Tristan correva. Nonostante il momento esigesse passi frenetici e respiri ansanti, egli continuava comunque a conservare la sua garbata grazia virile e possente. I suoi movimenti, infatti, erano decisi e sicuri. Nella sua corsa non erano impressi tentennamenti: sapeva che avrebbe raggiunto Dianna. E ora la vedeva, lì, in fondo al corridoio in penombra, che raccoglieva i lembi della sua veste tra le mani per impedirsi di inciampare. I capelli fuoco s'agitavano con irruenza, fendendo l'aria, quando il capo della sirena si voltava febbrile in ogni direzione per trovare una via di scampo. Tritone la vide tentennare. Poi Dianna svoltò a destra, in uno stretto andito dal pavimento incurvato, dimenando i fianchi e lasciando di tanto una fugace occhiata alle sue spalle, per poi correre sino al pericolo quando constatava di avere Tritone tremendamente vicino. Dopodiché, i piedi nudi della ragazza corsero schizzanti fino ad un pianerottolo in legno che si snodava poi in una scala contorta e senza parapetto, la quale conduceva ai sotterranei del Massbury Institute, un vecchio carcere rinsecchito e oramai inaccessibile per il suo tanfo di morte.
Senza dare nell'occhio e senza donare a Dianna un motivo per placare il suo terrore, Tristan rallentò la corsa per scrutare la sirena. Trasalì nel notarla zampettare sulle scale, posando le punte dei piedi affusolati su ogni gradino e addentrandosi nel buio viscido e gelido di pareti avvizzite e incrostate di una muffa verdognola. Tritone si scoprì sorpreso: la sua presenza era tanto terrorizzante da indurre una fanciulla graziosa come quella sirena a fuggire verso le antiche celle dei condannati a morte americani?
Silenziosamente, ammirò il suo coraggio.
La guardò ancora, inclinando il capo: la veste perla della ragazza si alzava sotto le folate sollevate dalla corsa e le gambe bianche e nude abbagliavano gli occhi dell'attento seduttore di un'eccitazione manesca. Tritone vide Dianna schiudere e sigillare le labbra convulsamente, assorbendo piccoli e rapidi respiri, sotto il sobbalzare tonante del suo petto fiorente. La vide anche allungare una mano e acciuffare l'aria, nell'invana speranza di reggersi ad un corrimano che non c'era.
Dianna era in bilico, vicina a brancolare nel buio vuoto. Ma continuava imperterrita a correre, decisa a scampare ad un finale che, però, era già stato scritto.
Tristan pensò che nella sua paura, nel suo timore e nella sua ingenuità, Dianna fosse la creatura più bella avesse mai visto.
La seguì.
Tritone scese le scale a granzi balzi, velocemente. Ogni passo era una nota cupa di un ritmo modulato.
Era vicino a lei.
Solamente quattro gradini distanziavano i loro corpi.
Avrebbe potuto allungare una mano e afferrare una ciocca di quei capelli scintillanti come i dardi del sole al tramonto sull'oceano, ma non lo fece: Tristan voleva sentire ancora e ancora i sospiri acuti del cuore di quella creatura. Voleva sentire la paura che provava per lui.
La giacca nera dell'uniforme di Tristan si spiegava fluttuante nell'aria, in una scia di tenebra. La camicia, invece, non resse il peso della sua corsa e si aprì a mostrare il suo petto florido e giovane, quindi i bottoni si gettarono nel vuoto e rotolarono sulle scale.
Uno ad uno.
Un bottone incontrò la caviglia sottile della sirena e s'infilò sotto il suo piede nudo.
Inevitabilmente, Dianna scivolò.
Ella emise un urlo che riverberò tra le pareti, lasciando un'eco che scemò esoterica in sottofondo.
E Dianna precipitò lungo la rampa.
Tristan vide il suo fragile e meraviglioso corpo sinuoso avvolgersi derelitto su se stesso. Vide anche Dianna allungare vanamente un braccio a stringere un corrimano assente, nella speranza di trovare un appoggio che potesse allontanarla da quel vuoto pericoloso nel quale si accingeva a precipitare, senza alcuna forma di salvataggio.
Le sue fragili mani -notò Tristan- si aggomitolavano attorno al suo capo in un'intima protezione, ma il ritmo della caduta non intendeva quietarsi.
Le grida soffuse della sirena si rompevano ad ogni colpo del suo corpo contro i gradini.
Dianna sembrò scheggiarsi, come un diamante prezioso, raro, ricercato e lucente che perde il suo pregio.
Poi, il suo corpo, nel capitombolare incessante e frenetico, deviò direzione: si avvicinò sempre di più verso il vuoto, dove la rampa delle scale confinava con la linea immaginaria e inesistente di una balaustra e di un parapetto che non c'erano.
E cadde nel profondo, verso la rampa di scale al di sotto.
Tristan sapeva che, qualora Dianna avesse subìto il forte e potente impatto di quell'ennesima caduta, la sua meravigliosa, innocente, bianca e illibata pelle si sarebbe sfaldata.
Sapeva che la sua vita accorreva sempre più al pericolo, ad ogni istante trascorso nel precipitare e nel perforare l'aria.
Pochi istanti e sarebbe atterrata sui gradini.
A quel punto, Tristan saltò.
Balzò, come uno sparviero che spiega le ali e si leva in volo.
Si gettò di sotto.
E raggiunse con abilità la rampa di scale prima di Dianna.
Per quanto Tristan fosse crudele, vendicativo, forse insensibile e probabilmente duro come il cuore di pietra incastonato nel suo petto maturo, non avrebbe mai permesso che la vita di quella suadente e ingenua sirena che tanto aveva fatto perire e che tanto aveva però ammirato fosse strappata con crudeltà.
L'empietà di Dianna non meritava di essere punita con la morte.
Dunque, poco prima che il suo corpo delicato s'avvolgesse sulla scala inalando l'ultimo respiro, l'afferrò in volo tra le braccia e la strinse al proprio petto.
Respirò il sentore inebriante dei suoi capelli fiamma, pari al soffio della Musa più attraente; s'ubriacò anche della bellezza del suo volto, i cui lineamenti erano ora tesi in una morsa di attesa, come se Dianna sapesse che di lì a poco avrebbe sfiorato la morte. Guardò le sue palpebre, che si aprivano e si chiudevano convulsamente, assottigliando la nitidezza di un'immagine che appariva sfocata. Vide le sue guance tremare, intirizzirsi sotto la crepa di un freddo che le veniva dal cuore. Dianna s'aggrappò con vigore al suo torso nudo, cercando vanamente di stringere tra le dita il tessuto della camicia slacciata oramai svolazzante lungo le spalle del giovane.
S'aggrappava con forza.
Come se il petto di Tritone fosse il suo unico appoggio.
Tristan la vide chiaramente in viso.
Aveva paura.
In tutti i suoi anni di addestramento, gli era sempre stato insegnato che la paura è il mostro più persuasivo per il fallimento.
E allora perché, pensò, Dianna era comunque così bella?
Avvolse un braccio attorno alle sue ginocchia e un altro attorno alle sue spalle, portandola al suo petto. Istintivamente, le sue labbra non ebbero freni inibitori per pronunciare: "Stai bene?"
Fu al suon di quella voce che Dianna spalancò gli occhi.
Sembravano lampeggiare delle sfumature della crisocolla più abbagliante.
Le sue dolci labbra tremarono. Bofonchiò qualche parola distratta e levò lo sguardo su Tritone.
Immediatamente, s'irrigidì e si dibatté dalla stretta di Tristan, allontanando le mani da quel petto al quale fino a qualche istante prima si sosteneva con tanto fervore. "Lasciami, balordo!"
Ma Tristan la strinse ancora di più: ora, le sue osservazioni e le sue riflessioni furono sostituite da un sorriso beffeggiatore, che sfoggiò con la consapevolezza di scatenare una profonda rivolta della dignità di Dianna. Adorava osservarla adirata. Adorava il rossore di rabbia sulle sue guance.
"Lasciami, ti ho detto! Lasciam..." Ma i suoi lamenti furono spezzati: Tristan, con il gesto rapido di una mano, le aveva già afferrato i polsi e li aveva stretti tra le dita. Poi, la strattonò. E i loro petti si incontrarono.
Tristan spalancò gli occhi ghiaccio e la guardò. Nel buio corposo della sera, quegli occhi, quei dannati occhi, erano più abbaglianti dei lampi di Zeus. "Non dovevi. Non dovevi proprio. Tentare di uccidermi... piccola canaglia..." E, ghermendo i fianchi di Dianna con una facilità tale che fece presagire li conoscesse bene come il proprio corpo, la gettò sulla propria spalla e girò sui tacchi. Alzò fieramente il mento e ignorò i continui pugni e colpi di donna contro la sua schiena possente, iniziando a percorrere a ritroso le lunghe scale, indifferente alla consistenza melmosa del buio che s'addossava stantio sulle pareti.
"Lasciami, ti ordino!" urlò Dianna, e Tristan sentì la sirena trafficare con il tessuto della sua camicia e alzarlo, per graffiare con gli artigli affilati la sua schiena, irosa.
E lui rise. "Non graffiarmi con la convinzione di indolenzirmi. Mi stai solamente eccitando da morire."
Dianna ritirò le unghie acuminate, la voce che balzava a ritmo con i grandi passi di Tritone sulle scale. "Che significa?"
"Lo vedrai presto."
"Che significa? Dove vuoi portarmi?" Dianna sembrò spazientirsi e continuò ad agitare le sue mani contro la schiena del dio. "Tritone, dove vuoi portarmi?" urlò poi.
Tristan arrestò per un istante la sua corsa e analizzò l'eco di ciò che aveva appena udito: lo aveva chiamato per nome. Il suo vero nome. C'era qualcosa di tremendamente affascinante nella sua voce, nel sottile soffio del suo respiro e nel delicato schiudersi delle sue labbra per pronunciare il suo nome.
Dianna aveva pronunciato il suo nome, quell'appellativo così personale, che gli apparteneva.
Così, in qualche modo, ora anche lei gli apparteneva.
Ma quella maledetta sirena era così irraggiungibile, complicata da ghermire.
E Tristan amava le sfide difficili, quelle lottate sino all'ultimo sangue.
"Dove mi stai portando? Rispondimi!"
"Prima dovrai rispondere tu a qualche mia domanda." Nel frattempo, Tristan aveva raggiunto nuovamente la luce soffusa dei corridoi e si stava avviando a grandi passi verso la sua stanza, tamburellando con le dita sui polpacci nudi di Dianna, divertendosi di tanto in tanto a solleticarli con carezze delicate per ricevere in risposta pedate e calci caotici.
Dio, era così stuzzicante averla tra le braccia!
Riusciva a sentire il suo petto armonioso premere contro le proprie anche, e ciò gli donava una sensazione intrisa dell'ebbrezza più impudica.
Quando aprì con un calcio la porta del suo dormitorio, scaraventò Dianna sul suo letto e gattonò lentamente verso la sua figura, con le movenze del felino più vorace.
I capelli della sirena si sventagliarono disordinati sul lenzuolo, la pelle illibata si imporporò infuocata ed il sangue fluì pompante sul candore del suo viso, colorandole le curve delle guance. I grandi occhi blu si nascosero sotto il tremore delle ciglia e le piccole labbra si schiusero a catturare respiri concisi. Dopodiché, gli occhi di Tristan si spostarono sul petto di Dianna: i suoi seni sobbalzarono e la veste da camera si sollevò, rivelando la pelle accapponata ed increspata delle cosce bianche.
Tritone cedette all'istinto: alzò una mano e le sue dita scesero a carezzare la sua gamba, avvertendone sotto i polpastrelli la dolcezza e la morbidezza.
Quindi Dianna chiuse le ginocchia e vagò con le mani a cercare a tentoni l'orlo della sua veste per coprire le sue gambe nude.
Ma Tristan le afferrò la mano, le strinse il polso e riaprì la stretta fessura delle sue ginocchia, affinché il proprio bacino potesse premere svergognatamente contro quello di Dianna. Poi si chinò sul suo viso ed il suo calore si propagò come una minaccia sulla pelle della sirena. Il suo respiro, infatti, le arse la pelle e le sue ciocche bionde scapigliate le solleticarono la giugulare, quando Tristan si chinò a sfiorare il collo della sirena con le labbra seduttrici. "Davvero credevi di potermi uccidere? Davvero sei così... -come dire?- stupida? Io sono immortale. Vivo e regno dall'età micenea e ho visto crollare dinastie, regni, imperi. Ho visto fallire Atene, ho visto fallire Sparta. Ho ammirato Alessandro Magno e ho visto Roma, la grandezza della sua estensione. Ho visto Attila e la sua spietata fama di gloria. Ho vissuto in secoli, millenni. Ho notato il piede umano errare e nazioni fiorire. E ora arrivi tu, sciocca... con la presunzione e la dannata convinzione di mettere fine a quello che il figlio di Crono, mio padre, ha generato. Ovvero me. Sei davvero... bella quanto ingenua," pronunciò tra le labbra, con una sottile enfasi teatrale che rese le sue parole ancor più impregnate di veridicità.
Dianna, nei suoi tentativi di sfuggire da quel corpo che le bolliva sopra, posò una mano sulla spalla di Tristan e scostò il capo, affondandolo sul cuscino. "Tu mi... perseguiti."
"E dici bene, mia cara sirenetta." La sua voce esplose come un boato sordo nella stanza immersa nella penombra della notte che si stava accingendo a fare il suo ingresso. "Ho le facoltà per farlo. Sono stato allenato per arrecare dolore ai disertori. Vuoi sapere come, umh?" E prese il mento della sirena tra le mani e lo indirizzò al suo volto.
Dianna scosse il capo e posò la sua fragile mano sul polso di Tristan, ma quando avvertì sotto le dita il flusso pulsante del sangue nelle sue vene, lasciò ricadere lasciva il braccio sul letto, arrendevole.
La sirena aprì gli occhi, lentamente, e Tristan avvertì un formicolio nel petto quando quelle iridi mare sembrarono scrutare dentro la sua anima. Infatti, il suo sguardo correva veloce da un occhio all'altro. "Ho forse modo per evitare le tue parole."
"No."
"Allora parla."
Tristan iniziò e socchiuse le palpebre. Decise di concentrarsi, quindi carezzò con le dita il petto, i fianchi e le gambe di Dianna.
Perché, come magicamente, quella pelle sembrava infondergli un'energia pari all'ambrosia più squisita.
Parlò: "Perché anche perseguitarti, per me, è fonte di divertimento o passatempo. Basta guardarti. Ti arrabbi, poi soffri, dopodiché fingi indifferenza e vuoi lasciar trapelare il tuo orgoglio di donna. E credimi, osservarti è così affascinante," disse sussurrando. "Inoltre, sono stato allenato per questo. La raffigurazione di divinità sdraiate oziamente sui loro divani e inette in qualsiasi tipologia di impiego è stata per me sempre fonte di disprezzo. Sono un dio. E mai nella mia esistenza ho consumato attimi di libertà giacendo in pigrizia nel mio regno. No. Non amo l'inerzia e la passività. Ho sempre allenato ogni mio senso: la mia mente, la mia forza, la mia brama di cultura, di sapere e la mia prontezza nelle gesta hanno sempre trovato un campo di sfogo. Non amo neppure la tranquillità." Dopodiché, prese una ciocca dei capelli di Dianna e la portò al petto nudo, constatandone la morbidezza sulla pelle. "Ho sempre vissuto ogni istante con energia. Sin dalla più tenera età, mi sono ribellato ad ogni volere dei miei genitori: mia madre, la nereide Anfitrite, sosteneva che dovessi vivere l'infanzia in un clima pacifico, alimentando conoscenza e saggezza con canti, miti, dottrine e amore per la cultura. Ma io ho sempre alimentato la mia cultura a mio modo. Ho sempre esonerato la mia fanciullezza dall'apprendere con assennatezza e criterio, sdraiato su un'ottomana e allietato da dolci peani. No. Ho aveva sempre voluto istruirmi in campo. In battaglia. Per me, non c'era altra soddisfazione se non quella di apprendere l'arte della guerra. Sono un combattente. Non ho mai indossato corone d'ulivo per mostrare la mia virtù eroica. Ho sempre indossato schinieri, scudi, daghe ed elmi per mostrare la mia forza." Sospirò, passando poi in tacita ammirazione il pollice in una carezza sopra le labbra della sirena. La vedeva stranamente avvinghiata alle sue parole. Quindi continuò: "E mio padre Poseidone, d'altro canto, spinto dalle richieste di mia madre che lo supplicava abbracciando le sue ginocchia, non aveva potuto far altro che tentare di reprimere i miei istinti gagliardi e vigorosi. Aveva sollevato il capo dell'esercito del suo regno dall'incarico di allenarmi alla guerra. Ma io abbrancavo ugualmente la spada e partivo in un'esercitazione solitaria. Dopodiché, mio padre si era arreso. Aveva compreso che i miei determinati voleri erano irrefrenabili. Così, quando crebbi in forza e vigore, mi lasciò libero di visitare il mondo umano. Ma certamente non sapeva come la mia energia esuberante mi potesse impegolare nei guai." E lo sguardo di Tristan si levò su quello di Dianna.
Occhi su occhi.
Sguardo su sguardo.
Oceano su ghiaccio.
Tritone si chinò sulle sue labbra.
Le sfiorò.
Ma decise di non privare loro della purezza con il suo assalto esperto.
"Ora capisci perché non posso fare a meno di perseguitarti? Ora lo capisci? È nella mia natura, Dianna."
La sirena deglutì e avanzò una risposta. "Anche farmi soffrire è nella tua natura? Anche vedermi distrutta ti lascia gioire?"
"Sì."
"Perché?"
"Perché non provo alcun sentimento positivo verso terzi. Solo per me. Sono stato abituato all'egoismo, all'egocentrismo e all'attacco. Attacco con un'ira spietata se mi viene richiesto. Non mi tiro indietro ad un ordine di mio padre. Mi ha chiesto di riportarti indietro al più presto e io ho risposto dicendo che avrei adempiuto al suo volere facendoti, però, prima pentire della tua sciocca decisione." Tristan sembrò serio.
Dianna alzò il capo, provando a liberarsi dalle sue braccia. Ma lui la tratteneva sul letto. Quindi incontrò solamente il suo petto. Lo guardò negli occhi. "E non è troppo aspra questa vendetta? Non si è conclusa?"
"No."
"Non c'è un modo per frenare la tua rabbia? C'è qualcosa che possa placare la tua vendetta?"
"Sì, c'è."
"E che cos'è?" domandò Dianna.
"Un sentimento che io non ho mai provato."
"Quale?"
Tritone sospirò, la pazienza che sembrava scemare. "Sei così insistente..."
"Quale sentimento è?" urlò la sirena.
Ma Tristan non rispose.
**********************
So che molte di voi si aspettavano un bacetto, ed io sono sadica. Muahahah.
Tristan sta cedendo... le prime dimostrazione di una briiiiiciola, di una briiiiiciola di amore si sono fatte vedere.
Secondo voi qual è il sentimento di cui parla? È molto semplice...!
Giorni fa si è rotto il mio computer, quindi sarò costretta a scrivere e a pubblicare i capitoli dal cellulare. In caso di ritardi -in cui spero di non incorrere- vi prego di comprendermi.
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L'inevitabile attrazione
FantasyUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...