Capitolo 48

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L'esercito, grondante di sudore, si schierò stremato e ridotto dagli stenti davanti a Tristan, mentre il dorso del mare uggiolava nelle vicinanze.
Il nuovo giovane e fascinoso capo dell'esercito era guardato da Kassandros con occhio attento, perlustratore e osservatore, e da Dianna con sguardo rapito e infuocato dalla forte e intagliabile passione dell'attrazione.
Poseidone, invece, si era dileguato con la rabbia di chi, rinchiuso in trappola e umiliato, prova a fare ricorso ad un'astuta vendetta: infatti aveva scostato dal petto il lembo del suo chitone bianco che pendeva dalla spalla e aveva battuto in ritirata, immergendosi con foga nel mare.
La figura di Tristan brillava come un nuovo sole, come la prima falce della luce crescente, come una stella in cielo che illuminava il mondo con i suoi bagliori maturi: egli si avvicinò ad uno dei soldati allineati in prima fila e posò un dito sotto il suo mento. Lo osservò con attenzione e i suoi occhi acuti descrissero le gote scavate, gli zigomi macchiati dalla lordura e il collo imbrattato di sudiciume, per poi scendere a scrutare il petto poco infoltito. Seguì la stessa procedura con altri tre uomini, che Tristan ispezionò con silenzio, il quale, però, faceva rintronare l'intero schieramento del fragore della sua dissidenza. Dopodiché, Tritone disse, senza voltarsi: "Questi uomini mangiano o si nutrono della luce del sole che batte sempre sulle loro schiene?"
Kassandros percepì l'ira nella sua voce e Dianna lo vide serrare le labbra per evitare di rispondere.
Tristan afferrò un altro uomo per un braccio. Gli fece fare un passo avanti e gli girò attorno. Fece scorrere il dito sulla sua spalla e raggrinzì il naso: vide la pelle ustionata che perdeva vigore, sgretolandosi come un intonaco vecchio su un muro marcio, per poi notare sotto l'elmo i capelli rinsecchiti e le ginocchia sbucciate, dove il sangue si raggrumava a fatica in una grande chiazza scarlatta che perdeva però il suo effetto curativo quando la polvere ne assediava i contorni.
Dianna vide Tritone rabbrividire e pensò quanto dovesse dolere il suo cuore nel vedere un corpo ammaestrato per la guerra piegato in quello stato pietoso.
Mentre Kassandros sembrava chiudere gli occhi, stringere le mani in grembo e respirare affannosamente nel timore che il suo amico sfuriasse ringhiando, Tristan passò in rassegna un altro uomo: gli toccò la corazza in lana dalle false sembianze del bronzo, di cui aveva solamente una rivestitura scheggiata, e mosse il piede verso gli schinieri, tastandoli con un calcio leggero che bastò a farli cigolare sotto l'impatto. Tristan sospirò: "Queste panoplie non sono resistenti, sono vecchie e malridotte armature oplitiche risalenti all'età micenea. E questi scudi..." Ne prese uno dalle mani del soldato che stava ispezionando e lo controllò in controluce. Poi lo lanciò a terra con impeto. "Cosa ce ne facciamo di questi scudi... di vecchi oplon dove le impugnature stanno per crollare?"
L'esercito trasalì, non riuscendo probabilmente a comprendere per quale ragione il nuovo comandante stesse svalutando la potenza millenaria di scudi descritti in ogni tragedia e in ogni opera, dagli scritti omerici ai poeti ellenistici.
Dopodiché, Tritone tuonò: "Posate a terra gli scudi."
I soldati obbedirono con perplessità.
Tristan si avvicinò ad un altro guerriero, l'ultimo della prima fila che occupava l'estremità orientale, e anche i combattenti schierati nelle altre righe poterono osservare il maestoso figlio di Poseidone. Tritone sfilò l'elmo dalla testa dell'uomo e lo fece balzare tra le sue mani, scaraventandolo dal palmo destro a quello sinistro, dal palmo sinistro a quello destro. "E questi elmi corinzi? Da dove avete ricavato queste creste nere e dorate? Dalle code spezzate di cavalli morti?" E lanciò l'elmo a terra con disgusto. "Sono certo che mio cugino Efesto non approverebbe." Si voltò nuovamente verso il soldato e gli ordinò con voce ferma. "Dammi la spada."
Il combattente obbedì e gli porse la sua daga.
Tristan prese la spada e notò le lame corrose dal fuoco ardente del sole; decise di testare la loro resistenza: ne afferrò le estremità con entrambe le mani e vi esercitò una pesante pressione per spezzarla.
La spada si ruppe.
Tritone scosse il capo e increspò le labbra, per poi allungare la mano e farsi porgere una lancia. La soppesò e la rigirò tra le dita. "Queste lance non sono lunghe neppure nove piedi. Le usate per combattere o per alzare i ventagli intarsiati con cui le ancelle rinfrescano il trono di mio padre? Non posso resistere oltre." Sbatacchiò la lancia a terra e arretrò di qualche passo, in modo da visionare l'intero esercito steso dinanzi a sé. Poi urlò e la sua voce rimbalzò contro le pareti invisibili dell'aperto campo d'addestramento. "Questo è un insulto alla gloria della guerra, all'orgoglio greco e all'ardore di uomini nati per combattere." Camminò e sembrò misurare a grandi passi il perimetro del campo.
Intanto Kassandros, alle sue spalle -scrutato solamente dagli occhi di Dianna- scuoteva il capo con rassegnazione, perché l'evento che aveva tanto paventato si era avverato.
Tristan annunciò: "Spogliatevi e rimanete solamente con le tuniche, non voglio vedere residui di queste armi tra le vostre mani." Poi si voltò. "Kassandros, dai ordine di radunare tutte le armature, le lance, le daghe, le corazze, gli scudi e gli elmi e fai ardere tutto nei bracieri reali."
Kassandros fece per replicare.
Tritone lo interruppe: "Fa' come ti dico. Più tardi mi occuperò io stesso di rifornire l'esercito. E, -ah!- fermo, non ho finito." Alzò un dito per richiamare l'attenzione di Kassandros, che era già partito per estendere l'ordine agli altri generali. "Voglio che sia preparato un bagno tonificante alla salvia per ciascuno di questi uomini."
"Per ciascuno, Tritone?" Kassandros sbarrò gli occhi. "Sai che le terme di questa zona sono sotto il diretto controllo di tuo padre e sai anche che egli non ammetterebbe mai che..."
"L'esercito ora lo addestro io." Tristan si avvicinò a grandi e lente falcate, il capo chino e lo sguardo che si alzava con l'intensità di un puma. "Dei voleri di mio padre non mi importa. Ora la mia parola è legge. Questi uomini devono essere lavati." Dopodiché, notò un soldato trarre un rumoroso sospiro di sollievo e si voltò scattoso come una lince. "Tu, uomo!" Guardò il soldato. "Non mi guardare con quegli occhi trasognati, non sono sempre così munifico e prodigo. So essere aspro e severo. In futuro non aspettarti un bagno rigenerante ad ogni tramonto. Sei qui per allenarti alla guerra, non per far ancheggiare il bacino."
Il soldato deglutì e un intruglio di onta solcò il suo pomo d'Adamo, per poi scendere dentro il suo stomaco bruciante.
Kassandros fu costretto ad obbedirgli senza alzare voce in capitolo. Annuì con un sospiro e sembrò ravvisare negli occhi dell'amico quel vecchio guerriero che aveva sempre ammirato nelle gesta. Prima di dileguarsi, però, si avvicinò a Dianna e le disse: "Tritone è un giovane dalla cultura squisita, dall'insanabile curiosità e dall'invidiabile saggezza. Ma dietro quegli occhi si nasconde anche un generale barbarico, uno sterminatore dall'ira folle e irriducibile che punterebbe la lama della lancia più affilata alla gola di un uomo con il solo scopo di addestrarlo e di prepararlo alla guerra. Se vuoi amarlo, accettalo in ogni sua sfumatura. È un leone che nessuno è mai riuscito ad ammaestrare."
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Poseidone, mordendo irrequieto il respiro, era tornato a sedersi sullo scranno dorato, nel suo palazzo, i cui muri erano di madreperla, con decorazioni di corallo e di gemme. "Tritone non rispetta il mio titolo di re. Sdegna il mio trono e sminuisce i miei poteri."
Anfitrite, seduta sul trono alla sua destra, allungò una mano oltre il bracciolo e si fece versare da un coppiere qualche goccia di ambrosia nel suo calice. Sorseggiò il liquido per un istante e poi, quando il suo palato si fu rinfrescato, schiuse le labbra e disse: "Tritone è abile nella guerra. Sa come muoversi. Non agirebbe mai a sproposito in simili situazioni. Non ci ha mai deluso, e tu lo sai."
"Non ci hai mai deluso?" Poseidone ripeté le parole della moglie con un borbottio indignato, sbattendo il pugno sul bracciolo dello scranno e allontanando il busto dal suo schienale. "Più volte sono stato costretto a velarmi il volto davanti all'Olimpo per la vergogna che i suoi comportamenti da avventuriero senza freni e raziocinio hanno suscitato in me!"
"Quella è l'altra faccia della medaglia di nostro figlio!" Anfitrite si alzò e nuotò davanti a Poseidone, con una robusta corazza trasparente per ripararsi dalle parole del marito.
"Nostro figlio ha troppi lati che io ancora non conosco."
"E ora ti sta mostrando il suo lato forte, invincibile, battagliero, agguerrito, il suo lato di giovane comandante bello, robusto ed esperto che non vuole farsi vincere o calpestare, neppure se ciò implica il rischio di entrare nelle fauci dei Titani." La regina restituì il calice vuoto al coppiere e alzò con sicurezza il mento davanti al marito.
"Parli bene, Anfitrite! Bugiarda e contraddittoria è la tua bocca! Sei stata tu -tu!- mille anni fa ad abbracciare le mie ginocchia per chiedermi di placare le energie di tuo figlio e per supplicarmi con occhi di cristallo di indirizzarlo all'arte e alla cultura del nostro mondo per distoglierlo dalla guerra! E proprio tu," Poseidone si alzò e la sua imponente mole fece arretrare la moglie, "ora, rimangi le tue parole, donna insolente!"
Anfitrite alzò la voce per non mostrarsi soggiogata e prese a gesticolare, mentre i capelli castani s'aggrovigliavano con più lucentezza sulle sue spalle. "Ho sempre cercato di prendere le redini dell'indole di Tritone, ma sin dalla fanciullezza mostrava di mordere i freni, sfoggiava quell'impazienza bollente che rende morboso l'animo di chi non esercita la propria forza nel campo di battaglia. Non posso cambiare ciò che lui è diventato. Posso solamente accettarlo."
Una voce si alzò poco lontano. Bentesicima sedeva sulla sua grande poltrona regale, la pinna lunga e lucente che brillava con la stessa intensità con cui il suo sguardo magnetizzava le acque. Posò un gomito sul bracciolo della poltrona e resse il proprio capo con l'indice, in una profonda riflessione. "E voi lo accettate, madre? Ci siete riuscita? Siete orgogliosa di aver partorito un dio che..."
Al fianco della giovane, sua sorella Roda si sporse e le prese la mano per intimarle di tacere. "Bentesicima..."
Quest'ultima alzò il vento e sventagliò superbamente la mano. "Taci e lasciami finire." Poi si rivolse nuovamente alla madre: "Siete orgogliosa di aver partorito un dio che avete visto crescere come uno sterminatore che segue ideali arcaici?"
Anfitrite studiò la figlia e rispose al suo netto tono di sfida con una voce altrettanto pungente. "Sì, ne sono fiera, Bentesicima, perché ho partorito il guerriero che tutti gli essersi viventi del mondo, dei mari e delle viscere della terra hanno sempre ambito a diventare."
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Dianna s'affacciò all'uscio della porta, i capelli ancora insabbiati e la pelle pallida e delicata che sembrava sbiancarsi per permettere agli occhi mare e ai capelli fuoco di spiccare su tutto il resto, tantoché anche per il più distratto osservatore sarebbe risultato impossibile non scorgere quella creatura di gemma. Ma non per Tristan, la cui attenzione era tremendamente impiegata in qualche recondito pensiero che lo portava a nuotare assorto attorno ad un piccolo scrittoio di legno sorretto da un basamento, dietro il quale sedeva uno scriba, affaccendato ad incidere una tavoletta con una lunga stilo appuntita ciò che le parole del suo comandante dettavano.
Tritone nuotò verso una piccola finestra a muro e si resse al davanzale con le braccia forti, osservando le ombre sfaccettate di colori che il gran palazzo di Poseidone proiettava sulla sabbia.
Lo scriba alzò il capo e attese nuovi ordini.
Tristan portò una mano al mento, poi si voltò: "Scrivi quanto ti dirò, Friderikos. L'esercito necessita un nuovo equipaggiamento, quindi tu, stasera, farai in modo che le mie richieste giungano ai più abili fabbri dell'Eubea, intesi?"
Friderikos annuì e la sua folta chioma ramata di espresse in un disciplinato segno d'assenso.
"Voglio armature macedoni."
"Macedoni, signore?" Friderikos alzò lo sguardo. "Vostro padre ha sempre elogiato la grecità nella guerra e..."
"Non ho chiesto il tuo parere."
Lo scriba tornò alla tavoletta, vi incise qualcosa e poi succhiò il proprio labbro inferiore, come pentito di aver offeso il comandante dell'esercito, nonché figlio legittimo del suo re.
Tristan posò una mano sullo scrittoio e alzò fieramente il capo, parlando con voce suprema: "Voglio quarantamila linothorax, le armature migliori che l'ingegno dell'uomo abbia ideato. Le voglio con diciassette strati di lino, perché è un materiale che attutisce formidabilmente le frecciate e quei bastardi avranno sicuramente un esercito di arcieri." Tritone pausò per un istante. "Ma bada bene che gli strati di tessuto non siano tenuti insieme con resine o colle animali, perché sono solubili in acqua." Tristan congiunse i palmi delle mani e spinse le dita contro le sue nocche, serio.
Friderikos non osò obiettare e la stanza fu presto pervasa solamente dal leggero stridore della stilo sulla tavoletta.
"Dopodiché..." Tristan girò attorno allo scrittoio, giunse al fianco dello scriba, si chinò per aprire un cassetto e vi estrasse quattro grandi fogli in pelle conciata di bue fissati tra loro con due borchie e mostrò gli schizzi a Friderikos, indicando i disegni. "Consegna queste bozze: ritraggono le armature che pretendo vengano modellate. Qui puoi vedere la corazza bianca con bordature nere," Tristan fece scorrere il dito sul foglio, "le frange in dainetto fissate sulle spalle e sul bordo inferiore e gli spallacci che scendono sul petto della corazza ad incoronare uno stemma di bronzo. E voglio che quest'ultimo ritragga un leone argeade."
Friderikos annuì e fece lentamente scivolare uno dei fogli da sotto le mani di Tristan per osservare meglio lo schizzo da lui descritto. Poi lo posò dinanzi a sé e annuì, silenzioso.
Tristan si concentrò su un altro disegno e socchiuse gli occhi mentre ne percorreva i contorni con l'indice. Vi picchiettò sopra con il dito. "Voglio quarantamila aspides, questi formidabili scudi bombati al centro e irrobustiti da una lamina di bronzo. E voglio queste sarisse, con questa lama in ferro e questo corpo in legno di corniolo. E le voglio resistenti. Neanche le tempeste sollevate da mio padre devono spezzarle. Le voglio alte ventidue piedi, se più alte è anche meglio. Dobbiamo mantenere le distanze dal nemico, trafiggerlo e squartarlo come una fiera durante una battuta di caccia."
Friderikos impallidì e prese il foglio con dita tremanti, ma cercò di nascondere gli spasmi iniziando a battere sullo scrittoio con le dita.
Dianna osservò, in disparte, Tristan indicare un altro schizzo e sospirare, esperto e professionale. "Procurati quarantamila paia di schinieri robusti, nel bronzo più lucente. E poi" Tritone, di cui ora la pelle sudata brillava come una statua marmorea sotto la pioggia, indicò un disegno ancorato in un angolo del grande foglio, "voglio questi elmi macedoni, con queste piume nere come le ali di un corvo, perfettamente curvate e pettinate, sinuose come la criniera di uno stallone e morbide come il muschio. Non una sola piuma deve essere più lunga delle altre, bada bene. Il sole deve specchiarsi sui guanciali." Tristan fece per allontanarsi dallo scrittorio, ma la sua chioma bionda si volse velocemente verso lo scriba come se avesse dimenticato qualcosa. "Chiaramente il mio elmo deve essere diverso da tutti gli altri. Voglio guanciali dorati e piume rosse, intinte nel sangue più giovane e denso."
Friderikos accelerò il moto della sua mano sulla tavoletta, chinandosi verso la stilo sino a rischiare di trafiggersi l'occhio con il suo bastoncino di legno, addentando il labbro inferiore per la concentrazione e prendendo con la mano libera una goccia di sudore che imperlava la sua fronte alta. Poi annuì nuovamente e levò lo sguardo su Tristan, mentre la sua mano destra reclamava un tacito aiuto.
Ma Tritone aveva altro da aggiungere: "E per me voglio un mantello di lino bianco lungo sino alle ginocchia. Ora puoi andare." E congedò lo scriba con una rigida e composta occhiata, il busto alto e il petto nudo che assorbiva il bacio delle onde.
Tuttavia, quando Friderikos si avvicinò all'uscio della porta, con la tavoletta e i fogli stretti sotto braccio, Tristan allungò una mano e lo richiamò con una voce poderosa. "Fermo!"
Friderikos si voltò.
"E voglio anche quattromila cavalli tessali, robusti come creature chimeriche, giovani e sani, con gli zoccoli di bronzo che fanno tremare la terra, dal respiro tanto minaccioso che quei bastardi devono credere che siano draghi. Li voglio con una tempra di fuoco, veloci e scattanti. Non devono trotterellare: devono correre, sfrecciare, come il vento notturno sul mare." Tristan indicò lo scriba. "E bada bene che provengano dagli allevamenti di Filonico, in Tessaglia."
Friderikos chiuse gli occhi, come se stesse incidendo quelle parole nella sua mente, ora che non poteva impugnare la stilo e proruppe in un veloce cenno del capo, voltandosi e battendo in ritirata. Uscì rasentando le spalle di Dianna e ripetendo silenziosamente la parola macedone tra i denti.
Solamente quando lo scriba si fu dileguato e lo studio di Tristan rimase avvolto dalla penombra della sera, egli alzò lo sguardo e notò la sirena. Non disse nulla, ma le sue labbra si stesero in un sorriso e il velo d'apprensione che celava le sue iridi fulgenti si dissolse come fumo nella pioggia.
Dianna gli nuotò incontro. "Sembri severo."
"Lo sono." Tristan avanzò, sino a che la sirena non fu inebriata dal suo profumo. "Un comandante deve mostrarsi inflessibile affinché il suo esercito lo ascolti e ne segua gli ordini." Tritone posò le mani sui fianchi di Dianna e l'attirò a sé.
La sirena fu costretta a posare le mani sul suo petto per trattenere gli impulsi che ora la sommergevano.
"Da quanto tempo sei qui?" La voce di Tristan si raddolcì un poco.
Dianna rabbrividì al suo respiro sul collo. "Da un po'. Giusto il tempo di vederti nei panni del comandante che conosce ogni armatura, ogni corazza, ogni elmo e ogni destriero e che, pur essendo greco, loda la forza macedone."
"L'esercito macedone ha rivoluzionato la storia, Dianna. Ha tracciato un confine netto tra arcaico e moderno."
La sirena deviò il discorso e interruppe Tristan quando egli stava per aggiungere altro. Lo guardò negli occhi e vi si rispecchiò. "Non avevo mai visto questo lato di te."
Tristan inclinò il capo sulla spalla in un modo particolare che conferiva intensità alla sua espressione. "E ti piace?" Si chinò verso le labbra della sirena e le sfiorò con le proprie, solleticandole e lasciandovi impresso un lieve sentore di ambrosia.
Dianna gustò quel bacio morbido e casto, ma non replicò alla domanda: il suo cuore urlava per dire altro. Si ritrasse leggermente da Tristan per guardarlo negli occhi e mormorare: "Perché sei così?"
Tritone apparve sorpeso e sobbalzò. La pelle del suo viso perse colorito e i suoi occhi si mossero freneticamente per cercare un punto d'appoggio. Poi mormorò: "Un giorno giurai ad una persona che non mi avrebbe mai visto debole."
"A chi?" domandò Dianna.
Ma Tristan non rispose.
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(Ho letto nello scorso capitolo che avreste voluto più intimità tra i due, e arriverà tra poco, ma si sono dati il primo vero bacio dopo 46 capitoli, mi sembrava un po' finto inserire subito sbaciucchiamenti e cose varie, sarebbe stato troppo frettoloso, secondo me).
Vi è piaciuto il Tristan che disprezza le armi utilizzate dall'esercito e che ne ordina di nuove con fare perentorio? È innamorato delle armature macedoni, a quanto pare.
E delle parole di Kassandros a Dianna? Avranno mosso qualcosa in lei? Evidentemente Kassandros conosce molto bene Tritone e nei prossimi capitoli investigheremo sulla loro amicizia millenaria. Perlomeno ha un amico fidato.
E di Anfitrite che pensate? Nonostante le parole stuzzichevoli di Bentesicima, lei ama suo figlio e non lo cambierebbe per nessuna ragione al mondo.
Ma, secondo voi, a chi giurò in passato Tristan che non sarebbe mai stato debole? Sono curiosa di sapere a chi avete pensato.
Votate e commentate!
Grazie mille per il vostro supporto!

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