Nascosto dietro un alto e intricato cespuglio di ginepro, Tritone osservava la sagoma di Dianna pitturata sopra quello sfavillante scenario del mare che solo la luce tenera dei primi raggi del sole avrebbe potuto donare.
O meglio, sarebbe stato inappropriato affermare che la stava osservando, perché, se così fosse stato, non avrebbe avuto scolpito negli occhi quel luccicore turbinoso: la stava piuttosto ammirando, elogiando, encomiando con avidità.
Poi si accosciò sulla sabbia e racchiuse gli occhi attorno alla figura della sirena: Dianna era rilassata in una posizione lasciva, le gambe allungate elegantemente verso la spuma dell'acqua e il capo che di tanto in tanto veniva reclinato, donando così la splendida visione dei capelli rossi che ondeggiavano sulla schiena bianca. I fianchi di donna erano scavati, scolpiti, forgiati da Afrodite e rifiniti dall'abilità che solo un uomo d'arte come Fidia avrebbe potuto rendere così perfetti; quando voltava il capo, si scorgeva il profilo lontano e regolare del viso; le labbra color sangue lottavano contro il pallore invece tenue delle sue guance e lo sguardo era perso lontano, verso qualche sogno irraggiungibile o una realtà impossibile. Era profondo, pensò Tristan. Non erano occhi che si limitavano a vedere, quelli di Dianna. Erano occhi che assorbivano, che trascendevano, andavano oltre la semplice visione: Tritone si chiese quanti sogni vi fossero plasmati dentro.
In effetti, Dianna era oltremodo serena: sembrava ricercare la gioia in qualcosa che agli occhi altrui non era percepibile, perché Tristan, seguendo il suo sguardo, non trovava nulla di particolarmente decantabile nell'insenatura della costa, eppure Dianna pareva scorgervi l'infinito.
Ma l'ispezione di Tristan non si limitava certo ad una debole osservazione. Lui ricercava i dettagli: ecco, infatti, che scorse nella sua pinna agitata di sirena tutta la gioia di ritrovare il mare e nella luce del sole la fierezza di poter baciare e rinvigorire quel petto. Dopodiché considerò quel lieve pezzo di stoffa attorno ai seni, quelle coppe che le coprivano le nudità che lui invece avrebbe voluto scoprire e che immaginò con rinnovata malizia e spudoratezza di toccare. Poi lasciò scendere lo sguardo sulle sue fossette di Venere e bramò con impazienza di posarvi le dita, di attirare a sé quel corpo che sembrava richiamarlo e sedurlo con la stessa abilità con cui il canto delle sirene tesse inganni agli uomini.
Se, in quel momento, qualcuno gli avesse chiesto se vi fosse qualcosa di più perfetto e degno di lode, Tristan avrebbe risposto di no.
E d'un tratto gli parve un diritto imperdonabile sfregiare quella bellezza, quindi rimase ancor più fermo nella sua convinzione: suo padre Poseidone non avrebbe rivoltato la sua rabbia su di lei, no.
Perché Tritone avrebbe fatto qualunque cosa per impedirglielo.
Avrebbe iniziato donando a lei la sua protezione.
Eppure era così dannatamente certo di non avere neppure la forza di reggere lo scudo e il gladio, se ella fosse stata al suo fianco, bruciando così la sua energia.
D'un tratto, Dianna si voltò repentinamente nella sua direzione, come destata da qualche suono che la fece squillare sull'attenti, quindi Tristan si chiese se avesse posato il piede su qualche ramo e prodotto così uno scalpiccio o se il suo respiro assetato fosse stato udito sin dalla riva.
Il giovane si abbassò e strisciò sulla sabbia, nascondendo il corpo dietro il cespuglio.
Sentiva il suo cuore battere e a quest'ultimo riconobbe con piacere la facoltà di pulsare ancora.
Per la prima volta nella sua esistenza, Tritone pregò realmente l'Olimpo di concedergli la grazia di non essere visto, perché non avrebbe mai voluto dare a quella sirena la soddisfazione di vederlo indebolito a causa del suo bel viso, che -oltretutto- non era l'unica ragione della sua spossatezza, se accostato a quella tempra ferrea e dignitosa che facevano di Dianna un vero turbine.
Tristan osò voltare lentamente il capo e osservare tra le foglie la sirena: ora non sembrò ricercarlo più nell'ombra, quindi Tritone sollevò un sospiro di sollievo.
Ma non avrebbe rischiato nuovamente.
Dunque annuì e pensò che sarebbe stato meglio raggiungere quel mondo marino dove era tanto richiesto e atteso.
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Tritone seguì ancheggiando la scia schiumosa dell'acqua, più simile forse a vapore raccolto in boccoli di nuvole, che pareva indicargli la via da seguire.
Non che Tritone non lo sapesse, anzi: trovava piuttosto familiari le viuzze bagnate degli abissi, ma era sempre lieto di ricevere ogni volta quei cerimoniali di benvenuto.
La sua pinna si snodava tra le onde, mirata dalle occhiate strabordanti di invidia di tritoni e umili funzionari, inginocchiati in sottomissione su ruvidi ciottoli, mentre le sue orecchie erano carezzate dalla dolce melodia delle buccine, alzate tra le mani di musicisti, che nelle note decantavano a parole inespresse le loro lodi più sincere. Il petto egemone di Tristan, invece, ampio e scolpito, soffiava il respiro ad ogni sirena che si prostrava con deferenza al suo passare.
Tutta la corte di Poseidone, ora, era riunita in lode ai piedi del figlio del grande re.
Tristan si divertiva ad osservare quegli sguardi nascosti, a leggere nei fanciulleschi visi delle sirene la timidezza e la consapevolezza di non meritare di essere in sua presenza, eppure, per qualche ignota ragione, non avvertiva più il pulsante desiderio di afferrare a sé quei corpi per annusarne il profumo, ed i suoi occhi non erano più rapiti da quei petti avvenenti: i suoi sensi erano stati affascinati da ben altra bellezza predatrice.
In qualche modo, però, ciò contribuiva ad incrementare la megalomania che lo distingueva, e si ritrovò a pensare che se da quelle serve era tanto ben visto, avrebbe potuto essere diletto anche per altri occhi. Ma tutte queste sue speranze silenziose, ora, dovevano nascondersi e modellarsi dietro una maschera: infatti, Tristan sciorinò un sorriso beffardo e dimenticò l'arrendevolezza di poco prima, perché mai avrebbe dato al mondo la facoltà di dedurre che anche lui, figlio di Poseidone, aveva un tallone d'Achille.
Dopodiché, afferrò la sua spada conficcata nella sabbia e con una pericolosa cautela fece scorrere le dita sulla sua lama per ripulirla dai granuli bronzei. La nostalgia della guerra lo aveva talmente logorato, nei giorni lontano dal regno dei Mari, che ora Tritone non poteva far altro che stringere quella spada nella mano, ammirandone la lucente laccatura dorata che tanto aveva accecato in bellezza i nemici in battaglia.
Arrischiò un fendente nel vuoto e si complimentò con se stesso per i pronti riflessi mai mutati: ora, sembrava aver riacquistato la sicurezza.
"Abbassa la spada davanti a tuo padre."
Una voce tonante gli giunse prepotentemente nelle orecchie. Tristan strizzò gli occhi con fastidiò e mugolò contrariato, mentre dondolava il capo in un'evidente indifferenza. Quando alzò gli occhi, notò suo padre Poseidone -seduto sul trono reale- fissarlo con una tanto profonda quando indescrivibile durezza nello sguardo.
Tristan ravvisò un'ira tagliente nei suoi occhi. Ma, canzonatorio, soffocò una breve risata e mise ancor più in bella mostra la sua spada, conficcandola nuovamente nella sabbia e reggendovisi con una mano. "Mi è giunta voce che avete richiesto la mia presenza, padre."
"La stessa voce di Bentesicima che ha avuto il piacere di comunicarmi il resoconto del vostro incontro," pausò Poseidone, allungando una mano verso il calice d'ambrosia e portandolo alle labbra anziane per degustarne il contenuto. Dopodiché, si prese del tempo per deglutire e per lasciare che quel liquido gli infervorasse le membra, per poi gesticolare nervosamente in direzione delle due ancelle che gli sostavano ai fianchi, sbandierando ventagli intarsiati. "Lasciatemi solo con mio figlio."
Mentre le due ancelle si dileguavano, Tristan osservò la loro baldanza per poi dedurne non fosse altro che un'insulsa pavonaggine. Tempo addietro avrebbe sicuramente contemplato le curve di quei corpi, ma, ora che la sua immagine di canone di bellezza femminile era stata notevolmente capovolta, pensò che non fossero abbastanza belle per sfoggiare una simile spavalderia.
Intanto, Poseidone si era alzato dal trono e sostava impettito sul pulpito, ghermendo con forza il proprio tridente, come se volesse competere con la possessività con la quale suo figlio brandiva la sua spada. "A che gioco stai giocando, Tritone?"
"Per quanto mi piaccia giocare -come dite voi- posso assicurarvi che non sono mai stato più serio," replicò Tristan, sarcastico.
Poseidone sembrò venire meno in pazienza: chiuse gli occhi, allargò le narici del grande naso -che avrebbero, probabilmente, spruzzato fuoco e fumo nel giro di pochi istanti - e sospirò profondamente. Poi, quando riaprì gli occhi, la sua rabbia lampeggiò. "Hai deciso con poca saggezza di non portarmi rispetto con i fatti, portalo almeno a parole! Ti ordino di tacere davanti alle riprensioni di tuo padre, stolto!" urlò.
Tritone non era un giovane propenso alla sottomissione, quindi non tardò a rispondere con altrettanto scherno. "Oh, pardon, a volte non so proprio controllare la lingua. D'altronde -come fare?- è la parte del corpo che uso di più...!" Negli occhi ghiaccio lampeggiò una sottile malizia.
Poseidone, probabilmente ora conscio della sconfitta che si stendeva davanti ai suoi occhi qualora avesse risposto alle provocazione giovanili del figlio, decise con soggiogazione e forse saggezza di raggiungere il nocciolo della questione. Dunque scese a grandi tonfi dal pulpito, raccolse le braccia dietro la schiena e camminò verso suo figlio. Quando gli fu dinanzi, si concesse un paio di momenti per vantare segretamente di aver concepito un figlio tremendamente bello, ma altrettanto provocatore. "Voglio la sirena."
"Ho già dato la mia risposta a Bentesicima."
"Oh, ma ti ho convocato nutrendo la speranza che la risposta sarebbe stata diversa."
"Allora siete in grande errore, padre." Tristan continuò a rispondere, comprendendo però sempre troppo tardi di non riuscire a frenare la sfrontatezza delle sue risposte.
Poseidone prese a girargli attorno, grugnendo e racchiudendo in grandi ciocche dentro la sua mano i fili della lunga barba argentea, come in procinto di sradicarla dal suo mento. "Per favore, per favore!"
Tristan finse di non capire e incrociò le braccia al petto, appoggiandosi con disinvoltura alla sua spada. "Per favore cosa, padre? Vi prego, parlate, detesto notarvi così irrequieto."
Poseidone alzò lo sguardo e sembrò sul punto di afferrare il collo del figlio e di sbatterlo a terra, ma il pensiero sopraggiunto che gli ricordò che Tritone aveva in mano quella sirena, l'àncora di salvezza dell'Olimpo, frenò ogni suo istinto."Questa situazione non è il tuo podio, Tritone. Non è un mero pretesto per innalzare la tua vittoriosa riuscita nell'impresa. E' la guerra degli dei. La guerra del mondo. I Titani non aspetteranno certamente te per attaccarci. Quella dannata sirena è indispensabile. Portala qui!" stridette tra i denti. "L'addestreremo, la useremo in guerra e poi ti darò l'onore di ucciderla tu stesso con le tue mani, se è quello che vuoi."
Tristan si fece sbalordito: i suoi occhi si aprirono sconcertati e il suo sorriso dapprima beffardo si stese angosciato. Dopo attimi di indugio e remissione alla risposta, Tritone scosse il capo. "No, non è quello che voglio."
"Nessun problema, dunque. La ucciderò io, ma..." Poseidone venne interrotto.
"Farò tutto ciò che è in mio potere per impedirvi di farlo." La voce di Tritone era ora ferma, immobile, salda nella convinzione delle sue parole. Irremovibile. Così come il suo sguardo, stagliato duro sulla figura del padre.
Poseidone sfociò in una fragorosa risata che ruppe lo specchio delle onde. "Stai delirando."
"Ve lo lascio credere."
Il re dei mari sostò immobile per un istante, lo sguardo talmente perso in riflessione e meditazione tra la flora degli abissi che persino la sua presa attorno al tridente si fece più scialba. "Non ho intenzione di ripeterlo: voglio la sirena entro..."
"Ho bisogno di tempo!" esclamò Tristan.
"Per cosa?" urlò Poseidone esasperato.
Per la prima volta, Tristan non rispose. Si limitò piuttosto a osservare le squame della sua pinna, incapace di emettere alcun suono, incapace di esprimere il suo pensiero -forse perché neanche lui era ancora riuscito a decifrarlo correttamente.
Dal lungo silenzio che ne seguì e dall'evidente stato agitato e instabile di suo figlio, Poseidone non tardò a trarne una conclusione che gli fece balzare il cuore e sbarrare gli occhi. Si avvicinò nuovamente al figlio, inclinando il capo e puntandogli un dito contro. "Tu..." iniziò. "Tu e quella sirena..."
Tristan alzò debolmente lo sguardo.
"Tu... la sirena... " Poseidone sussurrò ancora una volta quelle parole tra i denti. Poi si fece coraggio per aggiungere: "Tu la ami."
La mente di Tritone si annebbiò: le sue reazioni iniziarono a disfunzionare, ad intrecciarsi, e la sua capacità di valutare l'affermazione del padre scemò. Ebbe solo la facoltà di desumere che quelle parole avevano impresso un potere permanente sulla sua anima. Quindi rizzò il busto, tentò di assorbire la sua precedente audacia e disse con voce quasi tremante: "Vi dico che la riporterò indietro. Ma come voglio io. E quando voglio io."
Ma, prima di voltarsi e di congedarsi, sfiorò la lama della sua spada, certo che un giorno l'avrebbe brandita di nuovo.
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Sì, era Tritone colui che stava osservando Dianna. Ho deciso così perché volevo inserire i suoi pensieri nell'ammirarla.
Che ne pensate del colloquio con Poseidone?
Da questo capitolo si capisce che la guerra si combatterà.
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Grazie mille!
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L'inevitabile attrazione
FantasyUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...