Capitolo 28

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Tristan percorse il corridoio del Massbury Institute con passi veloci, le braccia che marciavano militarmente lungo i fianchi, il capo chino e l'espressione rabbiosa che si stringeva in scatti felini, come se gli risultasse difficile controllare i suoi istinti: infatti, tutto il suo corpo, nonostante fosse ora un fuoco alimentato dai dardi di Apollo, era stretto in una morsa impregnata di una violenza feroce, che bolliva pericolosamente nei meandri della sua anima.
Aveva deciso -grazie ad un insolito buonsenso- di uscire dalla biblioteca solo dopo che Dianna e Kristiàn si fossero dileguati per primi, scomparendo dunque nelle rispettive camere, perché era certo che se avesse notato -seppur in lontananza- la figura di Kristiàn o fiutato la sua presenza, di questi sarebbero rimaste solo briciole.
Non sapeva cosa lo stesse internamente scuotendo a tal punto da incrementare i suoi istinti violenti, e neppure voleva saperlo, perché si accontentava della consapevolezza che, qualunque cosa fosse, gli stava logorando, divorando, sfregiando e mutilando le membra.
Tritone stinse i denti, sospirò nella mascella tesa e addentò l'interno della sua guancia, sino a quando non avvertì il sapore ferroso e metallico del sangue intaccargli i denti e scivolare lungo le sue labbra. A quel punto strofinò il dorso della mano sulla bocca e sbatté il pugno contro la parete del corridoio. Avrebbe preferito fosse sera, o quantomeno il crepuscolo, per evitare di incontrare i soliti studenti malinconici ed epilettici che si riversavano nelle corsie per assorbire la luce del giorno, come falene ronzanti attorno ai lampioni.
Avrebbe preferito fosse sera perché in tal modo nessuno avrebbe potuto notare e commentare in silenzio la sua rabbia, che era certo di non essere capace di continuare a contenere per molto.
Persino i suoi stessi passi nervosi sembravano falciare il pavimento con un tonfo troppo pesante per essere sopportato, e Tritone fu dunque costretto a grugnire per concentrare la propria attenzione su qualcosa che non fosse un rumore esterno.
Ma la sua mente non poteva essere distratta in alcun modo dalle immagini che s'addossavano perentoriamente nei suoi pensieri: quella squallida biblioteca dal tanfo viscido e dal miasma di libri intonsi lasciati marcire sulle mensole, quel silenzio nauseabondo nel quale, però, lui -appartato- era riuscito a distinguere il gracchio della voce di Kristiàn, che s'affannava a trapanare la pazienza di quella sirena con superbia, succhiandole l'energia con il suo comizio a senso unico a cui nessuno avrebbe prestato attenzione, quei -doveva ammetterlo- meravigliosi occhi blu che non sapevano come reagire, che si muovevano freneticamente, quegli occhi blu tanto ingenui e fortunatamente ignari delle insidie del mondo, quegli occhi che Tristan aveva imparato ad amare, ma al contempo ad odiare perché erano la causa primaria della sua attuale instabilità. Inoltre, non riusciva a scacciare il pensiero ancora più ributtante delle braccia di Kristiàn che avevano intrappolato il corpo di Dianna, del suo fetido alito che si avvicinava a quel collo regale, di quelle labbra che la pretendevano con sfacciataggine, che volevano divorarla senza pudore, intaccando la perfezione di quella femme fatale. Non riusciva a eliminare dalla mente l'immagine di quello sguardo di cigno spaventato, di quello sguardo che implorava pietà, perché in passato era stato corroso proprio dalle sue labbra, da quelle di Tristan, che all'epoca non avevano capito quanto di più puro si nascondeva in quella bocca di rubino.
E, ancor più assurdo, non riusciva a credere che, se non fosse intervenuto in prima persona, quelle labbra putride l'avrebbero sfiorata.
Con questo pensiero furibondo, schiacciò la mano sopra la maniglia della camera del dormitorio ed entrò.
La richiuse con una veloce spallata e vi si appoggiò contro con la schiena. Lo sguardo era, tuttavia, ancora chino, o meglio, obbligato a rimaner chino, perché Tristan preferiva evitare di compiere una calda strage subito dopo aver varcato la soglia della camera.
Preferiva compierla dopo.
Afferrò il bavero della camicia di rigore, lo allentò dalla presa attorno al collo e si sfilò la giacca, appiattendola tra le mani e lanciandola in un angolo della stanza buia, il respiro breve che fluiva in una nota minacciosa.
Il flebile alone della lucerna illuminava la figura di Byron -sdraiato lascivamente sul letto con le gambe raccolte al petto e lo sguardo indeciso che correva talvolta tra le righe degli appunti di letteratura e talvolta su una lettera che stringeva tra le mani e di cui Tristan non s'interessava di conoscere la natura- e di Kristiàn.
Questi, nell'istante in cui Tritone alzò lo sguardo, non si preoccupò di riconoscere in esso le faville di un fuoco ardente, una rabbia che poteva solamente essere alimentata e non placata, ma si riversò a grandi passi davanti al suo volto, gesticolando febbrile: "Non puoi immaginare cosa è appena successo! Io... l'ho detto anche a Byron, ma non mi crede. Guarda, è lì sdraiato come una sogliola sul letto e non mi vuole ascoltare, non vuole!" Poi riprese il respiro, portò le mani ai fianchi per esprimersi con più calma e disse: "In biblioteca, poco fa è succ..."
"Sta' zitto. So cos'è successo." Tristan si obbligò a raggiungere la piccola finestra e a guardare il paesaggio nebbioso che s'apriva oltre le imposte, nella speranza che questo lo avrebbe persuaso dall'idea di mettere fine alla vita di un umano diciassettenne.
Ma Kristiàn continuò imperterrito: "Tristan, n-no!" Portò le mani alla testa in un gesto sconvolto. "Non puoi mai immaginare cos'è successo! C'era anche Dianna e la terra... i libri... tutti sul pavimento..."
Fu un istante.
Il movimento fu repentino, più fulmineo di una saetta, più truculento e furente di un aereo da guerra: Tristan si voltò, la chioma dorata che si scompose in ciocche scarmigliate, sferrò un calcio contro una sedia e la gettò a terra; poi afferrò il bavero della camicia di Kristiàn nel pugno, scaraventando questi contro la parete.
Il ragazzo trasalì e portò convulsamente le mani al collo nel tentativo di liberarsi dalla stretta del compagno, ma la sua energia in difesa venne meno. Spalancò pertanto gli occhi, e in essi rilucette uno sguardo terrorizzato, quando il viso di Tristan si fece pericolosamente più vicino al suo.
Persino Byron, altrimenti dormiente su quel pezzo di carta che reggeva in mano, alzò lo sguardo, allarmato. "Amico, calmati..."
Tristan, che respirava ad una spanna dal volto di Kristiàn, il naso arricciato rabbiosamente, spostò lo sguardo verso Byron. "Vuoi unirti anche tu?"
"So difendermi. Non sono come il criceto Kristiàn che..."
"Allora vieni pure, così lui fa il criceto smembrato e tu il topo mutilato."
Byron arretrò sul letto e tacque, ritirando ogni proposta e decidendo saggiamente di eclissarsi dalla vicenda, forse per timore o forse per altro.
Tristan tornò a guardare Kristiàn: il suo pugno era schiacciato contro il suo collo e gli teneva serrata la mandibola, impedendogli ogni parola e respiro.
Nessuno avrebbe saputo dire se inquietavano più i muscoli delle sue braccia che si rilevavano fiammanti sotto la pelle o i suoi occhi che laceravano la compostezza. Dopodiché, si fece ancor più vicino al viso di Kristiàn. "Ringrazia il tuo buon Dio per non essere già morto e seppellito."
Kristiàn provo inutilmente a deglutire l'amaro in gola.
Tristan rimase a fissarlo per un istante, le ceneri del respiro che s'alzavano come fumo dalle fiamme. Poi strigliò tra i denti: "Stai lontano da lei."
Kristiàn aggrottò le sopracciglia: era decisamente spaventato dalla forma distorta del suo viso sotto i bagliori della lucerna, e da quegli occhi così chiari e trasparenti che raffreddavano i suoi sensi. Provò a parlare. "Che... cosa... v-vuoi... dire...?"
Tristan strinse maggiormente la presa attorno al suo bavero, lo attirò a sé e poi lo spinse nuovamente contro il muro, e se la testa di Kristiàn avesse potuto parlare avrebbe indubbiamente urlato dolorante. "Ti ho detto," scandì le parole, "di stare lontano da lei."
"Lei c-chi?"
Tritone esplose in un urlo raccapricciante. "Dianna!"
Byron, alle loro spalle, alzò un sopracciglio, confuso: evidentemente non disponeva di tutti i tasselli del puzzle per capire le sue parole.
Kristiàn provò a dibattersi. "E... p-perché...?"
"Non fare domande. Non sei in una posizione per permetterti di chiedere spiegazioni."
"Tu..." Kristiàn chiuse gli occhi per evitare di notare la conseguenza che le sue imminenti parole avrebbero comportato, "sei... ge...lo...so..."
Gli occhi di Tristan lampeggiarono stupefatti: non aveva mai preso in seria considerazione l'ipotesi della gelosia, sentimento troppo umano e distante da lui, perché questo derivava necessariamente dall'amore nei confronti di una persona, e lui non credeva -o forse non accettava- di poter essere tanto debole da cadere in quella trappola.
Ma si riservò un momento di riflessione per domandarsi la veridicità di quell'ipotesi.
Dopodiché affondò nuovamente gli artigli nel collo di Kristiàn. "Cosa vorresti insinuare, bastardo?"
"Tutti... ambisco...no... a lei." Kristiàn risucchiò ansimante il respiro.
"Tutti ambiscono... come sei sciocco, ottuso! Tutti ambiscono..." ripeté scioccato Tristan, "come se fosse un trofeo, la medaglia della tua ennesima vittoria, ma allora lasciami dire che non comprendi neppure l'ombra dell'animo femminile. Sei cieco." Poi, le sue parole, improvvisamente -senza neppure essere controllate- dissero: "Le donne vogliono essere amate."
Kristiàn aprì per un istante gli occhi: guardò quel volto rabbioso davanti a sé e si armò d'audacia per dire: "E tu? La ami?"
"Chiudi quella bocca." Tristan dissentì dal pensiero nauseabondo che lo spingeva a prendere in considerazione quelle parole. Poi afferrò il collo di Kristiàn, lo sbatacchiò a destra e a manca per riservarsi ancora un momento per deplorare quel viso anziano d'ignoranza e ripeté, questa volta a gran voce. "Ti giuro sul mio nome che se ti vedo ancora muovere un passo verso Dianna Cox, non avrai più il piacere di rivedere la luce del sole." E poi ancora: "Stai lontano anni luce -giusto per usare un'espressione che potresti comprendere meglio- da lei."
Kristiàn sbatté per un attimo le palpebre, ma tacque.
Tristan urlò e lo sollevò in aria. "Hai capito?"
Il ragazzo si limitò ad annuire freneticamente, la mandibola che tremava e gli occhi che balzavano a spasmi dal terrore. "S-sì... starò lontano da lei, ma... ora... la...sciami, sto sof-focando..."
Tristan abbandonò la presa attorno al suo collo e Kristiàn collasso a terra. Lo vide allungare le mani verso il proprio collo e constatarlo dolorante, per poi rincantucciarsi in un angolo della camera.
Fu a quel punto che Tritone troneggiò su quella minuta figura e la guardò con disprezzo, soffocando un respiro incredulo. "E tu," tuonò. "E tu dovresti meritare quella meraviglia, quando non hai neppure il coraggio di lottare per lei?"
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Finalmente l'incontro tête-à-tête tra Tritone e Kristiàn! Vi piace il Tristan geloso? E le sue parole?
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Nei prossimi capitoli tante nuove novità, si sta per entrare nel vivo!
Grazie mille come sempre!

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