolò una ventata di domande, senza neppure degnarsi di recuperare il respiro.
"Purtroppo non posso davvero tuffarmi in mare, sarebbe molto richioso per me." Dianna sospirò, sapendo che la compagna non avrebbe compreso la sottile verità delle sue parole. "Sono bagnata perché ho tentato vanamente di pulire la camicia da una chiazza d'inchiostro e sì, ho freddo, decisamente freddo. Ma non credo sia il momento adeguato perché io possa lamentarmi, dato che c'è Mr. Warren che mi sta guardando mal..." Dianna alzò lo sguardo.
L'unico presente che la stava fissando non era Mr. Warren.
Tristan Waves -o Tritone, figlio del re dei mari, poco sarebbe cambiato- la stava denunando con lo sguardo, con la zazzera dorata che s'increspava sulla nuca e un gomito posato con disinvoltura su un bancone da lavoro.
La furiosa criniera di Dianna fendette l'aria quando si voltò fulminea.
La sirena odiava avvertire il retrogusto caldo delle labbra del ragazzo ancora impregrato sulle sue.
Quel contatto non era svanito. Era un'eco lontana. Eppure pareva così raggiungibile.
Jana afferrò il braccio di Dianna e la trascinò verso un banco da lavoro ancorato accanto ad una finestra dalle vetrate offuscate, dove sedevano Byron, Kristiàn ed Elena.
Sarebbe stato perfetto, se Tristan Waves non avesse scostato la sedia accanto a Byron per sedervisi.
Dianna non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, ma sapeva, riusciva delineare la scena che si stava svolgendo dinanzi a lei. Lo vedeva chiaramente: vedeva Tritone incrociare le braccia al petto, posare con compostezza la schiena contro la spalliera della sedia e tamburellare indolente le dita sul proprio bicipite gonfio. Riusciva anche a figurare la camicia bianca della sua uniforme far presa sul petto marmoreo, aderendo alle linee irruenti del suo addome scolpito. Dianna sentì il fruscìo lento della camicia sulla sua pelle: sapeva che Tristan ne stava arrotolando le maniche sino al gomito, lasciando scoperta una sottile peluria che andava ornando le sue braccia.
Quando si sedette dinanzi a Tritone, la sirena avvampò. Le sue guance s'incendiarono superbamente, come ustionate dalla scia di una folgore.
Scosse violentemente il capo, quando il pensiero delle mani di Tristan che scorrevano lungo le sue gambe tornò ad albergare impetuoso nella sua mente.
L'aula brulicava di studenti silenziosi che s'apprestavano a raggiungere i propri banchi da lavoro con diligenza e postura, farfugliando di tanto in tanto parole smorzate.
La sirena si lasciò dominare da un impercettibile tremolio che le scosse il corpo, quando i suoi occhi si levarono su quelli di Tristan.
Il suo sguardo era violento, fermo, impavido.
Pareva allacciarsi con irruenza a quello di Dianna.
E la giovane non era pronta a sorreggere un simile supplizio.
Quindi chinò il capo e chiuse gli occhi.
Ma riusciva a percepire ancora il letargico tamburellare delle dita di Tritone.
Inspirò.
Ma riusciva ad avvertire ancora il morbido sentore di ambrosia spirare da quella pelle bronzea.
A quel punto, incassò la testa nel petto e si strinse nelle spalle.
Ma il suo desiderio di passare inosservata mai avrebbe potuto essere esaudito.
Perché il nemico era lì.
La voce di Kristiàn tagliò la densa atmosfera di tensione. "Guardate Mr. Warren. Ha un'aria sbattuta, santo Cielo! Che viso pallido... sembra proprio..."
"Un pover'uomo in astinenza dal sesso. Suppongo dev'essere un martirio." Byron rise.
Jana sobbollì sulla sedia e bofonchiò sommessamente, sventagliando le lunghe ciglia sopra gli occhi argentati. "Sei... -oh!- così perverso!"
Byron roteò lo sguardo annoiato. "So bene che, sotto sotto, anche tu custodisci una segreta depravazione, mia cara rocker." Increspò le labbra e si sporse verso Jana, strisciando la grande mano bianca sul bancone. "Ogni femmina -o donna, per non risultare incivile- adotta l'intrinseca strategia dell'innocenza: apparire casta, illibata, ingenua, così da destare i più profondi istinti virili in un uomo. Ma ti ho mascherata." Alzò poi una mano, indicò i propri occhi e puntò poi quelli di Jana. "Le tue sottili strategie non sono più un segreto."
Kristiàn intervenì. "Non parlare così di mia sore..."
"E tu, amico? Che ne pensi? Anche tu sei un pervertito?" Byron ignorò Kristiàn e si voltò verso Tristan.
Tritone sogghignò, rassettandosi la cravatta sulla camicia. "Una misurata dose di perversione non è mai deplorata. Posso dire di rientrare in quella fascia di uomini che sa come innalzare la bellezza di una donna... come venerarla... come..." Alzò lo sguardò, riflettendo, "degustarla." Poi fissò Dianna. "Ma rientro anche in quella fascia di uomini che sa come sottomettere l'altro sesso."
Jana fece leva sulle braccia e si alzò bruscamente, trucidando Tristan con lo sguardo. "Questo pensiero è così maschilista!"
"Tutto è maschilista." Tritone rispose alla sfida con prontezza.
Jana grugnì tra i denti, minacciosa. "Tu..."
"Io?"
L'intromissione di Mr. Warren placò gli animi agitati. Egli si avvicinò, distribuendo silenziosamente una dispensa nelle mani di Elena.
Kristiàn alzò il mento e ammiccò al foglio. "Allora? Che c'è scritto?"
Byron soffiò, seccato, e allungò un braccio per strappare la dispensa dalle mani di Elena. "Meglio che la legga io. Page non sa parlare."
Dianna vide Elena reprimere un triste mugolio di sconfitta.
Byron assottigliò lo sguardo ametista e si schiarì la voce, iniziando a leggere. "Obiettivo dell'esperimento: confrontare la diversa reattività di alcuni metalli. Premesse teoriche: I metalli sono un gruppo di elementi chimici con determinate caratteristiche, tra cui la lucentezza e la solidità a temperatura ambiente, ad eccezione del mercurio che si presenta allo stato liqui... ma Mercurio non era un pianeta?"
Jana trasse un profondo respiro. "Ignorante."
"Mercurio è anche il nome con cui gli gli antichi Romani definivano Ermes, messaggero degli dei, figlio di Zeus e della Pleiade Maia." Tristan incrociò le mani davanti al viso e guardò Dianna. "Concordate, signorina Cox?"
La beffardaggine di quel giovane!
La sirena annuì, il volto serio. "Sì."
"Io sono sincero." Byron fece scorrere lo sguardo spaventato lungo la dispensa. "Non ho la minima intenzione di leggere tutta questa roba. Passiamo ai materiali da utilizzare: tre provette riempite d'acqua, una spruzzetta, un barattolo di fenolftaleina... Fenolf-che? Cox, è una bestemmia in russo?"
Dianna scosse il capo.
"Suvvia, Byron! Dianna ha detto che non ricorda neppure una parola in russo!" Tritone sfoggiò un malefico sorriso derisorio. "Chissà che pena non ricordare la propria lingua madre! Una lingua melodica come il russo, poi! Che peccato!" concluse con un'inflessione canzonatoria.
Dianna sospirò e si obbligò ad osservare ogni dettaglio intorno a lei fuorché gli occhi del maligno.
Byron continuò imperterrito nella lettura. "... un contagocce, due spatole ed una pinzetta, tre barattoli contenenti polvere di magnesio, calcio e ferro. Questi sono i materiali. Elena, vai a prendere la spruzzetta, il barattolo con la fenolfqualcosa ed il contagocce. Tu, Kristiàn, recupera le spatole, la pinzetta ed i barattoli con magnesio, calcio e... insomma, quell'altro metallo... il... " Rivolse un ultimo sguardo alla dispensa, "il ferro, ecco. E tu, Dianna, vai a prendere le tre provette riempite d'acqua." Poi osservò con occhio soddisfatto Tristan. "Che dici, amico? Sono stato abbastanza glaciale nell'impartire ordini?"
"Invidiabile."
Quando Dianna si alzò, Jana, Elena e Kristiàn si erano già dissolti nell'aria. Rimase dunque impettita a fissare il gregge brulicanti di studenti che vorticava laborioso nell'aula. Poi guardò Byron, perplessa. "Dove... dove posso recuperare le provette riempite d'acqua?"
Il ragazzo parve sorpreso e batté il palmo della mano sulla fronte. "Oh, che sbadato! Tu sei la novella! Ma non ti preccupare: un paio di mesi in quest'inferno e conoscerai ogni aula come le tue tasche. Comunque, le puoi trovare lì." Alzò l'indice e additò un lungo bancone squadrato che serpeggiava lungo una sponda dell'aula. "Ma fai attenzione: dal soffitto pendono molte ragnatele, quindi se dovessi avvertire qualcosa zampettare sui tuoi capelli... ecco, sappi che potrebbe essere un ragno. Ma non una tarantola. Nel Virginia non ci sono. O meglio, non credo ci siano..."
Dianna sgusciò via con subitaneità, dimenando inconsapevolmente i fianchi sinuosi disegnati da Afrodite.
Avvistò un largo portaprovette impolverato sopra il bancone e rammentò rapidamente le parole di Byron. Tre provette riempite d'acqua.
Annuii. Avrebbe dovuto semplicemente usare delicatezza e disciplina.
E, soprattutto, non avrebbe dovuto rivolgere il pensiero allo sguardo inchiodato alle sue spalle, poiché il ricordo avrebbe contribuito all'ascesa svelta della sua agitazione.
Allungò le dita affusolate verso le provette incastonate nel curioso arnese e provò a sfilarne una.
Ma la mano prese a tremarle.
Serrò le labbra, decisa.
Tentò nuovamente, con sforzo vano: le provette parevano incastrate, e Dianna riuscì a scorgere lo specchio d'acqua al loro interno vibrare fremente.
Inspirò profondamente: forse avrebbe dovuto essere più paziente.
Determinata, agguantò una provetta e provò a sollevarla, e un' ingente rabbia miscelata ad un umiliante senso di sconfitta si fece strada dentro di lei, quando l'ennesimo tentativo fallì.
Dunque, abbrancò con possesso un'altra provetta e con un fulmineo scatto riuscì a sfilarla dall'arnese.
Ma la sirena trasse un sospiro vittorioso troppo in fretta: la violenta presa esercitata bastò a far oscillare pericolosamente il portaprovette. Dianna ne seguì i movimenti: l'arnese, come spinto da una forza esterna, si sporse in avanti sino a restare in bilico sull'orlo del bancone.
E poi cadde a terra.
Centinaia di schegge schizzarono dalle provette e una smisurata quantità d'acqua si rovesciò impetuosa sul pavimento, rotolando con una copiosa brama gelida.
Dianna rischiò di scivolare, s'aggrappò paurosamente ad un angolo del bancone e ansimò terrorizzata, finché non avvertì il rigido pulsare di decine di sguardi su di lei.
Mr. Warren irruppe nel suo campo visivo e i suoi sensi sprizzarono elettrici. Portò le mani alla fronte ed osservò con sguardo allibito la larga pozzanghera che camminava viscidamente sul pavimento, sino a sgusciare sotto i banconi e a bagnare le sedie. Mr. Warren alzò lo sguardo con disappunto e Dianna non seppe come rivolgere educatamente le proprie sentite scuse. Si limitò, invece, a guardare oltre le spalle di Mr. Warren: Tritone soffocava una ghigno impregnato di un maligno appagamento, lasciando scorrere la lingua sulle labbra vermiglie ed infilando con disinvoltura le dita tra la fratta di fili dorati.
Dianna comprese e lo guardò truculenta, abbassando di un poco gli occhi mare per fissarlo irosa. "Tu..." mormorò tra i denti.
"Io?" Lo vide replicare da lontano, beffardo.
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E con questo episodio si apre la vendetta di Tritone, che sarà sempre più aspra nei capitoli a venire. Vuole essenzialmente mettere Dianna in ridicolo davanti a tutti.
Io trovo sia un giovane tanto beffardo quanto interessante, e voi?
Spero il capitolo vi sia piaciuto
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