L'alba aveva lasciato spazio ad una mattinata quasi fredda ed ostile, tinta delle sfumature del giallo, sul campo di battaglia di Alexandroupolis.
Mentre sentiva ancora, dolorosi e insostenibili i pianti e gli strazi di Dianna alle sue spalle, Tristan abbandonò per un momento il suo squadrone di cavalleria e, con l'elmo alla mano e il mantello che si sollevava ad ogni passo, camminò frettolosamente e con decisione verso la regina Anfitrite sua madre.
La trovò piegata in ginocchio sulla sabbia, davanti alla sua tenda, con il lungo chitone greco che si apriva a ventaglio attorno alla sua figura, come una grande pozzanghera cristallina. Con il capo chino, persino la tiara diamantata era caduta a terra e il busto era rivolto verso meridione, in direzione del lontano Monte Olimpo. Le mani raccolte in preghiera al petto si stringevano con timore e frenesia. Tra i denti sgusciavano silenziose suppliche.
Persino in Tristan, che non era mai stato abituato a simili visioni simboleggianti un tale parossismo e un'altrettanta passionale esasperazione, qualcosa ribollì dentro al petto. Dunque si affrettò a dire: "Madre."
Anfitrite sollevò leggermente il capo e ciò che Tristan vide furono solamente due occhi trasparenti, graffiati da piccole vene rossicce che correvano tutt'intorno all'iride. Le ciglia, invece, erano bagnate di pianto e le gocce salate stillavano ancora dalle sue palpebre, cadendo sulle guance magre e bianche. Alla vista del figlio si alzò di buon grado reggendosi sulle gambe esili e incespicando sui lembi della veste. Si gettò tra le braccia di Tritone e lo strinse come se fosse la prima e l'ultima volta.
Tristan avvertì sulla propria pelle l'ardore con cui la madre lo stringeva a sé: la sentì allacciare le braccia al suo collo e affondare il capo bagnato nell'incavo della sua spalla. In quei lunghi ed interminabili momenti in cui Anfitrite lo abbracciava, soffocandolo con il suo amore di madre, Tristan ebbe modo di pensare che non era mai stato abituato alle pubbliche dimostrazioni di affetto, ai gesti spontanei che provengono dal cuore, ma se un abbraccio ricambiato avesse potuto alleviare la palese sofferenza di quella donna, lui l'avrebbe stretta.
E così fece.
Strinse la madre a sé e le baciò i capelli morbidi, e quando le accarezzò la testa avvertì sotto le dita i cadenzati singulti del suo corpo.
In qualche modo, anche lui avrebbe voluto piangere, ma si obbligò a ricomporsi. "Non rattristatevi, vi supplico."
"Le tue parole sono solamente una banale formula, figlio mio: può forse una madre non rattristarsi quando vede e percepisce nel cuore un così grande pericolo?" disse Anfitrite tutto in un sospiro.
Tristan chinò il capo, ma non trovò nulla di adatto con cui replicare.
La madre gli prese il volto tra le mani, fece congiungere le loro fronti e con i pollici delineò la figura degli zigomi del figlio, poi passò alla sua mascella e infine ai suoi capelli indomiti. E chiuse gli occhi, come se quel gesto potesse aiutarla a vivere appieno il piacere di quel tatto, come se fosse in grado di assorbire l'essenza del figlio, come se potesse nuovamente legarlo a sé. Quando riaprì gli occhi, questi erano offuscati dalle lacrime non versate. "Sei mio figlio, Tritone. Dalla mia carne ti ho partorito. Se perdessi te, perderei me stessa." La sua voce era un intimo sussurro. "Siamo legati, figlio mio: nel mio ventre ti ho nutrito, ti ho cresciuto, il mio seno ti ha allattato e solamente i miei occhi, mio grande amore, ti guarderanno sempre come se fossi la gioia più bella del Creato. Tu non hai idea, non hai idea, forse" Anfitrite sospirò, "di cosa significhi essere uniti indissolubilmente a qualcuno."
"E invece lo so, madre."
Nello stesso istante, in un disperato sottofondo, risuonarono le grida di Dianna che veniva forzatamente scortata da Kassandros lontano dagli accampamenti.
Se quella voce acuta e ricolma di strazio bastò a muovere in Tristan il desiderio di raggiungere Dianna, in Anfitrite fece sorgere solamente un pensiero. La donna guardò oltre le spalle del figlio e osservò la sirena: "Lei ti ama."
"Come io amo lei."
Sulla bocca di Anfitrite sorse un caldo sorriso, ma i suoi occhi tradivano ancora i suoi più acerbi timori. Alzò una mano e accarezzò la guancia del figlio, senza mai muovere lo sguardo dai suoi occhi. "Se non vuoi lottare per me, allora, fallo per lei."
Tristan rimase interdetto per un istante. Ma non riuscì ad aprire bocca neppure nei momenti successivi. Rimase semplicemente e a guardare la madre, sospirando ed evitandosi di pensare se avesse visto, l'indomani, una nuova alba.
Nel frattempo, alle spalle di Anfitrite si plasmò la figura di Poseidone: Tristan guardò il padre con un vivido distacco e il suo cuore prese un balzo. I due si osservarono per un momento, in una sottintesa sfida a chi scostava lo sguardo per primo. A quel punto, Tritone posò una mano sulla guancia della madre, attirò il suo volto al proprio e le baciò la fronte, ma il suo sguardo era rivolto oltre le spalle della donna: guardava ancora il padre. "Ora rimettetevi. In fin dei conti, gli ho giurato che non sarei mai stato debole, giusto?"
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L'esercito era già stato radunato da tempo, aveva lasciato l'accampamento e aveva iniziato la sua marcia verso il centro dell'enorme distesa sabbiosa.
Solamente gli arcieri, nascosti dietro il promontorio che racchiudeva il campo a meridione, e la scorta di cavalleria di Kassandros non avevano preso parte all'avanzata.
E proprio l'ipparco, ora, stringeva dinanzi a sé Dianna sul proprio frisone nero, destriero formidabile, tenendo le mani della sirena tra le proprie per impedirle i movimenti, mentre cavalcava con gli altri cavalieri verso il cuore del bosco verde.
Ma Dianna si muoveva e si dibatteva, si divincolava, lanciava pugni e calciava, tantoché non era raro che il cavallo di Kassandros si agitasse e si impennasse sotto i colpi duri di quei piccoli piedi bianchi.
Sicché Kassandros non fu costretto a stringere con più foga i polsi della sirena nella mano destra e ad avvolgerle la vita con quella sinistra, abbandonando le redini e sentendo crescere dentro di sé nuove turbinanti sensazioni: era certamente fedele al suo più caro amico ed era sinceramente innamorato di sua sorella Roda, ma il pizzicore che iniziò ad avvertire sotto i palmi delle mani era la prova inconfutabile della indubbia bellezza di Dianna.
Dopodiché, l'ipparco esordì dicendo: "Ti prego, stai ferma. Tritone mi ha ordinato di non toccarti e se vedesse come ti sto stringendo forzatamente ora mi decapiterebbe anche dopo duemila anni di amicizia."
"Se è così, lasciatemi scendere!" Dianna diede un forte e pesante strattone, mugolando tra i denti.
"Non posso," sospirò Kassandros. "Tritone è stato chiaro. Ho sempre mantenuto la mia parola, non ti lascerò fuggire. Non ho mai scherzato con lui e non oso farlo ora."
"Per l'amor di Zeus!" commentarono altri cavalieri che s'accingevano a scortare il loro comandante con occhi sgranati.
La sirena perse le forze poco dopo. Le sue braccia sembravano troppo deboli per reagire e, se avesse continuato a divincolarsi, il suo cuore -che già galoppava furente nel suo petto- sarebbe esploso. Dunque congiunse le mani in grembo e drizzò la schiena, tenendosi ben distante dal petto di Kassandros, perché l'unico corpo che aveva conosciuto e che avrebbe mai potuto desiderare era quello di Tristan. E ora, che provò a rimembrare la piacevole, e al contempo dolorosa, sensazione di essere sotto di lui mentre la possedeva, un brivido caldo le scosse le vertebre e si insinuò sin dentro le sue viscere. In qualche modo, per qualche strana legge dell'amore e dell'attrazione, lui le mancava. Le mancava il modo in cui la guardava, in cui l'accarezzava e in cui esprimeva con lo sguardo quello che non riusciva a rivelare a parole. E Dianna si maledisse, perché solamente ora che Tristan sembrava così lontano, lei avrebbe voluto raggiungerlo.
Kassandros riprese le redini e le agitò sulla groppa del frisone. Lasciò che il destriero raggiungesse un particolare ed insolito circolo che gli alberi creavano dentro il bosco e con un borbottio della voce arrestò la lenta cavalcata. Poi smontò di sella con un salto e diede disposizioni rigide agli altri cavalieri. "Rimarremo qui. Sarà Tritone a darci ordine di raggiungerlo, quando sarà necessario."
Dianna reclinò il capo contro un albero e chiuse per un istante gli occhi. Quando li riaprì, vide, attraverso i sottili spazi tra un tronco ed un altro, il grande quadro della guerra che stava per imperversare: notò i due eserciti che andavano avvicinandosi, diversi nelle armature e nel passo. Quello dei Titani occupava la metà settentrionale e contava visibilmente più soldati, ma minori squadroni di cavalleria. Dianna non riuscì a distinguerne i dettagli, quindi spostò lo sguardo sull'esercito guidato da Tristan: notò dapprima i soldati, perfettamente schierati, allineati con rigore sulle loro postazioni, e sentì giungerle alle orecchie le note cupe dei trombettieri che levavano al cielo i loro strumenti per mantenere costanza nel passo militare.
Ma, seppur in lontananza, ciò che vide con più nitidezza fu quel cavallo nero, quell'elmo rosso che rivaleggiava in bellezza con tutti gli altri, quel mantello bianco e quella stazza fiera.
La sabbia si sollevò ed offuscò quella visione belluina e, con essa, persino il mare prese ad agitarsi.
In quel momento Dianna sperò che quelle onde succhiassero la paura che, d'un tratto, aveva di perdere Tristan.
Anche se, forse, non lo aveva mai veramente avuto.
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Eryx e Ippotoo avanzarono.
Il primo ricordò la brutale raccomandazione dei Titani: uccidere chiunque sino all'ultima goccia di sangue.
Dopodiché, rimembrò il volere del dio dei Titani: Crono aveva espresso il desiderio che tutti i suoi figli fossero smembrati, da Estia ad Era, riservando però un trattamento ancor più truculento e violento per due dei suoi tre figli che prima di tutti lo avevano tradito: Zeus e Poseidone.
Ma, se questi pensieri valevano nella mente di Ippotoo, in Eryx c'era solamente il desiderio di mietere e falcidiare il corpo di Tritone. Avrebbe combattuto l'intera guerra solamente per ritrovarsi dinanzi a suo fratello e trafiggergli il cuore con la sua spada.
La sentiva. Sentiva già quell'adrenalina scorrergli in corpo.
Eryx, con un occhio impressionantemente acuto, lesse la sorpresa sui volti dei soldati di Tritone, evidentemente perché non notavano i Titani avanzare dietro le sue spalle. Ma loro non sapevano che quei giganti sarebbero arrivati quando le loro membra sarebbero state così deboli che difendersi sarebbe risultato un compito arduo e sfibrante.
Sulle labbra di Eryx errò un ghigno, mentre si posizionava a gambe aperte dinanzi ai suoi uomini, nel tentativo di troneggiare nonostante la modesta altezza e la corporatura non delle più robuste. Aveva addestrato bene quell'esercito, pensò. Aveva sudato per mantenere equilibrato il rapporto tra Titani e soldati. Aveva rifornito ogni uomo delle spade più lucenti. Non avrebbe fallito: non con l'acceso desiderio di vendetta e rivalsa che gli consumava i precordi.
Ma Ippotoo ebbe occhio più lungo. Al fianco di Eryx, deglutì e mormorò: "Siamo morti."
Eryx si voltò con un eccesso di parossismo e guardò il fratello con la fronte increspata. "Che cosa?"
"Guarda." Ippotoo avanzò di un passo e lo raggiunse. Tese un braccio e indicò l'esercito di Tristan, delineando con il dito ogni uomo ed ogni cavallo che proteggeva le estremità del corpo compatto. Poi continuò: "La falange macedone."
Eryx si volse indietro lentamente, come se i movimenti del suo collo fossero inibiti, e guardò i propri uomini: il suo era un esercito di guerrieri greci, opliti, fanti reclutati in ogni città, in ogni casa, strappati alle famiglie. Disponeva di un esercito antichissimo, millenario. Un esercito pari a quello di Sparta durante la prima, ventennale e cruenta guerra messenica. Ma un esercito antico e mercenario.
E poi si volse a guardare l'esercito di Tritone, quello macedone, indistruttibile, militarmente avanzato.
E rabbrividì.
Dall'altra parte del campo di battaglia, invece, Tristan sussurrava con uno strano sorriso: "Buongiorno, fratelli."
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Questo è un capitolo di passaggio, e vi avvertò che la guerra si estenderà in diversi capitoli. Ho deciso di farla combattere alla maniera antica, con spade, lance, cavalli e scudi, perché credo sia più affascinante, perlomeno a parer mio.
Povera Anfitrite, mi ha fatto pena mentre la descrivevo! Che ne pensate dell'ultima frase che le rivolge Tritone, quella dove è sottinteso il padre?
Kassandros ha qualcosa di comico in questo capitolo, ahahah, le mani gli pizzicano. Beh, comprensibile.
Ma la medaglia va ad Ippotoo che ha già capito che sono tutti morti ahahahah.
Fatemi sapere che ne pensate nei commenti! Votate e commentate!
Grazie mille a tutti :)
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L'inevitabile attrazione
FantasyUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...